venerdì 5 novembre 2010

Ru486: i fatti, semplicemente di Giorgio Razeto

Che cosa c’è di più semplice di un fatto? Eppure mai come oggi sembra impossibile guardare in faccia la realtà. Sembra che tutto debba ridursi ad opinione, a mera contrapposizione di opposte ideologie. In questo modo, però, non è possibile nessun dialogo né progresso sulla via della verità, pure così indispensabile quando ci sono in gioco la vita e la morte.
Occorre un cambiamento di metodo: tornare alla nudità dei fatti, ad uno sguardo leale sulla realtà, alla fiducia nella ragione, impegnata ad investigare e scoprire il vero là dove si manifesta.
Su queste premesse veniamo alla Ru486. 
Giovedì 26 novembre, la Commissione Sanità del Senato ha varato il documento finale dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva Ru486, nel quale si chiede di fermare la procedura di immissione in commercio della pillola abortiva in attesa di un parere tecnico del ministero della Salute circa la compatibilità tra la legge 194 e la Ru486.
Vi erano ragioni valide per assumere una tale decisione?
Sì. Perché?
Perché l’art. 4 della Direttiva CE 2001/83 sui medicinali per uso umano dispone: “la presente direttiva non osta all’applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l’uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi”.
Non vi è dubbio quindi che lo Stato membro ha l’obbligo di verificare la compatibilità con la legislazione nazionale, prima di riconoscere l’autorizzazione al commercio di un farmaco abortivo.
Neppure si può ragionevolmente discutere sul fatto che la Ru486 rientri nell’ambito di applicazione della norma. Per quanto, con il consueto linguaggio eufemistico, si usi il termine «pillola» è chiaro che la Ru486 non è una medicina ma un veleno: ha il solo scopo di procurare un aborto e quindi uccidere.
In conclusione, deve considerarsi vietata la commercializzazione di un prodotto abortivo in assenza della preventiva valutazione di compatibilità con la legislazione nazionale e quindi, in particolare, con la legge 194/1978.
Non è questione di opinione ma di fatti giuridici di cui è necessario tenere conto.
Ru486 e legge 194 sono incompatibili?
La Ru486 impedisce un’adeguata riflessione. Le pillole vengono consegnate alle donne in tempi necessariamente brevi, dovendosi assumere entro i primi 49 giorni della gravidanza per essere efficaci e pertanto, in contrasto con quanto previsto dalla legge 194/78 (cfr. art. 5), impediscono, di fatto, una sufficiente valutazione, la proposta di possibili alternative e aiuti che la donna, a termini di legge, può ricevere. La Ru486 mette fretta e si propone come una “soluzione” rapida: non voglio il bimbo – prendo la pillola.
Inoltre, la Ru486 è in contrasto con la legge 194/1978 perché trasforma l’aborto in fatto privato. La nostra legge impone il controllo medico nell’ambito di strutture ospedaliere mentre la donna che assume la pillola, al contrario, può abortire privatamente. In altre parole la Ru486 costringe la donna alla solitudine.
Neppure sono da sottovalutare i rischi dell’aborto farmacologico.
La Ru486, infatti, è dannosa per l’integrità fisica e psichica. Non solo l’aborto chimico provoca un maggior numero di decessi e complicazioni rispetto a quello chirurgico, secondo uno studio della Società medico-scientifica “Promed Galileo” la pillola è 10 volte più rischiosa, ma è lesiva della salute psichica della donna, considerando l’aumento di stress cui viene sottoposta: la donna vive in prima persona l’uccisione del figlio e viene lasciata sola sia nello svolgimento di quell’evento (l’espulsione del feto spesso avviene a casa) sia nelle ripercussioni psicologiche di quest’ultimo.
Inoltre, dopo 24 ore dalla prima “pillola”, occorre assumerne una seconda che aiuta la definitiva espulsione del feto. Tale evento può verificarsi in un periodo di tempo variabile da tre a 15 giorni, con dolori intensi e protratti dovuti al mini travaglio. Occorrerà, successivamente comunque un controllo medico per verificare che l’utero sia “pulito” e non siano presenti condizioni di pericolo per la salute della donna, che comporterebbero ulteriori interventi invasivi.
La Ru486, infine, non sempre è efficace e se il feto sopravvive, il più delle volte ha gravi danni nello sviluppo e gravi handicap. Per questa ragione, in Francia, le donne firmano modulo che le impegna a ricorrere all’aborto chirurgico se è la “pillola” non dovesse fare effetto completamente. 
La verità è che la Ru486 non è altro che l’ennesimo prodotto chimico abortivo (la prima ricetta abortiva conosciuta a base di mercurio risale addirittura alla Cina del 3000 a.C.) per il quale è lecito domandarsi se costituisca un “progresso” rispetto agli altri abortivi che hanno funestato secoli di aborto clandestino.
Sussistono, pertanto, numerose e valide ragioni per impedire la commercializzazione della Ru486 in Italia.
La questione di fondo, tuttavia, come ha anche sottolineato il presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini, non è il metodo usato per provocare l’interruzione della gravidanza e neppure la legge 194 ma la consapevolezza che i soggetti coinvolti nell’aborto sono almeno due, la donna e il bambino, e che quest’ultimo, in nessun caso, può essere sacrificato, tanto meno, aggiungo, in nome di un malinteso principio di “autodeterminazione” e di libertà.
Tali concetti di enorme rilievo, pensiamo ai diritti di libertà costituzionalmente garantiti, sono pur sempre in funzione e a tutela della persona. Pertanto, è paradossale che in bioetica (concepimento, testamento biologico, eutanasia, ecc.) siano concepiti in modo assoluto ed indipendente, fino a giustificare l’eliminazione dello stesso soggetto titolare, la persona.

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