giovedì 18 novembre 2010

Quando la bioetica incontrò san Tommaso - Quando Papa Wojtyla gli chiese di iniziare, nel 1984, non c’era nulla. Da allora gli studi in campo bioetico hanno imparato a frequentare la dottrina della Chiesa grazie a lui: monsignor Elio Sgreccia, che sabato, a 84 anni, riceverà la berretta cardinalizia da Benedetto XVI «Così ha voluto incoraggiare chi si occupa di questa materia» di Salvatore Mazza – Avvenire, 18 novembre 2010

IN SINTESI
1Ha gettato le fondamenta di una visione cattolica della bioetica, utilizzando le categorie del personalismo tomista. Il bilancio di monsignor Sgreccia, prossimo alla porpora cardinalizia.
2«Siamo una minoranza, ma non vuol dire che bisogna cessare di ribadire quello che si pensa. Il valore delle idea non si conta».

Della bioetica, così come oggi comunemente la si intende, può essere a buon diritto considerato il 'padre fondatore'. Se glielo dici, sorride e si schermisce: «Macché...». Però è vero lo stesso, e solo ricordare quello che è riuscito a fare in poco più di 25 anni lo conferma. A monsignor Elio Sgreccia l’attività è valsa molti riconoscimenti – alcuni, di parte laica, non proprio encomiastici – che però non l’hanno mai né esaltato né abbattuto. E sabato, a 84 anni, 'pensionato' ma ancora attivissimo (lavora all’ Enciclopedia di bioetica ), riceverà la porpora cardinalizia, a cui Benedetto XVI ha voluto elevarlo.

Se l’aspettava?

Questo davvero no. Più che altro il mio è stato un lavoro di studio e di militanza diretta, quindi non ci pensavo. Il contesto immediato – l’essere in pensione e la mia salute – non mi ci faceva pensare affatto.

Però è arrivata.

Questo mi induce a essere doppiamente grato al Papa. Ho pensato che sia più per le cose passate che per quelle future, vista la mia età... E credo possa anche essere considerato un incoraggiamento, da parte del Santo Padre, per chi coltiva e coltiverà ancora questa materia.

Un disciplina che prima di lei quasi non esisteva. Come è iniziato questo percor so?

Sì è vero, una cosa così sistematizzata, da poter proporre in università, inquadrata in piani di studio e in corsi che danno titolo a insegnare, non c’era. Esistevano insegnamenti in America, ma solo corsi annuali, e sempre fuori del campo cattolico. Quando per la prima Adriano Bausola, appena diventato rettore dell’Università Cattolica, mi propose nell’estate dell’84 di avviare questo insegnamento, non c’era nulla. Anche il tempo era molto poco. Bisognava preparare un manuale di riferimento per il primo anno, e spesi in questo lavoro tutto il mese di agosto. Un lavoro che poi à andato ancora avanti, tanto che i volumi sono diventati due.

Quale fu la difficoltà maggiore?

Dare una sistemazione che avesse carattere scientifico e razionale, e che non fosse dissonante con l’insegnamento cattolico. Trovare una chiave di misura di problemi bioetici imperniata sulla dignità della persona, che è un concetto proprio anche dei diritti dell’uomo, un concetto elaborato dalla filosofia personalistica, un concetto tomista e quindi coniugabile col magistero della Chiesa che, anzi, vi apporta un contributo che è consolidante e arricchente.

Di quale 'modello' si parla?

Quello che ho proposto è il modello del personalismo ontologico, che però ha un fondamento teologico collegato con l’essere e con la fonte dell’essere, e quindi implica Dio, la creaturalità con tutto quello che ne consegue. Accanto a questo c’è stato poi un ulteriore sforzo metodologico, e poi si è dovuto lavorare alla parte applicativa, etica, casistica.

Un impegno che in pochi anni è cre sciuto moltissimo. L’università, il Cen tro di bioetica, il Pontificio Consiglio per la famiglia, l’Accademia per la vita.

Non è stato facile. A un certo punto, quando è nata la Pontificia Accademia per la vita il Papa volle che assistessi il professor Jerome Lejeun, mentre ero già impegnato sia con l’università, che in quel momento non potevo lasciare, sia col Pontificio Consiglio. Tenere i tre fronti dopo un po’ non fu più possibile, e allora il Papa mi disse di lasciare la Famiglia, perché lì era più facile sostituirmi, e continuare invece con l’università per preparare i nuovi docenti.

Quanto questo lavoro ha contribuito al la diffusione di una 'sensibilità bioeti ca'?

Guardi, ho girato quasi tutta l’America Latina, buona parte dell’Africa, molta Asia... Oggi c’è un’associazione di tutti i centri di bioetica: siamo 45, tutti di impostazione personalistica. L’ultimo impegno è stato quello di concepire un’enciclopedia di bioetica e scienze giuridiche, perché la bioetica sta andando tutta, come è naturale, sulle leggi, sui parlamenti, e il passaggio dal fatto medico alla legge non è semplice, bisogna che ci sia una scienza di fondo. Tre volumi sono già pubblicati, un quarto è in uscita. Alla fine saranno dodici.

Spesso le è stato imputata un’impo stazione rigida mente 'normativa' della bioetica, una serie di 'sì' e 'no'. Perché?

È naturale che l’impressione che si ha sulla gente, soprattutto quando in televisione ti danno due minuti e ti chiedono appunto un 'sì' o un 'no', non può che essere questa.

Però c’è tutto un ragionamento, che nel manuale è molto evidente; ponendo alla base il fondamento creazionistico, la legge naturale, le cose arrivano assai poco ipotetiche.

Che cosa del suo lavoro le ha dato più soddisfazione?

Penso soprattutto agli inizi. Quando mi chiusi in campagna a preparare per la prima volta un manuale, per me ci fu una specie di ispirazione. Da cosa partire per dare un fondamento a tutto? Un intervento sul corpo umano è sempre un rischio per la vita: che cosa conta? Il successo? I possibili danni? Oppure c’è una ragione fondativa? L’antropologia che ha come unità di misura l’essere umano, il suo valore indivisibile, assoluto.

Quale peso ritiene che abbia, oggi, la bioetica cattolica?

Siamo ancora una minoranza. Ma il valore delle idee non è computabile. Oggi il divorzio è diffuso in quasi tutto il mondo, ma questo non vuol dire che bisogna cessare di ribadire quello che si pensa. E vediamo che oggi in tutto il mondo si torna a riflettere sulla famiglia.


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