giovedì 11 agosto 2011


Convegno “Quale umanesimo oggi? Laici e cattolici a confronto”
Roma, Palazzo Colonna -25 maggio 2011-

Relazione del Dr. Giuliano Ferrara

Grazie a voi tutti e Grazie a Sua Eccellenza, per un discorso così impegnativo  e anche senza tanti margini di convenienza. Un discorso con un fondo, se posso dirlo, omiletico. Si capisce che Sua Eccellenza non ha voluto partecipare a una tavola rotonda ma ha voluto fare il suo mestiere di Vescovo. Ha voluto condurre in termini di vigore apostolico una discussione che vada alla radice delle cose. Io parto proprio dalla fine del discorso di Mons. Giampaolo Crepaldi, Vescovo di Trieste.
Sono fondamentalmente d’accordo – salvo un importante punto finale – con tutta l’impostazione che egli ha dato alle sue riflessioni: quali sono le basi per un umanesimo in cui il pensiero acattolico, (il pensiero laico) si incontri con la dottrina cattolica e soprattutto con la fede cattolica intesa come strumento di conoscenza. Questa sua riflessione, ripeto, mi sembra molto alta, molto impegnativa, parla a tutti, parla ai laici, parla anche ai cattolici parla a come si struttura il pensiero cristiano e cattolico nella Chiesa di oggi. Lo abbiamo capito tutti, non credo ci sia da aggiungere niente perché il discorso è stato di grande evidenza.
Io parto dalla fine, ma questo concetto c’è anche in altre parti del discorso di Mons. Crepaldi. Il concetto finale che mi interessa è il seguente: il pensiero laico se non accetta le basi cristiane dell’umanesimo, se non accetta di guardare il volto di Cristo, se non accetta in modo intrinseco un dialogo forte, basilare, di fondamento, alla fine – e questo è molto curioso, ma sensato – il pensiero laico finisce per fare troppe concessioni al fideismo. E’ un po’ l’idea di Chesterton : chi non crede in Dio rischia di credere a qualunque cosa e di diventare, appunto, fideista.
Per la conversazione di questa sera sono andato a rileggermi un articolo abbastanza fatale per la cultura contemporanea che è un capitolo di un vecchio libro di Julian Huxley. E così vorrei renderne conto perché ci fa capire cosa vuol dire trasformare una prospettiva laica, trasformare l’eredità dell’illuminismo laico più radicale, quello negatore dei fondamenti religiosi del pensiero cristiano, trasformarlo in una nuova utopia a sfondo religioso e quindi sostanzialmente in un pensiero fideistico.
La mia idea è questa: il problema dell’umanesimo moderno e post-moderno lo ha paradossalmente descritto lui che è il fondatore del “transumanesimo”. Nel 1957 Julian Huxley, che era nel suo modo talentuoso ed eccentrico, figlio dell’Inghilterra vittoriana – è il fratello di Aldus Huxley, autore de “Il mondo nuovo” – è stato un biologo, un naturalista ed è stato anche Direttore Generale dell’UNESCO ai suoi esordi, fu in qualche modo un protagonista militante della cultura contemporanea più istituzionale. Ebbene questo eccentrico e talentuoso figlio dell’Inghilterra lanciò la formula magica del ”transumanesimo” nel suo libro intitolato “Nuove botti per un nuovo vino”.
Huxley, biologo e naturalista, rampollo della cultura evoluzionista darwiniana e dei suoi fasti a cavallo dei due secoli, l’800 e il ‘900, in un certo senso decretò la fine dell’evoluzionismo e della sua naturale appendice che è la selezione naturale della specie. La dialettica del caso che entra dentro la necessità. Secondo Huxley, secondo quell’articolo del suo libro – che bisognerebbe spiegare e fare oggetto di discussione per quante cose dice su come ci siamo ridotti – secondo il transumanista per effetto del progresso scientifico e tecnico, specie nel campo della biologia e delle sue branche di ricerca e di applicazione, l’uomo del ‘900, l’uomo di questo tempo, l’uomo storicamente concreto, è in grado di prendere direttamente in mano il suo destino di specie e di forgiarlo sulla base della propria conoscenza e autocoscienza (esattamente l’esempio usato da Ratzinger nella sua introduzione al cristianesimo, che qui riponeva Mons. Crepaldi con il Barone di Munchausen che si prende dai capelli  per tirarsi fuori dalla corrente del fiume).
La casualità, che è la regina del darwinismo, e l’adattamento, che è il concetto re del sistema darwiniano, nella visione di Huxley sono sostituiti o integrati in modo radicalmente nuovo da un progetto consapevole di cui l’umanità evoluta ha ormai in pugno la chiave tecnica. Il suo messaggio è questo: possiamo fare da soli. Non nel senso kantiano, osiamo conoscere, non nel senso della ricerca e dell’osservazione scientifica sotto il cielo stellato del cosmo e con l’aiuto della morale che è in noi. No. E’ che possiamo fare da soli, perché abbiamo la capacità tecnica di produrre il nostro mondo, il futuro, il tempo.
Il punto ideologico è delicato quando si parla di umanesimo ed è gravido di conseguenze per qualunque rimessa in discussione dell’umanesimo stesso. Qui bisogna fermarsi un momento.
Per Huxley infatti non è più così importante – e ciò è curioso, è un rovesciamento interessante – stabilire la discendenza biologica dell’ homo sapiens, ma è importante capire che la sapienza dell’uomo lo rende capace di fabbricare vita e destino a propria misura e secondo la propria volontà. Veniamo dalla scimmia ma siamo ormai un animale capax dei almeno in senso tecnico. Anche nella dottrina cristiana naturalmente l’uomo è capax dei, nel senso però che è capace di amare Dio e di essere amato da Dio, e fatto a  immagine e somiglianza di Dio, ma qui c’è una sfumatura di significato che parla d’altro, capax dei nel senso che può diventare egli stesso Dio, almeno in senso tecnico, non certo nel senso teologico o cristiano che qui viene piegato ad una versione di impatto ateo.
Il mistero è volato via dal mondo, sostiene Huxley, autore di quell’articolo che coniò la formula del “transumanesimo”, oggi molto diffusa. Il mondo lo abbiamo esplorato geograficamente tutto, adesso possiamo esplorare tutto l’uomo, corpo e mente. “Sapere donde origini la sua particolarità, la sua eccellenza il suo evidente potere di dominio sulle cose e su se stesso. Siamo solo all’inizio – dice questo testo della fine degli anni ’50 – ma è la direzione di marcia che conta; la grande svolta è che noi non siamo solo un prodotto altissimo dell’evoluzione, ma un prodotto che può dare inizio ad una nuova storia, ad una nuova epoca, a un tempo nuovo”.
Huxley voleva programmare il mondo con criteri di razionalità eugenetica lasciando indietro i deboli e gli imperfetti ( qualche traccia di questo, purtroppo, è rimasta nel nostro tempo ed è rimasta in alcune dottrine favorite anche dall’UNESCO, e dalle Nazioni Unite, in certe politiche pubbliche che sono diventate ideologia, bandiera nel campo della pianificazione familiare). Ho detto che era un eccentrico perché Huxley – che ha avuto anche una biografia complicata passando da depressione a depressione – predicava la sterilizzazione per chi avesse accumulato troppi anni di disoccupazione e marginalità sociale. Non la cassa integrazione ma la sterilizzazione, una cosa un po’ diversa.
Huxley voleva pianificare le nascite per scongiurare l’apocalisse demografica – tra l’altro previde in modo esatto il numero degli abitanti della Terra nel 1999 – ed è andata come aveva previsto lui, 6 miliardi; e di questi gli va dato atto, ma la riteneva una previsione apocalittica già 50 anni fa. E oltre all’apocalisse demografica ce l’aveva con la decadenza dei gruppi etnici, formula dissimulatoria ed eufemistica per simulare connotati razziali non all’altezza dei migliori standard ideologici. Era un razzista!
Ma soprattutto intendeva fondare – anche se non lo avrebbe mai confessato nemmeno a se stesso – una sorta di religione scientista che superasse l’orizzonte cristiano in cui nel tempo l’umanesimo, che è stato una grande cultura immanentista connotata anche da un filone di un elemento di critica e di limitazione della dimensione trascendente dell’umano e della sua origine, era stato ricompresso, in un certo senso pacificato. Cioè, il cristianesimo alla fine aveva in qualche modo vinto con la sua stessa persistenza e con la forza delle sue radici culturali, restando , forte del linguaggio, presente nella vita degli uomini e delle donne, nella vita concrete. Restando fede e quindi attività, azione, vissuto, per gli uomini, il cristianesimo aveva in qualche modo assorbito i presupposti dell’umanesimo anticristiano e naturalmente il problema di Huxley che è quello di fondare una religione scientista in nome del progresso e dell’avanzamento della tecnica e della tecno-scienza che superi l’orizzonte cristiano.
L’uomo parla con toni profetici come risultato di migliaia di milioni di anni di evoluzione, l’universo adesso è conscio di se stesso. Cosmic awareness. C’è un’autocoscienza cosmica che si realizza nel genere umano in questo tempo storico. Forse è successo altrove, in altri pianeti che girano attorno ad altre stelle, ad altri soli in altre forme di vita. Qui nella Terra non era mai successo prima.
Questa nuova autocoscienza del cosmo, dell’universo, è arrivata attraverso nuova conoscenza che negli ultimi secoli – sta parlando sempre Huxley – è stata affermata da psicologi, biologi ed altri scienziati.Questa nuova conoscenza ha definito la responsabilità e il destino dell’uomo oggi. Essere propulsore, l’agente, nel lavoro nel realizzare le proprie inerenti potenzialità nel modo più competo possibile”.
In questo esordio dell’articolo si comprende molto bene il tentativo di andare oltre l’umano così come lo conosciamo fino ad ora – l’umano del mondo biblico e post biblico – è il rovesciamento del pensiero biblico, è un’eresia nell’ambito giudaico-cristiano, più che lo sviluppo delle scienze naturali. A me interessa che si colga questo elemento.
Mons. Crepaldi diceva che il pericolo del laicismo, quando non riesce a confrontarsi con il terreno giusto della fede, è quello di cadere nel più astratto fideismo, è quello di credere a tutto perché non riconosce lo statuto di conoscenza della fede. E questo è proprio un caso di scuola di questo fideismo. Siamo sostanzialmente in una new age – Huxley è un fondatore, oltre che del “transumanesimo”, anche dello spirito del new age quello che ha poi generato molte sette, molte scuole, molto pensiero, molta prassi para o pseudo-religiosa – siamo oltre la storia, l’uomo non ha più una storia biologica alle spalle, può costruire da sé destino e storia, in una situazione cosmica in cui ci si può impadronire della natura e, a nome della natura, realizzare sostanzialmente il sogno dell’immortalità.
La specie umana può, se lo desidera, trascendere se stessa, non uomini che sporadicamente realizzano la bellezza, l’arte, il pensiero, non uomini che realizzano ai limiti dell’umano. No, non è solo una visione dell’eccellenza dell’uomo e della sua centralità nell’universo. E’ un’altra cosa: la specie umana può trascendere se stessa nella sua interezza in quanto umanità. Shakespeare ha trasceso l’uomo creando in un certo senso il romanzo della personalità, lanciandolo nel mondo moderno fino ad oggi, ci parla in qualunque rappresentazione, in qualunque testo che leggiamo, ha definito le passioni e molti uomini sono stati eccellenti ed eccedenti rispetto al resto degli umani. Ma qui si tratta della specie umana in quanto tale. Abbiamo bisogno di un altro nome per questo nuovo bliss, per questo nuovo credo che nasce dall’accumulo di conoscenza. Forse transumanismo è il nome che ci serve: l’uomo rimane uomo, ma  si trascende e realizza nuove possibilità in nome della natura umana.
Vi dico altri elementi di questa ideologia e concludo rapidamente, perché siamo al cuore del problema e mi sembra che questo possa funzionare come risposta alle questioni che ha posto Mons. Crepaldi.
Il tono è profetico: “ l’esplorazione della natura umana è appena agli inizi – siamo nel ’57, è stato scoperto da poco il DNA, tutto è ancora molto embrionale, la tecnologia non è spericolata come la conosciamo oggi – un grande mondo nuovo di il termine mi sembra molto significativo possibilità non tracciate ora in nessuna carta ed in attesa del suo Cristoforo Colombo”.
Il punto base è questo: l’uomo vive al di sotto delle sue possibilità, cioè l’umanesimo deve riconoscere un’immensa miseria della condizione umana che vive al di sotto delle possibilità che avremmo, oppure potremmo educarci all’estasi mistica – l’ho detto è un uomo bizzarro – o alla pace spirituale così come impariamo a giocare a tennis o a ballare. Se pensate agli approdi della filosofia che dice che attraverso la ricognizione e alla mappatura neuronale dello spirito dell’uomo è tutto ricostruibile, cioè il riduzionismo tecnico scientifico sostiene oggi che si può spiegare l’estasi mistica e si può spiegare la pace spirituale, come si spiegava la reazione fisica del corpo a certe vitamine.
L’uomo può – e questo è un altro punto fondamentale – sradicare la miseria e la malattia cronica attraverso le applicazioni tecniche della scienza”. Sradicare, non curare, sono due concetti molto diversi. “L’uomo può raggiungere la sua grande – efficienza spirituale”.Il new age è questo, è un allenamento ed un essere spiritualmente in forma che ci eleva al di sopra delle possibilità che ci concede invece una semplice umanità.
“Bisogna affermare  - altro punto che c’è nell’articolo, che c’è sul transumanesimo -  i fondamenti fisiologici del destino umano. Bisogna distruggere le idee e le sue istituzioni che impediscono di realizzare il vero destino dell’uomo “. E qui il ciclo del “transumanesimo”, contemporaneo erede dell’illuminismo radicale, abolisce anche il darwinismo, nel senso che lo ritiene compiuto. L’evoluzione si è compiuta e l’uomo è diventato capace di essere Dio attraverso la scienza e la tecnica, e quindi il suo umanesimo diventa la scoperta di un mondo, di una terra incognita, nella quale egli potrà fare con le sue forze, prendendosi i capelli e trascinandosi al di là del fiume, al di là del mare – ciò che Cristoforo Colombo ha fatto scoprendo il Nuovo Mondo – ed arriva alla sua densità, bisogna distruggere le idee e le istituzioni che impediscono il vero destino dell’uomo.
La Chiesa cattolica mi pare che sia su questo cammino. Ed un pensiero libero, un pensiero non utopistico, un pensiero realista, un pensiero laico, preoccupato di definire e limitare le pretese della ragione, è anch’esso su questa strada.
Per concludere, mi faccio una domanda.
Quanta strada ha fatto il transumanismo in questi 53 anni? Io vi ho raccontato la storia di un articolo bizzarro, di un uomo bizzarro ed eccentrico, di un inglese un po’ matto, oppure c’è qualcosa che nella vita attuale ci parla di questi segni e di questi profetismi ideologici?
Si tratta solo di eccentricità di uno scientista oppure nel mainstream della vita e per certi aspetti in una parte del pensiero e della prassi cristiano e cattolica qualcosa di questo fideismo senza Dio è entrato?
Io penso che, purtroppo, la risposta sia che non sono idee che non hanno generato fatti e non sono scollegati da fatti che genereranno nuove idee. Sappiamo tutti di cosa stiamo parlando: la pianificazione demografica si è realizzata nella forma più brutale, attraverso tutte le politiche pubbliche che hanno fatto della contraccezione una bandiera e che hanno definito la libertà femminile come una libertà di decidere intorno alla procreazione. Libertà per il NO. Libertà dalla ipoteca di una maternità consapevole, costruita attraverso il vincolo della definitività, dell’amore, del matrimonio e della famiglia.
Obiettivamente – io non sto facendo considerazioni di tipo moralistico – il mondo dopo la pillola, il mondo dopo l’assunzione come valore sociale della planned parenthood, della pianificazione famigliare, il mondo che sopporta la variante di culture allogene, lo sterminio delle bambine non nate in Cina e in India, oppure un mondo che sopporta in Occidente la pratica di un miliardo di aborti in 30 anni e per di più aborti che vengono definiti elementi di privacy della persona, aborti divenuti legge, naturalmente confligge con il nostro sentimento e con la nostra idea di ciò che oggi l’individuo e la sua libertà, di pensare di punire una madre che rifiuta la maternità.
Ma noi ci siamo rifiutati di accogliere ed aiutare a rimuovere questo rifiuto della maternità, dramma, tragedia del mondo moderno.
Non abbiamo fatto questo. Non abbiamo fatto una battaglia contro l’aborto salvando l’autonomia, l’indipendenza e la libertà delle donne di fronte al problema della maternità. Noi abbiamo accettato l’aborto per ciò che è, timbrandolo con leggi e con sentenze come elemento di privacy e infischiandocene di ciò che esso significa ontologicamente in relazione al problema della verità, di ciò che è l’uomo, quindi umanisticamente, infischiandocene di ciò che significa per le donne stesse, l’abbiamo accettato con sordità morale progressivamente sempre più devastante. Nessuna battagli sull’aborto può uscire da una condizione apparentemente settaria ed ultraminoritaria nel mondo utilitaristico che lo considera uno strumento, lo strumento principale di regolazione delle nascite. Questa è la verità delle cose.
La contraccezione, l’aborto, la destrutturazione della famiglia e dei criteri umanistici intorno a cui si forma la famiglia che sono la definitività , la promessa, l’educazione, la fede reciproca, la lealtà, ebbene tutto questo mondo morale è stato destrutturato e scarnificato completamente. Siamo proprio arrivati all’osso. Resiste poco, resistono solo le vecchie abitudini, esistono delle famiglie normali che però pian piano vanno conquistando un posto di minoranza.
E di tutto il resto, vogliamo parlare? Alcuni aspetti del “transumanesimo” di Huxley io li trovo nella scuola filosofica e di filosofia della biologia che è cresciuta arroccata in una delle più grandi istituzioni sanitarie ed universitarie fondate da un prete cattolico, Don Luigi Verzè, il San Raffaele. E’ lì che il Prof. Boncinelli e molti altri hanno applicato, costruito, lanciato idee che sono generosamente ospitate nei giornali della borghesia laica. E’ quello il dialogo che c’è stato.
Madre Teresa di Calcutta la facciamo Santa: ha curato. Ha curato nel senso di assistere, ha avuto una certa idea della vita, della morte, della fede, della speranza, della carità, che sono virtù teologali. Ma adesso non bisogna più curare, non bisogna più sperare, bisogna agire nella dialettica delle due vite, una vita da godere e da vivere profondamente e intensamente nell’idea che ci sia ancora una vita più vera da fondare. No, questo meccanismo è ben rappresentato nella Spe Salvi in modo intellettualmente vigoroso, se posso dire così, in un modo un po’ laico nonostante una Enciclica di un Pontefice regnante non possa essere definita un documento laico.
Non si deve curare ed assistere, si deve guarire, si deve ricomporre il corpo tecnicamente e riportarlo, come primo orizzonte a 150 anni e 170 anni di vita. E forse non si deve guarire, si deve cominciare da prima, si deve prefigurare l’ingegneria genetica. Per alcuni scienziati contemporanei che hanno voce in capitolo l’umanesimo è il lavoro sulle cellule staminali-embrionali, è la diagnosi reimpianto e la diagnosi prenatale. L’umanesimo è questo, è quello di Huxley, è l’eugenismo, è l’idea che l’uomo si può forgiare con la provetta.
Questa mi sembra la dimensione piuttosto drammatica dei problemi e sono d’accordo con Mons. Crepaldi sul fatto che la risposta per cui la fede dice le sue ragioni, la fede è appellata dall’interno della dottrina cattolica e dalla testimonianza evangelica a dire le proprie ragioni. E’ intrinseco alla fede mostrarsi dia logicamente.
Però Mons. Crepaldi dice che questa fede che dice le proprie ragioni è una ragione aperta alla fede – ha usato espressioni molto forti, Sua Eccellenza, - e molto interessanti da questo punto di vista. Ma ciò che significa? Ha cercato di entrare dentro questa formula vaga. Naturalmente le soluzioni che hanno uno sfondo emiletico, non soltanto le rispetto, ma le accolgo perché hanno su di me una forte capacità di suggestione, perché io credo che le radici del mondo moderno, le sue migliori radici, le sue più forti radici, le sue straordinarie radici – e se così posso esprimermi, retoricamente con un momento di enfasi – le su gloriose radici sono nell’idea della grazia cristiana. Dove le vogliamo trovare? Sono nello splendore della verità che si fa attraverso l’evoluzione del pensiero biblico, il compimento cristiano della legge, i padri, il Medioevo e tutto ciò che di profondamente anche nel contrasto cristiano poi motiva l’emergenza del mondo moderno di una cultura che poi vogliamo chiamare occidentale. La stessa scienza, lo stesso Huxley, è un prodotto secolarizzato del cristianesimo, in qualche modo ne è un figlio.
Io capisco benissimo che il dialogo tra fede e ragione deve essere schietto senza troppi sconti – come diceva Mons. Crepaldi – però è vero che da soli non possiamo passare al di là del fiume prendendoci per i capelli. La verità è data, trascende la nostra capacità di costruirla razionalmente, altrimenti ha ragione Huxley dobbiamo fare tutto quello che tecnicamente possiamo fare. Non esiste più etica, non esiste più pensiero etico, non esiste più guida etica morale, neanche remora, freno inibitorio. Non è questione di inibizioni, è una questione di decidere del nostro futuro sulla base di un criterio che sia un criterio umanistico e non transumanistico. Quindi certo la verità ci trascende, possiamo usare formule diverse per arrivare a questa conclusione che possono avere una sfumatura di significato più legata ad una fede come prassi, come vita, al credo dei cristiani e dei cattolici, oppure sfumature più filosofiche.
Senza un elemento ontologico di riconoscimento della trascendenza della verità, nessun umanesimo è possibile, siamo d’accordo. Però bisogna riconoscere una distinzione. Lei Monsignore  dice “ bisogna unire per distinguere, non distinguere per unire”. Anche lì c’è molta sottigliezza di buona apologetica cattolica però dobbiamo riconoscere una distinzione che per me è fondamentale, perché mi ci trovo dentro: la trascendenza della verità per alcuni è una evidenza di fede, è il credo è una adesione carica anch’essa di vita; per altri e tra questi ci sono i laici che non vogliono urbanamente presentare una ragione aperta alla fede per fare quattro chiacchiere in cattedrale, ma i laici che si pongono concretamente il problema di un dialogo senza sconti. Però anche questi laici qui, quelli devoti o almeno che affettano devozione in senso ironico – a parte non vedo perché si debba essere libertini, sono devoto perché riconosco una gerarchia, uno statuto e un rango di valori alla Chiesa cristiana, non vedo perché non dovrei farlo, perché devo fare finta di essere un libero pensatore nei termini dell’ideologia libertina massonica – ma dico però anche io, anche noi – e mi riferisco ad Habermas che è il padre di questo dialogo senza sconti fatti con l’allora Card. Ratzinger – per noi una evidenza di fede la trascendenza della verità, è un limite della ragione. La ragione – se è vera ragione, se non è fideismo se non è pseudo-religione se non è superomismo, se non è postnitcianesimo, se non è letteratura di un uomo signore del mondo che diventa capace di farsi il suo mondo come Dio – la ragione, dicevo, ha un limite che è appunto il mistero. E questo limite lo rispetta, lo inquadra, ha uno sguardo adatto a leggere questo limite, il mistero, però è diverso dall’aderire ad una evidenza di fede. La trascendenza della verità la si può guardare da due lati: liberissimo – e anzi io sono felice di aver sentito questo da un principe della Chiesa – Mons. Crepaldi di dire che guardando la verità che ti trascende dal punto di vista parziale dell’osservazione del mistero come limiti non arrivi all’essenza, alla sostanza ontologica della verità, non arrivi a percepire in termini anche di conoscenza di fede la verità stessa. Può essere, ma non è una cosa che si può risolvere in un dibattito in un dialogo di alcun tipo. E’ una cosa che si risolve nella conversione delle vite e nella conversione delle culture.

Nessun commento:

Posta un commento