Chi ha tradito vita e famiglia? di Stefano Fontana e Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
Il 30 giugno il quotidiano Il Foglio ha pubblicato un articolo in cui il nostro collaboratore Francesco Agnoli analizzava il "tradimento" del Pdl nei confronti di quell'elettorato cattolico che vedeva nel maggiore partito di centrodestra un punto di riferimento per la difesa e la promozione dei princìpi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione. Da questa analisi è nato un dibattito che ha coinvolto altre firme de La Bussola Quotidiana, e che qui cominciamo a ospitare: Stefano Fontana, pur condividendo molte critiche al Pdl, sostiene che il vero problema sia nel mondo cattolici, dove né laici né ecclesiastici - a parte poche eccezioni - dimostrano di credere veramente che i princìpi non negoziabili siano il fondamento di una politica per il bene comune. Risponde Agnoli che invita a non sottovalutare quel popolo che aveva portato alla vittoria nel referendum sulla Legge 40 e al Family Day, ma che è stato tradito sia dal Pdl sia da tanti vescovi.
Infine, alleghiamo un'analisi di Marco Invernizzi sul discorso di insediamento di Angelino Alfano a segretario del Pdl, che ha offerto alcune indicazioni positive, da non far cadere.
Sono i cattolici a non credere nei principi non negoziabili di Stefano Fontana, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it
Su Il Foglio del 30 giugno, Francesco Agnoli affronta il tema dei rapporti del PdL con i cattolici e i principi non negoziabili. In sintesi la tesi di Agnoli è che il PdL è andato al governo anche con i voti dei cattolici promettendo la difesa dei principi non negoziabili, ma poi li ha sistematicamente snobbati e questo può essere un boomerang. Perché li ha snobbati? Per l’appoggio al Gaypride, la legalizzazione della pillola EllaOne, gli appoggi di Mara Carfagna al movimento Gay, il rifiuto di creare un ministero della famiglia dopo il Family Day, gli ostacoli posti a Roberto Formigoni all’indomani delle elezioni e così via. Perché può essere un boomerang? Perché priva il centrodesta di una vera e propria cultura di appartenenza.
Agnoli dice cose giuste. Tranne una. Egli presuppone che i cattolici siano interessati ai principi non negoziabili e che tre anni fa abbiano votato PdL per difendere i principi non negoziabili. Se lo scordi. Le cose non stanno così. Giusto puntare l’osservazione sul PdL, ma non possiamo non fissare lo sguardo anche sul mondo cattolico.
Bisogna (tristemente ma realisticamente) riconoscere che l’insistente richiamo di Benedetto XVI ai principi non negoziabili non è (ancora) filtrato alla base del mondo cattolico. E, per dirla con maggiore chiarezza, non è ancora filtrato nella testa di molti vescovi. Non se ne è pienamente compreso il significato strategico in ordine all’orientamento dei cattolici in politica, lo si intende ancora come un doveroso richiamo ma di uguale valore ad altri richiami su altri temi, come l’ambiente o l’energia. Si è ancora molto lontani dal comprendere che da quei “principi” dipende il legame pubblico del cristianesimo con il mondo, la difesa del creato e della legge naturale. La controffensiva contro l’esclusione del cristianesimo dal mondo passa per di lì.
Ci vuole tempo perché le idee filtrino, e ci vuole disponibilità a farle filtrare. Molti dicono “sì, sì” ma poi non fanno la volontà del Papa. L’appello ai principi non negoziabili non è semplicemente una tattica, è espressione di una teologia, di una visione dei rapporti tra Chiesa e mondo, richiede la riabilitazione della metafisica e della legge naturale, è diretta espressione della teologia del Dio-Logos che non ha fatto il mondo a caso, richiede la riabilitazione del concetto di verità. Ora, dove troviamo, nel mondo cattolico, tutto questo? In alcune isole, certo, ma non in modo diffuso. Fate un giro in ciò che scrivono i settimanali diocesani. Esaminate i programmi degli insegnamenti negli Istituti teologici. Guardate alla formazione di associazioni importanti come l’Azione cattolica. Dove trovate una sistematica adesione a questo orientamento? Nei Seminari forse? Nelle scuole di formazione sociale e politica? In qualche movimento, e non in tutti.
Uno dei motivi di fondo che impediscono alla prospettiva del Papa sui principi non negoziabili di venire accolta tra i cattolici è il seguente: essa presuppone che i principi della legge naturale abbiano bisogno del cristianesimo sia per essere conosciuti compiutamente sia per essere mantenuti ed applicati. E’ un aspetto della dipendenza, pure nella sua legittima autonomia, della natura dalla sopranatura. Ora, nel mondo cattolico in genere non si crede più che le cose stiano così. Dopo il Concilio, ma non per il Concilio, non si crede più che le cose stiano così. Eppure è davanti agli occhi di tutti che stanno così.
Prendiamo per esempio il matrimonio: scomparso il matrimonio religioso scompare anche il matrimonio civile. Se le cose potessero reggere sul piano naturale anche senza il soprannaturale, ad una diminuzione dei matrimoni religiosi dovrebbe corrispondere un aumento di quelli civili ed invece diminuiscono anche quelli. Senza il riferimento religioso il matrimonio, e con esso la legge naturale del coniugio, sparisce in quanto tale.
Tornando ad Agnoli, egli ha certamente ragione, ma si illude circa il mondo cattolico. Non voglio con ciò dire che non esistano pezzi significativi di modo cattolico che hanno compreso la posta in gioco, né negare che questi settori siano anche in aumento: ma i grandi numeri, le correnti ancora dominanti e i centri di potere (anche il mondo cattolico ha i suoi centri di potere) sono su un’altra strada. Lo ha confermato drammaticamente l’atteggiamento di fronte ai recenti referendum.
Nel PdL si può addirittura dire che questi settori cattolici a favore dei principi non negoziabili siano stati perfino sovra rappresentati. L’attuale sistema elettorale, che molti contestano e che per certi versi è contestabile, di fatto ha però permesso la cooptazione partitica di numerosi deputati cattolici o di sensibilità aperta al cattolicesimo dei principi non negoziabili. Il che ha permesso, per certi versi, di “tenere” temporaneamente.
La zapaterizzazione dell’Italia non c’è (ancora) stata. Non ha permesso certo la completa tenuta su fronti molto sensibili come quelli che Agnoli segnala. Ma il motivo di fondo di questi cedimenti è meno della variegata composizione del PdL che nella scarsa convinzione del mondo cattolico.
Non dimentichiamo le colpe del Pdl, un popolo c'è ancora di Francesco Agnoli, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it
Rispondere alle obiezioni di Stefano Fontana alla mia analisi pubblicata sul Foglio, non mi è difficile, perché mi trovo sostanzialmente d’accordo con quanto egli scrive, con la solita acutezza e schiettezza. Con qualche distinguo. Nel mio articolo, infatti, mi sono limitato ad esaminare solo una delle due parti in causa, il Pdl, e la sua crisi, senza parlare del mondo cattolico, e delle sue pecche, semplicemente per mancanza di spazio.
Ho scritto che, a mio modo di vedere, questo grande partito di centro destra non può che avere un riferimento culturale: la legge naturale, la dottrina della Chiesa. Altrimenti il centro destra non esiste, o è solamente un pensiero riguardo all’economia, al mercato, e nulla più; altrimenti si mette a ruota della sinistra, inarrestabile produttrice di ideologie e di utopie in prossima scadenza, e cerca di vivacchiare alla Gianfranco Fini: tentando di sdoganarsi ogni giorno di fronte ai poteri forti, sino a sposare le stesse posizioni della sinistra. Guadagnando così grandi spazi sui giornali ma perdendo i voti della gente. Nell’articolo citato sostenevo anche che il Pdl ha tradito l’elettorato cattolico: nominando un portavoce come Daniele Capezzone, per anni segretario radicale; rinunciando a battaglie ideali sulla Ru 486 e su ellaOne; emarginando personalità del mondo cattolico come Roberto Formigoni, che avrebbe aspirato, giustamente a dare un contributo al governo ecc, ecc…
Proprio di fonte a questa mia affermazione Stefano Fontana ha ritenuto giusto rilanciare: ma dove sono questi cattolici che votano in base ai principi non negoziabili? “Bisogna (tristemente ma realisticamente) riconoscere, ha aggiunto, che l’insistente richiamo di Benedetto XVI ai principi non negoziabili non è (ancora) filtrato alla base del mondo cattolico. E, per dirla con maggiore chiarezza, non è ancora filtrato nella testa di molti vescovi”.
Queste affermazioni non contraddicono affatto le mie, bensì le completano. Per questo concordo, sebbene non del tutto. Perché, come scrivevo appunto nel citato articolo, il mondo cattolico attento ai principi non negoziabili che ha votato il centro destra alle elezioni del 2008 non sarà stato, quanto al numero, di ampiezza immensa, come giustamente nota Fontana, ma c’era, e di ottima qualità.
Se vogliamo era un embrione, una vita nascente ancora non del tutto completa, ma promettente. Una realtà, come scrissi nell’articolo sul Foglio, “che si sarebbe potuto espandere se solo si fosse voluto curarla, annaffiarla, sostenerla”. Questa breve proposizione può chiarire il mio pensiero: un Pdl intelligente avrebbe dovuto far leva sulle forze pro vita esistenti, lanciandole, sostenendole, anche finanziandole, persino appoggiandole nel confronto-scontro interno al mondo cattolico. Non certo illudendole, tradendole ed abbandonandole, come è avvenuto. Penso che anche su questo si possa essere tutti d’accordo.
L’unica differenza tra la mia ottica e quella di Fontana sta nella valutazione di quell’ “embrione” di mondo cattolico sensibile ai principi non negoziabili, che io forse sopravvaluto, ma che Fontana, a mio parere sottovaluta. Mi spiego meglio: prima del 2008, cioè delle elezioni vinte dal centro destra, il mondo cattolico aveva dato alcuni forti segnali di vitalità, del tutto nuovi rispetto al passato. Il primo fu il referendum del 2005: ricordo di averlo vissuto, per scelta più di Giuliano Ferrara e di Dino Boffo, che mia, in prima linea, insieme a tantissimi medici, giuristi, giornalisti che hanno percorso l’Italia in lungo ed in largo, proponendo una certa visione della vita e della sua sacralità, in forte antitesi al pensiero nichilista della sinistra. Avevamo contro i giornali, le Tv, tutti i partiti di centro sinistra, alcuni esponenti importanti del centro destra, da Fini a Bocchino sino al ministro Prestigiacomo… Eppure possiamo ben dire che nelle città e nei paesi il monopolio degli incontri pubblici era nelle mani del fronte pro life. Ricordo ancora, per fare un solo esempio, il teatro di Sassuolo colmo, con 1000 persone, e il proprietario che ci diceva di non averlo mai visto così pieno da tanti anni… Quanta gente ho incontrato in quei giorni, carica, fiera, orgogliosa di difendere certi valori… Quanti giovani che parlavano di rispetto della vita, di famiglia, di amore coniugale, con convinzione! E quanti libri, opuscoli, volantini, sono spuntati improvvisamente da mille tipografie, da mille gruppi e gruppuscoli sorti come funghi, quasi dal nulla. Non per caso si vinse quel referendum, Davide contro Golia, ed alla grande!
Poi c’è stato il Family Day del 2007: più di un milione di persone sono scese in piazza, contro i Dico del governo Prodi. Un milione di cattolici contro le scelte di un premier “cattolico”, almeno di nome. Una cosa mai vista! E quei manifestanti, ingiuriati sui grandi giornali come “familisti”, “fanatici”, “intolleranti”, erano orgogliosi di proclamare apertamente la bellezza della famiglia naturale, la responsabilità di fonte a Dio e al coniuge come opzione per la vita.
Possiamo veramente dimenticare tutto questo? Possiamo scordare che il centro destra fruì di questa effervescenza, di questa grande esperienza di vitalità, anche in termini di voti?
Non penso. Allora dobbiamo anche chiederci chi ha ucciso quell’entusiasmo, quegli instancabili convegnisti ed oratori del 2005, quella folla, festante, allegra, decisa, del Family day? Non posso che ribadire il mio pensiero: li hanno uccisi certamente quei politici che non li hanno saputi né voluti interpretare. Quelli che, una volta al governo, non hanno fatto nulla di concreto per la famiglia, e che sono addirittura giunti, vedi Rotondi e Brunetta, a riproporre i Dico contro cui un milione di persone aveva da poco manifestato.
Lo hanno ucciso, quell’entusiasmo, e qui non posso che concordare con Fontana, coloro che più di tutti avevano il dovere di curarlo, annaffiarlo, sostenerlo: quei cattolici, ecclesiastici o laici che fossero, che non hanno saputo o non hanno voluto valorizzare e fare crescere, in consapevolezza, organizzazione, maturità, quella vitalità nascente, quell’ancora confuso, ma ampio, sentimento di ribellione contro il nichilismo imperante.
Cosa ha fatto il Pdl? Nulla. I vescovi italiani, con pochissime eccezioni? Nulla!
E’ finita che il bambino è stato strozzato nella culla. Gli hanno tolto l’aria, l’entusiasmo, l’ingenuità, la sincerità, la meraviglia: con le manovre di curia e di palazzo, il desiderio del quieto vivere, il conformismo, il ponzio-pilatismo, le strategie politiche adottate da chi dovrebbe pensare soprattutto alle anime, alla loro salvezza eterna, e la mancanza di strategie politiche da parte di chi la politica la fa tutti i giorni…
Si era radunato un esercito, in modo quasi miracoloso, certo inaspettato, ma nessuno ha voluto mettersi alla testa; i più, soprattutto nel mondo ecclesiastico, non hanno voluto tenere alta la bandiera; chi invece l'ha presa in mano l'ha subito mollata o se ne è dimostrato indegno.
Stupirsi se poi c’è stato il naufragio, la delusione, lo sconforto? Se quell’esercito che aspettava di essere istruito e guidato, per arruolare nuove forze, si è sciolto? Se nel mondo cattolico, i credenti “adulti”, gli amici di Pisapia, hanno ripreso vigore e sicumera?
Rimane però, a mio avviso, una certezza: se quelle idee sui “principi non negoziabili” sono state capaci di smuovere così tanto la “morta gora” della politica e di creare entusiasmi in tanti cattolici abituati ormai alla sonnolenza spirituale e culturale delle loro parrocchie, allora possono tornare a farlo. Se c’è chi prende in mano la bandiera…
Da Alfano segnali incoraggianti di Marco Invernizzi, 04-07-2011, http://labussolaquotidiana.it
Esaminato dal punto di vista dei principi non negoziabili, il discorso d'insediamento del neo-segretario Angelino Alfano pronunciato venerdì scorso davanti al Consiglio nazionale del Pdl ha promesso molto per il futuro del partito. Bisognerà poi vedere se si riuscirà a passare dalle parole ai fatti.
Le prime parole sono state incoraggianti. Dopo avere ricordato le proprie origini politiche, nel 1994, come candidato alle elezioni provinciali della sua Agrigento nella neonata Forza Italia, Alfano ha voluto subito mettere al centro della cultura politica del Pdl il diritto alla vita, la centralità della famiglia e la libertà di educazione.
Non sono sembrate frasi di circostanza, come spesso accade quando uomini politici vogliono dare un di più di carattere culturale alla propria iniziativa politica, in questo caso al partito che si accingono a guidare.
Importante, per esempio, il "modo" con cui ha scelto di presentare l'importanza politica del diritto alla vita. Quest'ultimo, ha detto Alfano, non può dipendere dalle decisioni di un Parlamento perché non sono le maggioranze politiche che danno o tolgono la vita. Parole importanti soprattutto se pronunciate da chi, come Alfano, avendo militato nel movimento giovanile della Dc, potrà farsi ricordare la confusione imperante nella dirigenza di quel partito fra volere della maggioranza e diritti del concepito, quando negli anni Settanta era in corso la grave e grande battaglia attorno alla legge 194 che legalizzava l'aborto.
Non solo, ma Alfano ha voluto anche ricordare come il suo partito riconosca la Costituzione del 1948 ma, a differenza della sinistra, non ritenga che i valori di riferimento per una identità nazionale si trovino in essa. La Costituzione, ha detto il segretario del Pdl, rappresenta il regolamento che determina le regole del gioco, ma i valori la precedono. Si tratta di una precisazione importante perché si oppone decisamente all'ideologia del patriottismo costituzionale che pretende di costruire l'identità di un popolo facendo calare dall'alto, attraverso la scuola, le istituzioni, i media e la cultura, un progetto di società che prescinde dalla realtà e dalle radici.
Insomma, Alfano ha ricordato che non bisogna "fare gli italiani" ma riconoscere le radici dell'identità italiana, proteggerla e valorizzarla. In questo senso credo si possano leggere le sue parole sulla preminenza della società rispetto allo Stato, ricordate con la fortunata espressione "più società e meno Stato".
Allo Stato Alfano ha dedicato molti passaggi del suo discorso, riprendendo alcune delle idee-forza che più caratterizzarono la discesa in campo di Silvio Berlusconi e poi per tante ragioni mai realizzate. Lo Stato non deve perseguitare fiscalmente gli italiani, conditio sine qua non affinché poi si possa pretendere, e giustamente ha ricordato Alfano, che i cittadini non evadano le imposte. Ma lo Stato dovrebbe anche permettere ai genitori di scegliere liberamente la scuola per i loro figli senza aggravi economici nel caso volessero scegliere una scuola diversa da quella statale. Questo punto, il terzo dei principi non negoziabili, è stato rivendicato con forza così come il secondo, quello che stabilisce la famiglia come cellula fondamentale della società. La famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, ha detto con forza Alfano, e faceva una certa impressione vedere in prima fila il ministro delle pari opportunità, Mara Carfagna, applaudire con convinzione le parole del suo leader politico. Speriamo che quanto avvenuto venerdì al Consiglio nazionale del Pdl sia il preludio affinché venga messa da parte definitivamente la proposta di una legge contro l'omofobia che in realtà in tutto l'Occidente è stata la chiave per introdurre il riconoscimento del matrimonio gay.
Oltre ai tre fondamentali principi della dottrina sociale della Chiesa, Alfano ha ricordato altre cose importanti ed eticamente sensibili.
Intanto ha ricordato con forza l'appartenenza all'Occidente del partito che ha cominciato a dirigere, intendendo con Occidente una cultura e una civiltà, non una mera espressione geografica. Occidente che ha un grande problema, ha ricordato Alfano verso la fine del suo intervento, quello demografico: un popolo dove non ci si sposa e non si fanno figli è destinato alla decadenza e per questo Alfano ha promesso di rilanciare un grande piano per la casa, affinché tutti i giovani che lo vogliono possano accedere ai finanziamenti necessari per avere la prima casa e potersi sposare. Un punto importante, spesso sottovalutato se non da pochi economisti, come il presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, che ricorda continuamente appunto la centralità politica del problema demografico in Italia e in generale nel mondo occidentale.
Il richiamo all'Occidente è servito ad Alfano anche per ricordare come il Pdl appartenga al Partito popolare europeo e non possa essere marginalizzato e isolato come una sorta di anomalia passeggera, così come vorrebbero gli avversari politici di Berlusconi in Italia, che da anni cercano di sostenere la presunta “impresentabilità” all’estero del Pdl e del suo leader.
Buono l'inizio, dunque. Ma i problemi sono tanti, a cominciare da un partito complicato, dove sono presenti personalità con storie politiche molto diverse, finora tenute insieme dal carisma di Berlusconi, ma che potrebbero scontrarsi, culturalmente ma soprattutto per contare di più dentro un partito che sta cominciando ad assumere una fisionomia normale, cioè politica.
Gli applausi che hanno accompagnato i passaggi del discorso di Alfano quando ha evocato i principi non negoziabili sono apparsi autentici, anche e forse proprio perché non erano forzate ovazioni da stadio. Ma come si sa un partito, soprattutto il primo partito d'Italia, che governa da tre anni e fra due ritornerà a chiedere di essere scelto dall'elettorato, deve tenere conto dell'opinione pubblica, della “pancia” del Paese. E qui si rivela l'intreccio tra i valori e la possibilità concreta di tradurli in proposte di legge o comunque di difenderli da altre e avverse proposte di legge. Un intreccio difficile e complesso per verificare quanto bene comune sia storicamente raggiungibile in un determinato contesto storico.
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