DIBATTITO/ Nessuna teoria (e laboratorio) ci fa rinascere da capo... di Salvatore Abbruzzese, giovedì 14 luglio 2011, http://www.ilsussidiario.net/
Per l’uomo contemporaneo, cioè quello che fruisce - almeno potenzialmente - del capitale informativo e culturale che caratterizza l’attuale società globale, la lista delle scelte possibili non fa che allungarsi, estendendosi di giorno in giorno al di là di ogni confine tradizionalmente ereditato. Si può scegliere ciò che fino a ieri appariva immutabile, pensando così di poter ragionevolmente modificare non solo le condizioni materiali di vita ed i modelli di espressione, ma anche le proprie caratteristiche fisiche ed il proprio stesso genere.
Il problema è pertanto aperto, ma le sue radici non sono affatto inedite. L’estensione illimitata delle opportunità ed il conseguente aumento delle potenzialità di scelta del singolo non datano da oggi ma sono al centro della modernità come progetto culturale. Nei fatti è la modernità nella quale siamo nati che alimenta costantemente la speranza di un’estensione crescente e potenzialmente illimitata delle opzioni, cioè delle scelte a disposizione. Estendere quanto più possibile le occasioni di scelta - come ricorda Dahrendorf nel 1979 - è un obiettivo che si situa al cuore del progetto moderno, ne costituisce il vero e proprio motore motivazionale, quello che ne alimenta incessantemente la dimensione progettuale. Per un mondo fondato sulla libertà, quest’ultima ha tanto più senso quanto più il soggetto può scegliere tra una serie crescente e potenzialmente illimitata di opportunità di vita.
Il dato inedito, quello alimentato dai recenti sviluppi della scienza contemporanea, è costituito dalla possibilità di far rientrare nella rete delle opzioni a disposizione anche quei dati del corredo naturale che fino a ieri si sono presentati come il più incontrovertibile dei dati di fatto. Una tale possibilità di scegliere anche le caratteristiche connesse alla propria natura psichica e fisica, non presenta solo dei problemi sul piano etico e politico, ma trasforma completamente i termini stessi del confronto tra modernità e tradizione.
La prima infatti vede transitare la propria dimensione progettuale dal piano sociale e politico a quello delle caratteristiche fisiche e psichiche. Emersa affermando un progetto di emancipazione sul piano sociale, la società moderna declina presentando un programma di trasformazione genetica. Nata con il diritto collettivo alla presa di parola, la modernità tramonta nel diritto del soggetto alla ridefinizione del proprio sé. Insediatasi nel laboratorio politico si risolve nell’accomodarsi in quello genetico.
Ma anche la tradizione, in modo quasi automatico, cambia decisamente il proprio profilo, passando dalla sottoscrizione di un codice etico e normativo già dato, alla definizione di un nuovo modello realizzativo. Il soggetto, anziché tendere alla moltiplicazione delle opportunità, si volge qui al reperimento ed alla ricostruzione dei legami e delle relazioni significative. La dinamica della tradizione si evolve passando dalla semplice sottoscrizione dello status quo alla ricerca delle appartenenze vincolanti. Alla reversibilità delle scelte proposte dalla modernità, la tradizione replica con l’irreversibilità delle relazioni significative. Non si tratta qui solo delle scelte del legame paterno e materno a rivelarsi, una volta effettuate, del tutto immodificabili, ma tutte le scelte affettive e vocazionali rivelano la stessa dinamica di irreversibilità: ne è prova la ferita che resta aperta per sempre, ogni qual volta tali “scelte di legame” vengono annullate da una rinuncia personale. Non c’è scelta di vita veramente autentica che non coinvolga la radicalità dell’essere e, per tale strada, si presti ad essere pensata e vissuta come implicitamente irreversibile.
La dislocazione della modernità dal piano delle rivendicazioni sociali a quello dell’autodeterminazione personale, provoca così una trasformazione radicale del confronto con la tradizione.
Nel passato lo scontro tra tradizione e modernità si realizzava intorno all’ordine etico socialmente dato e giuridicamente codificato. Il discrimine si sviluppava tra due letture della realtà: la prima, tesa ad un’adesione incondizionata all’autorità dell’“eterno ieri” che di quest’ordine costituiva la premessa legittimante, la seconda, volta alla ricerca altrettanto incondizionata del mutamento ed alla conseguente esaltazione del nuovo inteso come senso normativo della storia.
Nel presente la linea di separazione tra modernità e tradizione, e quindi l’elemento strutturale di differenziazione, si sviluppa invece nella divaricazione crescente tra chi persegue un’estensione illimitata delle scelte a disposizione e chi, al contrario, mira ad una ricerca altrettanto estesa delle relazioni significative.
Si sviluppa così una differenziazione sempre più chiara tra due diverse antropologie: una, propria della modernità, che vede il soggetto teso a liberarsi da ogni vincolo ed a volgersi alla ricerca di una sempre più completa affermazione del proprio sé; l’altra, propria della tradizione, dove questi, all’opposto, appare sempre più attento ad una piena e definita affermazione delle relazioni significative all’interno delle quali si situa e si definisce. Ad un’emancipazione del soggetto conseguente al riconoscimento del “diritto ai diritti” e quindi teso all’autodeterminazione radicale di ciò che sceglie di essere, si contrappone una realizzazione della persona volta al riconoscimento dei legami e delle reti di relazione alle quali scegli di legarsi. Nella prima il soggetto corona il proprio successo nella misura in cui accede ad una rete sempre più vasta di opzioni, nella seconda questi vede la propria realizzazione nel rintracciare e riconoscere i legami che lo definiscono. In questi legami il soggetto rintraccia il proprio stesso volto, quello che non vuole affatto cambiare e per il quale ogni potenziale trasformazione genetica è semplice follia.
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