COSA CI INSEGNA SUGLI ANTIBIOTICI IL BATTERIO KILLER di Remuzzi Giuseppe, Corriere della Sera di lunedì 27 giugno 2011, pagina 23
Dell'«E.coli oio4:H4», quello che in Germania ha colpito 3.600 persone e ne ha uccise 39 si è detto e scritto molto. E stata la più grave epidemia mai vista con questo tipo di Coli anche se non la peggiore per il numero di persone colpite. Anche questa volta come in Giappone agli inizi degli anni 90 il batterio lo si è trovato nei germogli di vari legumi di un'azienda biologica della bassa Sassonia. E potrebbe esserci dell'altro: Der Spiegel di questa settimana suggerisce che il Coli potrebbe essersi annidato nelle condutture d'acqua dei piccoli centri. Verissimo e non sarebbe la prima volta. Però le condutture trascurate delle cittadine tedesche non spiegano i casi della Svezia, dell'Austria, dell'Inghilterra e di tanti altri paesi. Insomma è un problema complesso, ci vuole tempo. Intanto i medici dell'Università di Amburgo hanno descritto le caratteristiche dell'epidemia nel New England Journal of Medicine di questi giorni, un bel passo avanti. E i microbiologi del Robert Koch Institute hanno confrontato il batterio dell'epidemia della Germania con gli altri della stessa famiglia. «E stata una corsa contro il tempo» scrivono nel lavoro appena uscito online su Lancet Infectious Diseases. Cosa hanno fatto? Hanno prima confrontato l'«E.coli oio4:H4» con uno molto simile che è stato responsabile di un'epidemia nel Montana nel '94. Là 11 persone si erano ammalate per aver bevuto del latte non pastorizzato (di un'azienda biologica). I due ceppi, quello tedesco e quello del Montana, differiscono per una proteina che si trova sui «flagelli», certi lunghi baffi che consentono al batterio di muoversi. Ma non basta, «E.coli oio4:H4» ha acquisito la capacità di produrre beta-lattamasi, una sostanza che neutralizza l'azione di certi antibiotici. Ce ne sono di Coli così, che si selezionano soprattutto negli Ospedali e nelle comunità, ma finora nessuno dei Coli che producono verotossina sapeva produrre anche beta-lattamasi. Insomma i microbiologi tedeschi hanno trovato due brutte cose in un solo germe. A questo punto potrebbe anche darsi che il batterio così modificato si sia adattato all'ambiente intestinale dell'uomo, insomma l'origine animale per questa epidemia della Germania non è affatto sicura. Mentre c'è il forte sospetto che la capacità dell'«E.coli oio4:H4» di produrre beta-lattamasi possa dipendere dall'uso indiscriminato di antibiotici che veterinari e allevatori hanno fatto in tutti questi anni (li mettono persino nel cibo). È per cercare di ridurre il rischio di infezioni in allevamenti quasi sempre troppo affollati. Non c'è modo migliore per selezionare ceppi resistenti, che alla lunga danneggiano gli stessi animali e rappresentano una grande minaccia per l'uomo. Ma la resistenza agli antibiotici non basta a spiegare i danni renali provocati «E.coli oio4:H4» e le lesioni al cervello che possono portare a coma e morte. E allora?. Questo Coli aderisce alle pareti dell'intestino più tenacemente di qualunque altro («sembrano dei mattoni appiccicati alla parete —ha detto la dottoressa Karch, se lo vedi una volta non te lo dimentichi più») così si riversa nel sangue una grande quantità di tossina. E così che «il cibo può uccidere» scrive Nicholas Kristof sul New York Time del-l'ii giugno. Appunto, siamo proprio sicuri che tutto quello che è «biologico» sia buono e che i cibi prodotti dall'industria, con tanto di etichetta che ne certificano la qualità, siano invece concentrati di sostanze chimiche dannose? Sentite questa: nell'ottobre del 1986 in Canada si ammalano 70 persone quasi tutti hanno diarrea emorragica, 25 finiscono in ospedale con la sindrome emolitico uremica e uno muore. Tutti quelli che s'erano ammalati avevano bevuto succo di mela che veniva dalla stessa azienda, paradiso dell'agricoltura biologica dove c'era di tutto, persino cervi in libertà. Così le mele una volta cadute a terra venivano a contatto con gli escrementi degli animali e il Coli questa volta finiva nel succo di mela. Una mela al giorno leva il medico di torno. Di solito, ma non è sempre così.
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