Petrucciani, spirito indomito in un corpo disobbediente di Tommaso Scandroglio, 22-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it/
Fate un esperimento. Provate a porre ad un collega, un parente o amico dalle solide idee laiciste il seguente quesito: una donna aspetta un bambino affetto da una grave patologia per cui mai supererà il metro di statura e i 30 kg di peso, che soffrirà tutta la vita per un morbo che gli procurerà continue fratture ossee e che infine morirà in giovane età. Cosa consiglieresti a questa donna? Non serve possedere le doti da oracolo della Pitia per prevedere che il più delle volte il consiglio del collega o amico sarà assai infausto per il piccolo nascituro.
Michel Petrucciani (si pronuncia alla francese: Petruccianì), grandissimo pianista jazz nato in Francia nel ‘62, era proprio questo: 97 centimetri per 27 kg di assoluto genio. Una vita tanto luminosa sui palchi di tutto il mondo quanto oscuramente dolorosa. Petrucciani infatti era affetto da osteogenesi imperfetta, morbo congenito conosciuto anche come sindrome dalle ossa di vetro. Una malattia genetica che priva le ossa del calcio necessario per poter sostenere il peso del corpo e che impedisce la crescita. E così la breve esistenza di Michel fu costellata da continue fratture anche durante le sue esibizioni. Come quella volta in cui in un recital al Donizetti di Bergamo si spezzò il braccio destro.
Già a quattro anni mette le mani sulla tastiera, grazie al padre chitarrista. Tutto il suo corpo gemeva, ma le mani al contrario sui tasti cantavano. Se ogni parte del suo fisico malato lo tradiva, le sue dieci dita invece rimasero fedeli al suo talento sino all’ultimo. E così il piccolo Michel inizia ad improvvisare al piano, genere in cui in futuro eccellerà. Poi un giorno scopre Duke Ellington: “Per me fu una specie di folgorazione. Evidentemente avevo buon gusto. Allora papà mi regalò una pianola. Ringraziai, ma mi sembrava uno strumento un po’ finto. Decisi di prenderlo a martellate. In quel momento capii che la musica vera sarebbe stata nel mio destino”. Comprende che la musica classica non è la sua vocazione, bensì il jazz. A 13 anni la svolta. Incontra Clark Terry, trombettista americano, e riesce a suonare con lui. Terry così ricorda quell’incontro: “Quando me lo vidi davanti lì per lì pensai di tutto. Michel aveva 13 anni e un fisico sfortunatissimo. Ma non appena prese possesso del pianoforte fu uno spettacolo già nelle prove. E la sera del concerto si superò addirittura”.
Da quel momento l’ascesa di questa stella non conoscerà soste e il minuto Petrucciani diventerà un gigante del pianismo jazzistico mondiale. Gli ostacoli per lui sono opportunità di perfezionarsi. Data la sua bassa statura gli viene costruito un marchingegno per arrivare ai pedali del pianoforte, altrimenti irraggiungibili. Il fatto che poi si sia abituato a non usare il pedale di risonanza – quello che permette alle corde di continuare a suonare anche dopo che non si tiene più premuto il tasto – lo ha costretto ad un suono pulitissimo e a realizzare “legati” tra le note davvero incredibili.
I suoi concerti diventano esperienze di vita, non solo happening musicali. Il sassofonista Wayne Shorter a tal proposito ricorda che “Michel proponeva ‘soli’ su tempi francamente impossibili. Cominciava a salire di tonalità per arrivare a un certo punto che la tastiera appariva sempre più lunga. Quasi irraggiungibile. Lontanissima e infinita. Si teneva al pianoforte con la mano sinistra, si immedesimava con lo strumento. Il pubblico in quei momenti non fiatava neppure, temendone il crollo inesorabile. Invece inesorabile lui proseguiva, regalando un autentico spettacolo di suoni e colori. E non sapete quanto si divertiva a far spaventare i suoi fan”.
La sua fama e bravura lo portano non solo a suonare insieme alle stelle del jazz ma anche a fare incursioni in mondi musicali a lui sconosciuti ma esteticamente sempre affini. Nel luglio del 1998 suona per due volte con Riccardo Muti e la Filarmonica della Scala in altrettanti concerti gershwiniani. Alla domanda di Petrucciani rivolta a Muti: “Ma perché ha scelto me?”, pronta arriva la risposta del maestro: “La stimo molto, la ritenevo indispensabile per le parti improvvisate”.
Suonò davanti anche a Giovanni Paolo II in occasione del Congresso Eucaristico nel 1997 a Bologna. “È stato uno choc – raccontò -. Non importa che uno sia credente o no. Suonare davanti a lui e con quattrocentomila persone presenti. Bisogna provare per rendersene conto. Anche Lucio Dalla, che mi ha chiesto di accompagnarlo in un pezzo, era impressionato. Come Dylan, anche se il cantautore americano faceva l’indifferente”.
Due figli e due mogli, una vita spesa per la musica e non certo a lagnarsi. “Non ho mai sentito Michel lamentarsi di nulla. Non si guardava allo specchio per rattristarsi di quello che vedeva. Era un grande musicista ed era un grande essere umano”, rammenta sempre Wayne Shorter. Un’esistenza che si è spenta a soli 36 anni il 6 gennaio 1999 a Manhattan per gravi complicazioni polmonari, mentre stava preparando una rilettura dei concerti per pianoforte di musica sacra di Duke Ellington. Il destino ha voluto che il testamento spirituale del compositore afroamericano fosse anche quello di Petrucciani.
Oggi, 22 giugno, esce in Italia un film documentario a lui dedicato: Michel Petrucciani – Body & Soul, che racconta tutta la sua straordinaria vita. Un omaggio ad uno spirito indomito in un corpo disobbediente. Questo era infine Michel Petrucciani: la fortezza di un genio custodito in un corpo fragilissimo. Ma, ci verrebbe da domandare, le cose più preziose non sono forse le più fragili? Quelle verso cui dobbiamo prestare più attenzione?
Petrucciani oggi sarebbe un sicuro candidato all'aborto terapeutico, dato che, secondo l’etica funzionalista, il suo fisico non sarebbe in grado di raggiungere quella minima soglia di perfezione fisica sufficiente per vedersi riconosciuto il diritto a vivere. Il maestro deforme del jazz incarna il paradosso del funzionalismo: non avrebbe dovuto nascere perché mancante di alcune abilità. Ma proprio una persona con handicap è più abile di un cosiddetto normo-dotato. E' l'autoconfutazione del salutismo eugenetico. Infatti se non fosse stato malato quasi certamente non sarebbe stato così geniale, perché l'handicap – e i ciechi lo dimostrano bene - lo ha costretto ad affinare altre sua capacità. La disfunzione è stata per lui il crogiolo grazie al quale è stato distillato il suo talento musicale. Senza l’osteogenesi imperfetta non avremmo dunque avuto Michel Petrucciani: l’uomo di vetro dalle mani prodigiose. Davvero un diversamente abile nella musica – ci verrebbe da commentare – se pensiamo a noi comuni e normali mortali.
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