«Quel minuto in più da dedicare al malato» - Medicina e Persona, Congresso da oggi fino a sabato a Milano - Il presidente Marco Bregni: «La sanità cambia se il medico si fa coinvolgere» di Enrico Negrotti, Avvenire, 23 giugno 2011
L’operatore sanitario non dovrebbe rinunciare a cercare soddisfazione nel proprio lavoro: ma questo si ottiene mettendosi in gioco in prima persona.
Senza cancellare la necessità di competenza scientifica». L’oncologo Marco Bregni, presidente di «Medicina e Persona», presenta il tema del sesto Convegno internazionale dell’associazione, che si svolge da oggi a sabato a Milano: «Quel minuto in più. Una sfida per sé, una necessità per il malato». Un appuntamento biennale che l’associazione di medici e operatori sanitari, nata nel 1999, dedica ad approfondire i temi sanitari in modo non scontato e spesso controcorrente.
Il titolo del convegno sarà senz’altro sottoscritto dai pazienti. Ma i medici lo condividono? «Siamo partiti dalla frase iniziale del manuale di medicina più diffuso al mondo, "Principi di medicina interna" di Randolph Harrison che recita: "Nessuna opportunità più grande, responsabilità più grande, e impegno più grande può ricadere sulle spalle di un uomo come quella di decidere di fare il medico. La professione medica richiede competenza tecnica, conoscenza scientifica e comprensione umana".
Noi di Medicina e Persona ci siamo chiesti perché, nel 1950, un manuale di medicina, un testo tecnico, parlasse di comprensione umana. Ci si potrebbe chiedere: al medico cosa importa? Il suo scopo è curare bene la gente. In realtà se il professionista non mette in gioco la propria umanità nel rapporto col paziente, non riuscirà a cambiare nulla. Il cambiamento nella sanità non viene da una riforma più intelligente, ma dal fatto che il professionista si coinvolga con il bisogno del paziente».
Quale ascolto ha un discorso del genere in un mondo sanitario che punta perlopiù sulla professionalità, di alto profilo, ma asettica?
«È la scommessa di questo convegno: secondo noi una medicina che è fondata sul minuto in più, cioè sul coinvolgimento diretto degli operatori sanitari, è anche più conveniente dal punto di vista clinico e dell’uso delle risorse. E cerchiamo di dimostrare questo assunto attraverso fatti ed esperienze, anche scientifiche, che dicono come questo sia possibile per il medico e conveniente per tutti, medico, paziente e servizio sanitario».
Che peso ha il dedicare un minuto in più nelle situazioni di cronicità?
«Ci sono alcuni ambiti in cui il minuto in più diventa una necessità: malattie croniche, pazienti non guaribili, anziani con disabilità. In questi casi tale approccio ha un valore particolare. Ma anche in altri ambiti della medicina: per esempio con i pazienti malati di Aids, perché la semplice terapia con farmaci antiretrovirali non è sufficiente».
Si parlerà anche di organizzazione del lavoro. Come trovare un minuto in più, se il tempo è denaro?
«Il fatto di ritenere come prioritaria la relazione tra medico e paziente ci fa dire che l’organizzazione per intensità di cura, che stanno assumendo i nuovi ospedali non ci convince. Sono costruiti in modo che i pazienti vengano ricoverati in base alle necessità assistenziali: reparto ad alta intensità di cura, poi intensità intermedia, e così via. Un sistema razionale per l’ospedale, ma che non favorisce il rapporto di cura: il medico non ha più un reparto, ma gira per l’ospedale per trovare i suoi pazienti.
Noi mettiamo in discussione questo approccio, ritenendolo meno rispettoso del rapporto medicopaziente».
Lavorando in èquipe è più facile trovare un minuto in più?
«Al convegno presenteremo diverse esperienze, perché ci sembra che lavoro in èquipe come viene concepito sia un modello un po’ obsoleto. Di solito si prevede il paziente al centro e intorno, a raggiera, tutti gli altri specialisti. Crediamo che sia più interessante e utile che il lavoro dell’équipe parta come soggetto unico, deve essere un gruppo già unito, con protocolli e modalità operative comuni e che poi prende in carico il paziente».
Si parlerà anche di ricerca: da quale punto di vista?
«Siamo interessati alla ricerca, perché la medicina va avanti sulla base della sperimentazione clinica. Ma ci domandiamo: chi è il beneficiario della ricerca clinica? Dovrebbe essere il paziente, ma spesso sembra sia fatta per altri interessi, da quelli dell’azienda farmaceutica a quelli del medico che acquista notorietà. Ne discuteremo con chi fa sperimentazione clinica».
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