lunedì 18 luglio 2011

Avvenire.it, 17 luglio 2011 – SCIENZA - Ipocondria e un doloretto diventa malanno di Riccardo Maccioni

Per combattere il male che non c’è, «un clistere insinuativo» e di sera un «giulebbe epatico». Senza dimenticare «una buona medicina purgativa» e «una pozione analgesica e astringente», da abbinare a «una dose di fermenti lattici» e a una «pozione cordiale e preservativa». Il malato immaginario di Molière è un concentrato di paradossi terapeutici e assurdità farmacologiche.

Perché Argante, il protagonista, non soffre nel fisico ma nell’animo. La sua patologia si chiama male di vivere, è l’ingenua, miracolistica fiducia in una classe medica che non può curare ciò che non conosce, è l’affetto verso chi gli sgomita intorno solo per avere libero accesso al suo patrimonio. Eppure quella maschera tragicamente comica è più attuale di quanto si creda. La ritrovi in chi abbina un piccolo dolore a una grande malattia, nei voraci consumatori delle riviste mediche, nelle migliaia di pagine internet con domande e risposte sulle sindromi più improbabili. Anzi, proprio la maniacale ricerca di conferme alla gravità del proprio stato è a suo modo patologica.

«Molti guardano all’ipocondriaco come a un "malato immaginario" o come a qualcuno che trae gratificazione dal presentarsi agli altri come ammalato – spiega lo psichiatra e psicoterapeuta Daniele Piacentini, responsabile dell’ambulatorio psicosociale di Zogno, presso l’azienda ospedaliera di Treviglio, in provincia di Bergamo –. La realtà è invece molto diversa: l’ipocondria determina un reale stato di sofferenza. Però mentre il soggetto lo attribuisce alla presenza di un disturbo organico, il problema ha invece un’origine prevalentemente psicogena».

Daniele Piacentini, assieme a Daniela Leveni e Marco Lussetti è autore del recente volume Ipocondria. Guida per il clinico e manuale per chi soffre del disturbo (edizioni Erickson, pagine 250, euro 21). Punto di partenza e la messa al bando di ogni tipo di sottovalutazione. Perché l’ipocondria, a dispetto della valenza negativa data alla parola, è a tutti gli effetti, una malattia. «Negli ultimi anni – prosegue il dottor Piacentini – si è via via diffuso il termine di disturbo d’ansia per la salute. Si prevede che la prossima edizione del Manuale internazionale di classificazione dei disturbi mentali (ovvero il Dsm-V, ndr) adotterà proprio questa definizione».

La patologia, in una diversa gradualità di forme e sintomi, è molto diffusa. Per averne conferme forse basterebbe contare la pastiglie che abbiamo nelle tasche della giacca oppure passare in rassegna quelle fornitissime farmacie che sono i nostri bagni. Per tacere delle ore passate davanti allo specchio a misurare la grandezza di nei e foruncoli.

«Circa il 10%-20% delle persone sane presentano periodicamente preoccupazioni eccessive sul proprio stato di salute – prosegue Piacentini –. E dal 30% all’80% di chi si rivolge al medico lamenta sintomi che non hanno riscontri obiettivi». La diagnosi di ipocondria però non è facile. Chi ritiene di essere malato nel fisico accetta con grande difficoltà di soffrire nello spirito.

Di qui l’importanza della collaborazione tra lo psicoterapeuta e il medico di base, primo referente del malato. «Nessun invio per un trattamento psichiatrico dovrebbe essere fatto prima di aver ragionevolmente escluso malattie fisiche – spiega Piacentini –. Rassicurazioni sbrigative, prescrizioni di psicofarmaci o invii prematuri ai servizi di salute mentale potrebbero far pensare al paziente di non essere preso sul serio e impedire che si crei un rapporto di collaborazione e fiducia. In ogni caso è necessario fargli capire che si comprendono il suo dolore e le sue sofferenze».

Una complicità, un’accettazione reciproca, tra medico e malato, che va cementata giorno dopo giorno. «Il fulcro centrale dell’ansia per la salute – aggiunge Piacentini – è la preoccupazione di avere una malattia fisica e di essere in pericolo di vita, quindi è abbastanza ovvio aspettarsi una certa incredulità se non addirittura ostilità nei confronti di un trattamento che ha come scopo, semplicemente "interrompere" la preoccupazione».

L’obiettivo terapeutico del paziente è infatti completamente diverso: vuol essere sicuro di non stare per morire. Qualunque altra proposta appare insufficiente e limitata. «Molti arrivano dal terapeuta con un profondo senso di imbarazzo e un’altrettanta intensa paura di non essere capiti. È importante allora rendergli chiaro che si considerano i sintomi reali e non il frutto d’immaginazione». L’ipocondria si cura. «Sono disponibili terapie efficaci sia farmacologiche che psicoterapiche – continua il dottor Piacentini –. I dati più esaustivi si riferiscono alle psicoterapie ad orientamento cognitivo comportamentale, che dovrebbero pertanto essere considerate di prima scelta, anche perché preferibili dalla maggior parte dei pazienti».

L’obiettivo principale è ridurre l’intensità e la frequenza delle preoccupazioni, migliorando il rapporto con gli altri oltreché con se stessi, facendo diminuire il bisogno di rassicurazioni. Senza dimenticare – sottolinea ancora lo psichiatra Piacentini – che se il paziente sta meglio si riduce «l’uso improprio delle risorse offerte dal sistema sanitario».

L’Argante di Molière in fondo ce lo insegna: le malattie, anche quelle solo immaginarie, fiaccano il fisico e alleggeriscono le tasche. Il rimedio è nel coraggio della realtà, nell’amore magari un po’ ruvido di parenti affezionati e veri amici. A suo modo, una psicoterapia anche quella.

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