Avvenire.it, 15 giugno 2011 – INTERVISTA - Il primario: «La disinformazione c’è ma sui servizi alla vita» di Lucia Bellaspiga
Le chiamano “madri segrete”: mettono al mondo un figlio e poi spariscono, lasciandolo in ospedale, alle cure di chi saprà allevarlo meglio di loro. Di solito evitano di guardarlo, sanno che un incrocio di sguardi potrebbe bastare per farle tornare sui propri passi e non se lo possono permettere. O almeno ne sono convinte, perché invece spesso basterebbe un aiuto economico e una presenza amica per rendere possibile l’impossibile. Così «se ne vanno, curve su se stesse, sole come sono arrivate», scriveva la Repubblica il 10 giugno, per arrivare infine al proprio assioma: tutto ciò avviene perché nessuno le informa del fatto che possono abortire. «L’informazione non è sufficiente», denunciava il giornale, «molte straniere arrivano da Paesi dove l’aborto è fuorilegge» come il Perù, così se quei bambini riescono a vedere la luce è “colpa” dell’«informazione che non c’è, non passa»...
Alessandra Kustermann è primario al Pronto soccorso ostetrico e ginecologico della Mangiagalli di Milano, nonché responsabile del Soccorso violenza sessuale e domestica. Medico laico e non obiettore.
Perché queste giovani donne scelgono di dare il proprio figlio in adozione, anziché abortirlo? Davvero per ignoranza?
Secondo me le donne che scelgono di affidarlo ad altri non sono le stesse che potrebbero anche scegliere di abortire: hanno caratteristiche psicologiche, sociali e culturali diverse. Possono essere state lasciate dal padre del bambino durante la gravidanza, oppure si sono accorte di non essere in grado di far fronte economicamente e psicologicamente alla nascita di un bambino. Sono donne fragili, insomma, ed è la fragilità a impedire loro di divenire madri in quella fase particolare della loro vita, ma non pensano di ricorrere all’aborto.
Preferiscono abbandonare il figlio, piuttosto...
Non è giusto parlare di “abbandono”, è un termine che spesso non le descrive. Di fatto sono donne – almeno molte di loro – che provano un forte amore per quel bambino e pensano che la famiglia che lo adotterà saprà garantirgli un futuro migliore e più equilibrato di quanto non sarebbero in grado di fare loro. Sono persone in qualche modo eroiche. Vorrei far passare un messaggio di apprezzamento per la loro scelta.
Una scelta comunque sofferta. E l’alternativa o addirittura la via preferibile non è certo indurle all’aborto. Che fare dunque?
Sarebbe molto utile se in tutte le lingue venissero pubblicizzati i punti in cui è possibile lasciare un bambino in sicurezza, ad esempio.
Per evitare l’orrore dei cassonetti, dove alcune vite appena nate vengono gettate come un rifiuto?
Certamente, anche se quelli sono casi rari, dovuti alle donne più disperate o probabilmente a pazienti psichiatriche: in genere le madri che non hanno la forza di tenersi i propri bambini li lasciano vicino a un supermercato o sui gradini di una chiesa. La maggior parte di loro li vestono bene, li coprono e li mettono bene in vista, dove saranno facilmente trovati e presto accuditi.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi che non ricorrano all’aborto perché ne ignorano la possibilità?
Da millenni le donne hanno sempre conosciuto le tecniche abortive, anche quando la legge lo vietava e lo facevano in clandestinità. Sanno bene di avere accesso all’interruzione di gravidanza, ma queste di cui parliamo hanno scelto un’altra strada. Il problema allora non è far sapere che in Italia l’aborto è gratuito e anonimo e vi possono accedere anche le donne irregolari: per le madri che vorrebbero tenere il figlio è molto più importante pubblicizzare ovunque, sui treni, nei metrò, le possibilità di aiuti economici dallo Stato e dalle singole Regioni, per le altre, invece, il loro diritto a non riconoscerlo e quindi all’anonimato, con la possibilità di cambiare idea entro un certo arco di tempo.
C’è chi le possa guidare in questo percorso, chi le supporta affinché non si debbano presto pentire della rinuncia fatta?
In Mangiagalli può essere attivato un servizio che offre il consulto di assistenti sociali, psicologi e uno psichiatra, che le consigliano e informano su tutto il novero delle possibilità.
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