«Batteri killer», figli di un disordine culturale di Paolo Gulisano, 08-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it
L’hanno soprannominato il “batterio killer”; da giorni tiene banco da protagonista sui media europei: è l’Escherichia Coli, ovvero una delle specie principali di batteri che vivono nell'intestino dell’uomo e degli animali a sangue caldo. Non è un microrganismo esotico, non è il risultato di chissà quale esperimento di guerra batteriologica, non è il prodotto di una mutazione dovuta a radiazioni nucleari o ad inquinamento. E’ una vecchia conoscenza dell’organismo umano, ed è perfino necessario per la digestione corretta del cibo.
Tuttavia questo comune abitante dell'intestino in alcune situazioni può determinare malattie intestinali ed extra-intestinali come infezioni del tratto urinario, meningite, peritonite, setticemia e polmonite. L’epidemia in corso in Germania è una di queste, una sindrome emolitico uremica.
Le infezioni da Escherichia Coli non sono certo una novità, anzi: ogni anno si verificano nel mondo decine di migliaia di casi, e solo negli Stati Uniti i morti ogni anno sono circa 600. In gran parte persone anziane, defecate, immunodepresse.
L'infezione è trasmessa da alimenti, spesso associata al consumo di carne di manzo non ben cotta, di latte non pastorizzato, di succhi di frutta contaminati,e di verdura cruda. Questa- come altre tossinfezioni alimentari- è una patologia facilmente prevenibile con una maggiore igiene nel manipolare gli alimenti, lavandosi bene le mani prima della preparazione o del consumo di cibi, e dopo l’uso della toilette; i buoni consigli che già davano mamme e nonne.
Perché allora il terrore del batterio killer corre per l’Europa?
Nell’Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è in realtà in percentuale meno dell’uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Una importante causa di morte è rappresentata anche dagli incidenti, che costituiscono la prima causa di morte nei giovani al di sotto dei venticinque anni, seguita al secondo posto - è triste dirlo - dai suicidi. Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla sola possibilità che ci si possa ammalare di una malattia trasmissibile: si pensi alle psicosi collettive degli ultimi anni per l’ influenza aviaria o l’influenza suina.
Perché l’uomo teme tanto le malattie trasmesse da virus o da microrganismi? Perché nel 2000 le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente?
In parte si tratta certamente di una memoria storica profonda: nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti terrificanti, e non si parla solo delle memorabili pestilenze dell’antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la citata spagnola, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l’AIDS, la tubercolosi, i virus africani.
Nel corso della sua storia, l’umanità ha dovuto affrontare più volte la minaccia delle infezioni, delle stragi causate da un responsabile microscopico e sconosciuto, e la nostra memoria ancestrale conserva forse ancora tracce del terrore antico delle pestilenze. Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla “Morte nera” medievale fino alla peste del ‘600, per giungere infine al ‘900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi ed inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus.
Le pandemie sono un problema reale, anzitutto. Nel passato si sono verificate in misura molto maggiore di quanto non si pensi, e nella maggior parte dei casi si trattava di zoonosi, ossia malattie originate dal contatto degli esseri umani con animali, dai topi che un tempo convivevano nelle abitazioni di villaggi e città con gli uomini fino agli animali da allevamento. Ancora oggi forme di allevamento con pollame o suini in troppo stretta “coabitazione”, come avviene in Cina o nel Sudest asiatico, sono all’origine dell’evoluzione e della diffusione di ceppi virali come quello dell’influenza.
Le malattie infettive, o trasmissibili, sono presenti nella storia umana, pur con scarsa documentazione, almeno fin da quando gli uomini si costituirono in comunità. La nascita dell’agricoltura, una vita più stanziale, l'aggregazione in nuclei relativamente numerosi e, soprattutto, l'addomesticamento degli animali crearono le condizioni necessarie alla diffusione delle malattie infettive e alla nascita delle epidemie.
Ma le antiche pandemie e i loro esiti terribili possono giustificare tanta attenzione da parte dell’informazione e dei governanti di molti paesi per possibili pandemie future, trascurando - spesso - quelle già esistenti? È solo un ingegnoso esperimento propagandistico, come ipotizza qualcuno, finalizzato a profitti economici di vari soggetti interessati, dai media alle organizzazioni sanitarie, oppure uno strumento psicologico con cui esercitare un forte condizionamento sulla società, magari spaventando la gente con lo spettro di malattie terribili? Potrebbe essere la minaccia della pandemia un pretesto perché l’opinione pubblica accetti misure di restrizioni, magari nei trasporti o in certi tipi di consumi? Siamo di fronte a problemi reali o alla manipolazione di incubi che da sempre si annidano nell’inconscio umano?
Dietro i vari interrogativi resta una conferma: quella della tesi sostenuta da un grande patologo tedesco dell’800, Virchow, che affermava: “La storia delle epidemie è la storia dei disordini della cultura umana”.
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