lunedì 6 giugno 2011

Resa alla droga esito del libertarismo di Danilo Quinto, 06-06-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Si presta a molte considerazioni la gravissima decisione presa dal “Global Commission on Drug Policy” delle Nazioni Unite, che in un rapporto diffuso a New York l’altro giorno sancisce il fallimento della “guerra alla droga”.

La prima considerazione riguarda gli estensori del rapporto. Sono i rappresentanti più prestigiosi  del mondo politico, intellettuale ed economico mondiale. Ebbene, a parte la banalità delle cifre d’incremento del consumo delle sostanze stupefacenti, conosciute da tutti ormai da anni,  neanche una parola nel rapporto è dedicata a quello che molti di loro stessi hanno concorso a produrre. Perché incapaci di proporre e governare soluzioni coerenti ad una situazione che da decenni domina le economie mondiali, devasta interi Paesi e governa la vita di una persona su duecento nel pianeta.

Non basta dire, abbiamo fallito. Occorrerebbe dire: ci assumiamo le responsabilità del fallimento, se di questo si trattasse e quindi ci dimettiamo dalle nostre responsabilità, lasciando che altri provino ad occuparsene. Invece, coloro che sanciscono il loro fallimento, la loro sconfitta, si candidano a governare un nuovo approccio, propongono una politica nuova ed invitano l’establishment mondiale a convertirsi alla legalizzazione, promuovendo una raccolta di firme a livello mondiale sul loro documento, che orienti le opinioni pubbliche e indirizzi le scelte dei Governi.

La seconda considerazione riguarda direttamente il sistema delle Nazioni Unite. Il documento ha il benestare dell’ONU e questo non meraviglia. Su tutte le tematiche che sono al centro della vita degli individui – l’ambiente o l’identità di genere, il sottosviluppo e la fame o la salute riproduttiva e le teorie sulla crescita della popolazione – quest’organizzazione produce documenti che sono il frutto dei suoi apparati burocratici, inclini a conservare se stessi ed il loro potere più che a prospettare soluzioni sui singoli problemi che possano incidere sul serio sul bene comune.

La questione droga è esemplare da questo punto di vista. Le Nazioni Unite hanno un Ufficio che si occupa del fenomeno. Si chiama UNODC. L’acronimo vale per Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine. Conta circa 500 funzionari distribuiti tra Vienna, sede centrale e gli uffici sul campo, che costituiscono un network di 21 sedi regionali e nazionali, cui si affiancano due uffici di raccordo, rispettivamente a New York e Bruxelles. Un grande apparato, che produce, ad esempio, il rapporto del 2009, dove si sosteneva la priorità della "tutela della salute dei tossicodipendenti", invitando ad allentare la repressione sul consumo. Si introducevano, quindi, argomenti a favore della depenalizzazione. Gli stessi che portano ora gli estensori del rapporto della “Global Commission on Drug Policy” a considerare il problema solo dal punto di vista sanitario.

Quest’aspetto esiste certamente, ma è davvero quello prioritario?
Qualche anno fa, il Vescovo della diocesi di Barahona, nella Repubblica Dominicana, denunciò che nella regione di Enriquello – dove risiedono 350mila persone, prive di acqua potabile e di servizi igienici - la gente, costretta dalla mancanza di lavoro, vive sulle spiagge in attesa di raccogliere i pacchetti di droga per farne commercio. La polizia peruviana diffuse tempo fa un video che mostrava immagini dove bande di narcotrafficanti sfruttavano il lavoro minorile di bambini (60mila, secondo le stime), nella "Valle del Rio Apurinac" e "Ene", entrambe nella selva peruviana, dove si concentra la produzione di foglia di coca e dove si raggiungono soglie di povertà vicine al 92%. L’Unicef confermò questa notizia, denunciando che i bambini non solo venivano sfruttati, ma erano anche costretti ad assumere sostanze tossiche capaci di compromettere irreversibilmente la loro salute.

In Africa – divenuta negli ultimi anni, grazie alla responsabilità del ceto dirigente occidentale, la piattaforma mondiale del narcotraffico – emblematico è il caso della Nigeria, il maggiore “porto franco” del continente per il traffico di droga, dove l’intreccio petrolio, armi e droga genera una violenza micidiale delle bande criminali, che non solo assaltano le installazioni petrolifere dell’area, ma imperversano anche con violenza inaudita, da milizie armate, nei confronti della popolazione civile ed anche dei commissariati di polizia. Si disputano il controllo delle attività illecite (estorsioni, ricatti, furti di petrolio e rapimenti a scopo d’estorsione dei lavoratori), alle quali ora si è aggiunto il traffico di droga, che genera, secondo gli inquirenti, le violenze più atroci.

Si potrebbe continuare. Parlare della Colombia o del Messico, ad esempio, dove le migliaia di morti all’anno legate al traffico di stupefacenti, inquinano la vita sociale in modo terrificante o parlare dell’Europa, un intero continente intossicato, dove la droga – insieme all’alcol – costituisce il “rifugio” privilegiato per le giovani generazioni.
Le organizzazioni criminali, in questi anni, non hanno fatto altro che il loro mestiere: hanno occupato il vuoto prodotto dalla politica, incapace di proporre, nel Sud come nel Nord del mondo, modelli di sviluppo sociale e stili di vita alternativi a quelli legati alla “proposta di quelle culture – come ha affermato Benedetto XVI nell’Angelus del 16 dicembre 2007 - che pongono la felicità individuale al posto di Dio”.

Queste culture - e qui siamo all’ultima considerazione – hanno avuto la loro genesi storica nel movimento libertario del ’68, che ha assecondato e cavalcato i desideri, le convenienze, gli istinti della società di quegli anni, inquinando fino ad oggi la realtà in cui viviamo. Il loro simbolo fu proprio lo “spinello libero”, dove per “libertà” s’intende il dominio dell’utilitarismo, dell’interesse e dell’egoismo individuale. Una libertà dove tutto, ma proprio tutto, è permesso: distruggere, con il divorzio, l’istituto familiare; eliminare un “grumo di cellule” e risolvere così il tema della vita in una questione tecnica; eludere il problema della morte, garantendosi la “via d’uscita” dell’eutanasia.
Non ci sorprende che un panel così prestigioso come quello dell’organizzazione delle Nazioni Unite proponga ora la legalizzazione delle sostanze stupefacenti. Il relativismo ha la sua forza insinuante e pervasiva. Spesso non lo riconosciamo e lasciamo che travolga la nostra coscienza e la nostra identità e dignità di esseri umani.

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