La frontiera - Se l’esame sul Dna fa cilecca - In questa materia non si può procedere con il «fai da te», ma è anche noto che gli specialisti veramente competenti nella valutazione della causalità non sono numerosi tra i medici, di Michele Aramini, Avvenire, 14 luglio 2011
Una delle acquisizioni della diagnostica medica moderna sono i test genetici. È impressionante la loro rapida diffusione, dovuta anche al fatto che attraverso le opportunità della Rete e Internet, si possono ordinare test genetici in proprio, allargando il preoccupante capitolo della medicina «fai da te».
Ci sono molti aspetti dei test genetici che hanno importantissimi risvolti etici. Si pensi per esempio al fatto che non si tratta di semplici esami di laboratorio, ma dovrebbero essere parte di un servizio integrato alle persone. Tale servizio deve comprendere la consulenza genetica che individui il perché si deve fare un determinato test. La consulenza deve poi aiutare a esprimere un vero consenso informato. Il servizio deve essere particolarmente attento al momento della consegna del referto e alla sua interpretazione e prevedere un supporto assistenziale in relazione agli esiti dei test.
Dal punto di vista etico si pone anche la questione di quanta informazione si debba comunicare al soggetto su cui è stato eseguito il test. È la questione nota come il diritto di non sapere, particolarmente importante quando si può conoscere la malattia, ma per questa non vi è alcuna cura disponibile.
Questo problema ricco di molte sfaccettature, non deve oscurare questioni che hanno un rilievo etico ancora maggiore.
E' proprio a questi aspetti che vogliamo volgere l’attenzione. Si tratta precisamente del concetto di causalità genetica. Per comprendere l’importanza di questo concetto si ponga attenzione anche a un solo aspetto del problema: nelle diagnosi prenatali la rilevazione di una qualunque anomalia genetica viene normalmente considerata ragione sufficiente per procedere a un aborto.
Si capisce perciò quanto sia necessario anche d un punto di vista morale comprendere correttamente il concetto di causalità genetica e quanto si importante che vi siano medici effettivamente competenti che siano in grado di valutare i diversi aspetti della causalità.
Possiamo distinguere tre significati di causa: un primo aspetto ci dice che una certa condizione è necessaria e sufficiente perché si verifichi un evento, che applicato alle questioni genetiche significa che una data mutazione di un gene provoca una specifica malattia.
Un secondo tipo di causalità è quella dove la mutazione è necessaria perché possa svilupparsi una malattia, ma tale mutazione non è sufficiente e ci vogliono altri fattori, come quelli ambientali o comportamentali.
Infine c’è un terzo tipo di causalità quando una mutazione non è né necessaria né sufficiente, perché insorga una malattia.
Da questa sommaria presentazione si comprende che il termine causa può significare significa cose molto diverse e sono numerosi i casi in cui una mutazione genetica non produrrà alcuna malattia, o si potranno predisporre strategie per prevenirla. Quindi prima di assumere una qualsiasi decisione si dovrebbe avere effettiva cognizione di ciò che il test genetico ha rivelato.
È evidente che in questa materia non si può procedere con il «fai da te», ma è anche noto che gli specialisti veramente competenti nella valutazione della causalità non sono numerosi neppure tra i medici.
Ma sono anche evidenti le ricadute etiche di questa competenza capace di interpretare correttamente i test o al contrario le ricadute di una eventuale lettura insufficiente dei risultati dell’analisi genetica.
Vista la delicatezza della materia genetica, occorrerebbe che la classe medica assuma una direzione precisa nel senso di consigliare i test genetici solo quando esiste una reale indicazione clinica. E in secondo luogo che si sviluppino competenze adeguate per la corretta interpretazione dei dati dei test genetici.
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