giovedì 14 luglio 2011

«La ricerca genetica non pasticcia con la vita» - Matteo Bertelli, 38 anni, bresciano, medico genetista, presidente di Magi onlus, è stato fra i primissimi ricercatori a dimostrare l’esistenza di cellule staminali nel liquido amniotico nonché la possibilità di utilizzare questi «materiali di scarto» per «una medicina rigenerativa su base eticamente sicura, di Domenico Montalto, Avvenire, 14 luglio 2011

La ricerca genetica come presidio di un’autentica cultura e medicina della vita. Questo, in sintesi, è il messaggio di Matteo Bertelli, 38 anni, bresciano, medico genetista e presidente di Magi onlus. Bertelli è stato fra i primissimi ricercatori a dimostrare – nel 2006 – l’esistenza di cellule staminali nel liquido amniotico nonché la possibilità di utilizzare questi «materiali naturali di scarto» per «una medicina rigenerativa su base eticamente sicura». I sensazionali risultati di quello studio d’équipe, pubblicati su un’autorevole tribuna quale la rivista Stem Cells and Development (2006, pagg.719-728, Mary Ann Liebert Inc.), sono rimasti di riferimento per tutto il mondo scientifico. Le ricerche di Bertelli hanno aperto la strada, in Italia, alle importanti e fondamentali conquiste del professor Giuseppe Noia nell’ambito della diagnostica prenatale e delle terapie fetali.
Risultati scientifici prestigiosi che danno ragione, sulla base dei fatti, a un approccio pro-life radicalmente antitetico a «certe lobby culturali» che Bertelli contesta duramente, e che «hanno imposto dogmaticamente l’embrione umano come fonte pressoché unica per l’approvvigionamento delle staminali»; un’impostazione apodittica, che nulla ha a che vedere con le vere evidenze sperimentali e di laboratorio.
Dottor Bertelli, da anni l’attività sua e del Magi è volta a dimostrare che la mentalità e la prassi eugenetica prima che anti-umana o anti-cristiana, è antiscientifica. Ci sono dati incontrovertibili al riguardo?
Molti, anche se sparsi. Ma Magi si sta adoperando per collegarli fra loro e creare una rete. Le citerò una significativa esperienza che abbiamo condotto nel campo della diagnostica prenatale, il cui resoconto è stato pubblicato su una fonte tradizionalmente "super partes" quale l’American journal of medical genetics (2008, Part A), che ha indicato questo modello di gestione come esempio da imitare.
In tale ricerca, abbiamo ricapitolato 89 casi di gravidanza, da noi seguiti, dove la madre era stata esplicitamente indirizzata all’aborto terapeutico dal servizio sanitario nazionale, in quanto il feto risultava concepito durante un periodo di fallita terapia anticoncezionale a base di farmaci estroprogestinici. Si trattava quindi di feti "indesiderati" nonché suscettibili, secondo i "consueti" protocolli medici, di malformazioni.
Ebbene, il risultato eclatante fu che su questi 89 casi soltanto 12 gestanti – una percentuale statisticamente molto bassa – alla fine decisero di abortire. In tutti gli altri casi i bimbi sono nati assolutamente sani, senza alcuna malformazione maggiore, due soli neonati con una malformazione minima al padiglione auricolare, e un solo parto al settimo mese, quindi senza grossi rischi per la salute.
In conclusione?
Abbiamo sottratto alla soppressione sicura 77 esseri umani. Tutto ciò in virtù dello stretto sistema di assistenza da noi come Magi (insieme alla Asl trentina) proposto, consistente in consulenza genetica, esami ginecologici ed ecografici seriali per valutare costantemente lo stato di salute e il benessere del feto, analisi approfondite sui farmaci assunti dalla madre per identificare i potenziali fattori teratogeni, colloquio costante coi genitori.
Un "modello virtuoso" anche se purtroppo atipico, ma – soprattutto – un modello medico e di gestione scientificamente rigoroso, non affrettato né superficiale. Semplicemente, abbiamo fatto quello che si dovrebbe sempre fare, ovunque.
Altri esempi?
Molto significativa è la statistica fornita dal professor Giuseppe Noia su www.noiaprenatis.it riguardo l’idrocefalo benigno, malformazione fetale per troppo tempo considerata fonte sicura di deficit intellettivo-motorio e perciò ritenuta causa sufficiente e bastante per l’interruzione di gravidanza. Ebbene, in un’alta percentuale dei casi (quasi il 40%) presi in esame, il liquor è spontaneamente rientrato, con nascita finale del neonato sano. È bastato aspettare e sorvegliare la cosa con un approccio medico equilibrato e razionale, assistendo e informando correttamente. Un approccio secondo il quale il feto non è materiale cellulare disponibile, bensì a tutti gli effetti un "paziente" – ovvero persona formata col concepimento – la cui salute ha diritto a visite e cure.
La prassi medica, però, sembra aver in molti casi abbracciato la mentalità abortiva.
Diciamola tutta. Oggi nelle accademie, nelle cliniche e ambulatori, nelle Asl, nei consultori, nei centri di aiuto alla coppia e di fecondazione assistita, insomma nella generalità del sistema sanitario, la mentalità egemone è brutalmente eugenetica: meglio abortire un essere sano che correre il minimo rischio di generarne uno malato. Si tratta di una macchina preventiva potente. Ma spesso lontana dalla verità scientifica.

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