giovedì 4 novembre 2010

IL CASO/ Dall'Olanda all'Italia un nuovo tentativo di introdurre l’eutanasia di Stato Redazione - giovedì 4 novembre 2010 – il sussidiario.net

«In Italia si sta cercando di far passare l’eutanasia mascherandola da legge sul testamento biologico. E il motivo è che per autorizzare la prima occorrerebbe modificare l’intero impianto giuridico del nostro Paese a partire dalla Costituzione». Non ha dubbi Rosaria Elefante, avvocato e giurista dell’associazione Vi.ve onlus, sul caso sollevato dopo che alcuni pazienti italiani si sono recati all’estero per sottoporsi all’eutanasia. Emblematica la storia di Anna Busato, 57 anni, portata dal marito in Olanda dove le è stata somministrata la «dolce morte».

Rosaria Elefante, che cosa ne pensa delle polemiche sollevate su questa vicenda?

Personalmente non vedo dove sia la notizia. La signora Busato aveva la doppia cittadinanza, olandese e italiana. Alcuni anni fa aveva depositato una dichiarazione scritta nei Paesi Bassi, dove l’eutanasia è consentita dalla legge, chiedendo che le fosse somministrata la «dolce morte» qualora fosse entrata in coma. E così è stato. Inoltre, non trovo nessun margine nemmeno per perseguire il marito al momento del suo rientro in Italia dove risiedeva la coppia, in quanto l’intera vicenda è avvenuta in territorio olandese. Tutt’al più, ho trovato scorretto fare passare il decesso di questa donna come una morte naturale, mentre non è stato affatto così.

E allora come spiega la polemica montata a partire da questa vicenda?

Il vero scopo è riaprire il dibattito su quello che è stato definito come disegno di legge sul testamento biologico, ma che in realtà maschera la volontà di introdurre l’eutanasia anche in Italia. Il problema è che mancano la chiarezza e la lealtà per dire: «Da oggi parliamo della legge sull’eutanasia». Togliamo questa maschera, anche perché il testamento biologico contro l’accanimento terapeutico in Italia è già previsto e non c’è affatto bisogno di fare una nuova legge per introdurlo. E’ la stessa Costituzione, nell’articolo 32, a prevederlo.

Ma perché si cerca di introdurre l’eutanasia in Italia in forme mascherate?

Perché l’Italia non è l’Olanda, e neanche l’Inghilterra, e quindi per consentire l’eutanasia nel nostro Paese bisognerebbe stravolgere l’intero impianto della Costituzione, il Codice penale, il Codice civile e diverse altre leggi.

In che senso?

Nella nostra Costituzione il diritto alla vita viene prima delle libertà individuali. E questo per il fatto che dei diritti personali si parla nell’articolo 2, che fa parte dei Principi fondamentali, delle libertà invece solo nell’articolo 13, incluso nella sezione successiva sui Rapporti civili. E quindi in Italia prima viene il diritto alla vita, poi le libertà. Il ragionamento dei padri costituenti, che lo si condivida o meno, è stato che io non ci sono, non posso nemmeno esercitare la mia libertà. Ma al di là dei giudizi di merito, se invece nella Costituzione italiana l’ordine fosse stato quello inverso, verrebbe prima la libertà e l’eutanasia andrebbe quindi permessa. L’articolo 2 della Costituzione parla chiaro: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà».

E questo cosa c’entra con l’eutanasia?
Questo significa innanzitutto che i diritti della persona, il primo dei quali è quello alla vita, vanno anteposti a qualsiasi altro principio. E che inoltre, siccome la solidarietà è un dovere inderogabile, io devo occuparmi anche della vita degli altri, intervenendo per esempio per fermare una persona che sta tentando di togliersi la vita. Non farlo è omissione di soccorso, e il Codice penale prevede per questo reato 2.500 euro di multa e fino a un anno di reclusione.

Ma se uno decide di morire, perché non può firmare un documento chiedendo al medico di aiutarlo?

Per la stessa ragione per cui uno non può firmare un documento in cui accetta di essere ridotto in schiavitù, o in cui, mentre è ancora in vita, vende un organo a un’altra persona. Non a caso l’articolo 5 del Codice civile prescrive che «gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica». Il che vuol dire che nessuno può decidere, fin che è vivo, di vendere un rene o magari il cuore. Eppure uno potrebbe fare lo stesso ragionamento dei sostenitori dell’eutanasia: «Se in piena coscienza decido di vendere un rene, che diritto ha un’altra persona di impedirmelo?».

Già, perché?

Proprio perché in Italia, a differenza dell’Olanda, i diritti della persona vengono prima delle libertà individuali. E’ una scelta, e per modificarla non basta una banale legge sul testamento biologico, ma occorre intervenire alla radice modificando l’intero ordinamento italiano. A meno che non si voglia forzare la nostra Costituzione.

Il problema è che nessuno riesce a mettersi d’accordo su dove finisca l’eutanasia e dove inizi l’accanimento terapeutico…

Anche su questo la Costituzione parla chiaro, affermando nell’articolo 32 che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Se un paziente rifiuta una terapia contro un tumore, o l’amputazione di una gamba in cancrena, questo è un suo pieno diritto e dal punto di vista giuridico non si tratta di eutanasia. Dal punto di vista medico, questa scelta probabilmente porterà alla morte. Ma è eventualmente la malattia a condurre alla morte, mentre nel caso dell’eutanasia c’è un intervento diretto del medico, o di un’altra persona, che provoca il decesso in tempi rapidi. E l’ordinamento italiano prevede che in questi casi il medico deve essere inquisito per assistenza al suicidio o omicidio del consenziente, due reati espressamente previsti dal Codice penale.

Ma privare dell’alimentazione le persone in stato vegetativo è eutanasia o no?

L’alimentazione e l’idratazione sono cose ben diverse da una terapia. Si tratta infatti di un necessario sostentamento, che non si può negare né agli uomini, né agli animali. E la Corte di cassazione il 16 ottobre 2008 lo ha confermato, stabilendo che la cosiddetta «nutrizione assistita» di persone non autosufficienti fa parte dell’assistenza essenziale e che è possibile perseguire il medico che le nega.
(Pietro Vernizzi)



Nessun commento:

Posta un commento