Avvenire.it, 19 novembre 2010 - Il Papa & la salute/Vere e false conquiste - Per la «giustizia sanitaria» il metro della verità sull’uomo di Roberto Colombo
Non vi è àmbito della convivenza civile, nel nostro Paese e nel mondo, che non sia solcato da un lancinante anelito di giustizia. La «questione-giustizia» è l’emergenza sociale che trabocca dai colloqui in famiglia, tra amici o colleghi, riempie le colonne dei quotidiani e segna le agende politiche di legislatori e governanti. Al di là di ogni considerazione sfuggente o ponderata su di essa, ancor prima e più profondamente, sino a scavare nella carne e nello spirito di milioni di persone, l’ingiustizia è la causa della più atroce delle sofferenze, quella che non scaturisce dall’ineluttabile corso degli eventi, nel loro corpo e nella mente così come nell’ambiente in cui sono immersi, ma dall’azione degli uomini stessi, dimentichi del loro destino e di quello degli altri. Non sono la malattia, gli incidenti della vita o le calamità naturali a umiliare e ferire più profondamente la persona, ma l’amarissima realtà di non essere incondizionatamente riconosciuta come tale, in ogni circostanza dell’esistenza e in ogni luogo e tempo della storia.
Ancora una volta il Papa ha sentito ieri il dovere di ricordare a coloro che sono chiamati a prendersi cura, professionalmente o politicamente, della salute dell’uomo, che occorre «dare un volto davvero umano ai sistemi sanitari» nazionali e internazionali, collocando «la giustizia sanitaria [...] fra le priorità nell’agenda dei governi e delle istituzioni». Fuori da ogni equivoco, Benedetto XVI ha esplicitato in che forma si realizza un’autentica giustizia nei rapporti tra gli uomini e tra l’uomo e tutto ciò che esiste: quando «si guarda al mondo con lo sguardo del Creatore, che è sguardo d’amore» e di verità.
A fondamento della giustizia non sta una pur legittima e attenta ponderazione delle esigenze (spesso conflittuali) tra le parti in causa, né un esercizio di equilibrismo politico tra i pareri della maggioranza e della minoranza di chi deve decidere, e neppure un’acribiosa statistica delle conseguenze positive e negative di talune scelte, ma anzitutto il riconoscimento, umile e deciso (umiltà e determinazione non si elidono a vicenda, ma si completano l’una attraverso l’altra), della realtà dell’uomo e del mondo attraverso l’intelligenza e l’amore. La verità e l’amore, come lo stesso Papa Ratzinger aveva richiamato nell’enciclica Caritas in veritate, sono la via maestra che porta a ricercare il bene individuale e comune in ogni declinazione dell’agire umano e fanno della giustizia una virtù privata e pubblica al medesimo tempo.
Così, la ricerca della «giustizia sanitaria» – come l’ha definita ieri il Papa – non può essere ridotta al gioco del reperimento delle risorse necessarie per erogare livelli minimi di assistenza a tutti gli aventi diritto, né all’irrequieta tensione, sempre inesausta, al miglioramento della quantità e qualità delle prestazioni fornite – un processo che, ha osservato il Pontefice, «rischia di trasformarsi in consumismo farmacologico, medico e chirurgico, diventando quasi un culto per il corpo» – ma deve trovare la strada di un «amore alla giustizia». In cosa consista l’amore alla giustizia Benedetto XVI lo esprime così: «La tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano», che «vanno sostenuti e testimoniati anche controcorrente». La misura della giustizia è la verità dell’uomo, di tutto l’uomo e di ogni uomo. La vita dell’uomo non è misurata dalla giustizia, né può essere messa sul piatto di una bilancia, qualunque peso si metta sull’altro. «Il mondo – anche quello sanitario – ha bisogno della verità che è giustizia e di quella giustizia che è verità» (Pio XII).
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