giovedì 4 novembre 2010

LA RELAZIONE DI CURA ANTIDOTO ALLA MEDICINA DIFENSIVA di Lucio Romano, Copresidente nazionale Associazione Scienza & Vita http://www.scienzaevita.org/materiale/Newsletter40.pdf

La relazione di cura, modello assistenziale distintivo dell‟attività medica, ha assunto - soprattutto nell‟ultimo decennio - l‟ineludibile deriva verso una esasperata conflittualità. Riprova tangibile è il contenzioso legale il cui fenomeno è a crescita esponenziale. Come ricorda Ivan Cavicchi “il contenzioso legale sta a significare tre questioni importanti: il cambiamento dell‟orientamento giurisprudenziale, che si è spostato nettamente sulle ragioni del danneggiato; l‟affermarsi di nuovi costi aggiuntivi per l‟azienda, come quelli dovuti alle coperture assicurative; la crescita dei comportamenti difensivistici da parte degli operatori, che certamente non sono tarati sull‟interesse del malato”.
Il quadro socio-sanitario in ambito ostetrico-ginecologico è caratterizzato anche da nuove evidenze che per certi versi segnano l‟innegabile progresso medico (es.: ridotta mortalità materna e perinatale) ma per altri rendono l‟assistenza ancor più problematica e difficile (es.: gravidanze in età fertile avanzata, aumento della sterilità e delle aspettative procreative, ecc.). Inoltre il ruolo enfatizzato delle procedure diagnostiche (es.: ultrasonografia, cardiotocografia, ecc.) ha inculcato nel comune sentire una sorta di collettivo convincimento: inscindibile binomio tra certezza dei mezzi e certezza dei risultati, per quanto del tutto infondato sia sotto il profilo biomedico che giuridico. La medicina non è infallibile, non è una scienza esatta. Tuttavia l‟intrinseca fallibilità della medicina ha assunto oggi, paradossalmente, i connotati della colpa.
Per quanto attiene poi il profilo culturale corrente, prevale l‟aspettativa di “salute globale”. Così come ricorda Giovanni Berlinguer “può sorgere l‟equivoco che l‟aggettivo globale sia inteso come salute perfetta e totale, come assenza di ogni malattia, difetto o imperfezione.
Questa utopia ha trovato qualche alimento nella definizione coniata dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui la salute è „uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale‟, che ha contribuito ad ampliare (fin troppo, a volte) l‟orizzonte spesso puramente organicista della biomedicina. […] In verità la salute non è uno stato e non è perfezione. E‟ una condizione in equilibrio mutevole, che a differenza del passato possiamo ora spostare notevolmente verso il meglio. Mi pare anche poco probabile che si possa raggiungere la perfezione umana attraverso l‟igiene e la medicina; a volte, questo tentativo induce le persone a compiere eccessi, i medici a curare il superfluo e gli stati a perpetrare abusi”. Ricorderei, inoltre, il grande tema delle politiche di gestione e razionalizzazione della spesa sanitaria che influenzano significativamente l‟attività assistenziale, in ragione dei modelli di riferimento.
Ma l‟aspetto rimarchevole è la contrattualizzazione del rapporto medico-paziente: linee guida, protocolli, evidence based medicine, consenso informato tendono a smarrire la primigenia finalità di favorire good clinical practices. Si sono trasformati in istituti propri della medicina difensiva nella quale la clinica è ancillare alla medicina legale.
Con la contrattualizzazione si manifesta ancor più quel conflitto che si voleva dirimere tutelando giustamente l‟autonomia e la responsabilità del paziente. Il conflitto, costante e duraturo tutt‟oggi, è tra beneficialità e autonomia.
Beneficialità intesa come prevenzione del danno, procurando una giusta e buona assistenza equilibrando gli interventi di fronte ai rischi e ai costi, questi ultimi evidentemente non solo economici.
Autonomia come rispetto che si esige per la capacità di prendere delle decisioni, in persone autonome.
Il contrattualismo-libertario s‟identifica nel paradigma dell‟accordo – tra medico e paziente - che stipula tempi, modi e tipi degli interventi diagnostici e/o terapeutici (consenso informato). La relazione di cura, invece, si basa sul paradigma della beneficialità nella fiducia nella quale l‟alleanza terapeutica e l‟alleanza di cura riconoscono ai soggetti morali (medico e paziente) il ruolo di amici morali che condividono il percorso assistenziale (ad-sistere, stare a fianco) che si ratifica nel consenso informato effettivamente condiviso.
Nella relazione di cura il consenso informato e condiviso non rappresenta la mera ratifica di autonome decisioni – spesso e comunque all‟origine di conflitti e contenziosi – piuttosto il risultato di un percorso di comunicazione e di relazione costruito secondo responsabilità (prendersi cura) da cui ne conseguirebbe anche una riduzione di conflitti e contenziosi fatto salvo il riconoscimento della colpa professionale. Autonomia e responsabilità si coniugano alla luce di valori oggettivi, nei quali il paziente rappresenta un “imperativo categorico”. Tuttavia non è ancora sufficiente: i valori ontologici della relazione di cura hanno bisogno di politiche sanitarie e strategie gestionali (es.: razionalizzazione dei punti nascita, ridefinizione dei livelli assistenziali di riferimento, disponibilità di risorse finalizzate alla partoanalgesia, ecc.) così di una più bilanciata comunicazione mediatica perché possano essere veicolati al fine del “bene globale” della persona.
Come riportato nella Carta degli Operatori Sanitari, sempre attuale, “l‟attività medico-sanitaria si fonda su una relazione interpersonale, di natura particolare. Essa è un incontro tra una fiducia e una coscienza. La fiducia di un uomo segnato dalla sofferenza e dalla malattia e perciò bisognevole, il quale si affida alla coscienza di un altro uomo che può farsi carico del suo bisogno e che gli va incontro per assisterlo, curarlo, guarirlo. Questi è l‟operatore sanitario. Per lui l‟ammalato non è mai soltanto un caso clinico – un individuo anonimo sul quale applicare il frutto delle proprie conoscenze – ma sempre un uomo ammalato, verso cui adottare un sincero atteggiamento di simpatia, nel senso etimologico del termine.
Il che esige amore, disponibilità, attenzione, comprensione, condivisione, benevolenza, pazienza, dialogo. Non basta la perizia scientifica e professionale, occorre la personale partecipazione alle situazioni concrete del singolo paziente”.

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