«Etica: sulle sentenze europee l’effetto-crocifisso» - Dopo il secondo verdetto di Strasburgo sul caso italiano, sta cambiando l’approccio della Corte ai temi più delicati? Parla il giurista Grégor Puppinck - di Pier Luigi Fornari, Avvenire, 2 giugno 2011
Grégor Puppinck è direttore del Centre for Justice and Law (Eclj) di Strasburgo. Proprio ieri ha ricevuto nel capoluogo alsaziano, dove risiedono il Consiglio europeo (con la sua Corte) e l’Europarlamento, il titolo di Cavaliere della Repubblica dall’ambasciatore italiano Sergio Busetto, a nome e su decisione del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Puppinck ha dato un grande contributo alla soluzione positiva della vicenda del crocifisso, presentando una memoria di Eclj e coinvolgendo il grande giurista ebreo osservante Joseph Weil, a sostegno della memoria di dieci stati del Consiglio schieratisi a favore dell’Italia.
Può avere effetti positivi anche in campo bioetico la decisione che ha portato la Corte europea dei diritti dell’uomo a rivedere, nella sentenza definitiva, il giudizio di prima istanza che condannò l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle scuole. Il ripensamento può essere considerato anche l’effetto della grande mobilitazione che ha portato ben 21 stati membri del Consiglio d’Europa con il nostro Paese. «La Corte non pare aver assunto bruscamente una linea giurisprudenziale più vicina alla tradizione – spiega Puppink –, tutt’altro, ma sembra comunque aver posto un freno all’attivismo libertario in materia bioetica e sessuale, anche se in alcune sentenze non ha rinunciato a infilare qualche affermazione che potrebbe costituire la premessa per future decisioni libertarie».
Ci può fare qualche esempio?
Nell’importante sentenza del caso cosiddetto «A, B e C contro l’Irlanda» pronunciata il 16 dicembre 2010, la Grande Chambre ha affermato che non esiste un diritto all’aborto nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che le limitazioni all’interruzione volontaria della gravidanza imposte da Dublino «sono basate su valori morali profondi concernenti la natura della vita». La Corte ha concluso che «queste restrizioni oggetto di controversia perseguono il fine legittimo di proteggere la morale, di cui in Irlanda la difesa del diritto del bambino a nascere costituisce un aspetto». I magistrati ricordano così, contro l’opinione dell’individualismo libertario, che valori morali possono legittimamente costituire una barriera contro la creazione di nuovi diritti individuali, e anche al preteso diritto di aborto.
E per quanto riguarda il suicidio assistito?
Nella sentenza «Haas contro la Svizzera» del 20 gennaio 2011 la Corte ha detto che uno Stato nel quale è stata legalizzata l’eutanasia non ha l’obbligo di far sì che un malato col desiderio di morire senza dolore possa ottenere una sostanza letale senza un ordine del medico, in deroga alla legislazione. La Corte, per quanto abbia riconosciuto il diritto al suicidio, ha ricordato all’unanimità che il diritto alla vita «obbliga le autorità nazionali a impedire a un individuo di mettere fine ai suoi giorni se la sua decisione non è intervenuta liberamente e con piena conoscenza di causa». Ha osservato infine che non c’è consenso tra gli Stati membri in materia, ma che la maggior parte di essi dà «più peso alla protezione della vita dell’individuo che al diritto di porvi fine», concludendo che la discrezionalità – il cosiddetto «margine d’apprezzamento» degli Stati – è considerevole in questo dominio.
Ci sono questioni pendenti che destano preoccupazione?
Nella sentenza contro la legge austriaca che vieta la fecondazione eterologa in vitro, la Corte in prima istanza ha deciso che gli Stati non si possono fondare su «considerazioni di ordine morale o relative all’accettabilità sociale delle tecniche in questione» per giustificare «il divieto totale di questo o quel metodo di procreazione assistita, nel caso il dono di ovuli». In questo caso i valori sociali e morali sono stati profondamente rimessi in questione, ma la Corte, conscia della portate del problema, ha accettato di rinviare la questione alla Grande Chambre (la Corte d’Appello). L’udienza ha avuto luogo in febbraio. Anche in questo caso c’è stata una ricaduta positiva della vicenda del crocifisso. Infatti Germania e Italia e numerosi parlamentari e Ong tra cui Eclj sono intervenuti a sostegno della legislazione austriaca. La Corte non ha reso pubblico il verdetto finale, ma si può sperare in una decisione di buon senso, e anche in un ravvedimento.
Ci sono effetti su altri versanti?
In un’altra vertenza contro l’Austria del giugno 2010 la Corte ha affermato che «gli Stati restano liberi di concedere il matrimonio solo alle coppie eterosessuali» aggiungendo però che è «artificiale» continuare a ritenere che una coppia omosessuale non abbia una vita familiare. Tuttavia in conclusione ha riconosciuto che non si deve sostituire alle autorità nazionali, che sono nella migliore posizione per valutare i bisogni delle loro società.
Da un punto di vista culturale quale è l’impatto della vicenda del crocifisso?
Non c’è stato caso che abbia fatto tanto scalpore né mobilitato tante energie. È intervenuto in un momento di crisi di identità dell’unità europea e di esasperazione crescente nei confronti dell’attivismo giudiziario e ideologico della Corte. Si metteva di fatto in discussione il ruolo del cristianesimo nella identità europea ma i 21 Paesi membri – ortodossi, cattolici e protestanti – intervenuti hanno riaffermato l’importanza del cristianesimo nel cuore dell’Europa.
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