Il cervello dei nostri avi era più grande. E allora? di Marco Respinti, 15-06-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Negli ultimi 10mila anni il cervello dell’uomo si è ridotto del 10%. Lo afferma la professoressa Marta Lahr, biologa e antropologa, condirettore del Leverhulme Centre for Human Evolutionary Studies dell’Università di Cambdridge. Il passaggio dell’uomo dalla condizione di cacciatore-raccoglitore (nomadica, o comunque caratterizzata da forte mobilità) a quella di agricoltore ha infatti prodotto modifiche profonde negli stili di vita in grado di incidere non meno radicalmente sulla sua struttura fisica e ha pure dato origine a quegli insediamenti stabili che, fra l’altro, hanno favorito una diffusione maggiore e più rapida delle patologie responsabili della diminuzione della sua dimensione corporea (come documenta uno studio di Amanda Mummert, antropologa della Emory University di Atlanta, di cui ha parlato anche il Sunday Times) a cui corrisponde appunto la riduzione della massa cerebrale. «Forse dipende dal fatto», dice la professoressa Mahr, «che il cervello assorbe circa un quarto dell’energia prodotta dal corpo. Calando le dimensioni fisiche calano anche quelle cerebrali».
Ora, che tra preistoria e storia l'uomo di Cro-Magnon sia andanto rimpicciolendosi e che le dimensioni del cerebro umano siano cosneguentemente passate dai circa 1500 centimetri cubici di ieri agli attuali 1350 potrebbe sembrare una notizia per pochi specialisti; ma quando la cosa finisce sulla prima pagina di un grande quotidiano nazionale, La Stampa del 13 giugno, significa che le sue implicazioni sono universalmente rilevanti (anche perché, di per sé, la notizia non è nuovissima).
Infatti la scoperta di Cambridge anzitutto mostra - per via osservabile e sperimentale, cioè a norma di metodo scientifico - che l’intelligenza dell’uomo non deriva dall’aumento delle dimensioni del suo cervello, che le sue qualità specifiche non sono né riducibili né relative alle sue quantità materiali, insomma che una delle caratteristiche specifiche e ineguagliabili che fanno l’uomo quel che esso è (e irriducibilmente diverso dal resto dei viventi) non dipende solo dalla materia.
In secondo luogo la ricerca della professoressa Lahr sottolinea bene che ciò che oggi la scienza ci propone di credere come verità incontrovertibile può essere il contrario esatto della verità che altrettanto incontrovertibilmente ci proponeva di credere ieri o ci proporrà di credere domani.
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