"Indovina: è dolce o salato?" - TUTTOSCIENZE - "Per gli studi sugli inganni del gusto sono stato premiato da Obama" di MARTA PATERLINI – http://www3.lastampa.it/
Alfredo Fontanini, nel suo laboratorio al «Department of Neurobiology and Behavior» della Stony Brook University, New York, studia la «codifica gustativa», vale a dire come il cervello elabora le informazioni collegate al gusto. Un settore di frontiera per il quale, a 39 anni, è stato insignito con il «Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers», la più alta onorificienza data dal governo americano, per mano di Barack Obama, a scienziati «junior», all'inizio della carriera accademica.
Al centro delle sue ricerche ci sono le «aspettative del gusto». Usando tecniche sperimentate da neurofisiologi e psicologi, l’obiettivo è capire la relazione tra percezione del sapore e attività delle reti neurali: l'area gustativa è identificata in una parte della corteccia cerebrale che prende il nome di lobo dell'insula.
Che significa studiare il gusto? E cosa sta scoprendo?
«Il gusto è un senso trascurato dalla scienza. E paradossalmente lo è per lo stesso motivo per cui è così popolare nella cultura pop. Ciò che rende difficile studiare il gusto per i fisiologi sensoriali è che non può essere scorporato dalla componente emotiva: il gusto è un senso psicologico e la percezione dei sapori e degli aromi è modulata dallo stato psicologico. Io sono interessato a capire come l'aspettativa cambia il modo in cui si percepisce il gusto».
Cosa significa in pratica?
«Se un sapore ci arriva come una totale sorpresa, come lo percepiamo? I miei sono tra i primi lavori che cercano di fare da ponte tra ciò che si conosce negli uomini e quello che non si sa nei ratti. I due contesti sono sempre stati tenuti separati. Studi svolti sull'uomo con la risonanza magnetica funzionale mostrano come l'aspettativa influenzi la percezione e il modo in cui l'insula risponde al gusto. Quello che non si sa è come l'attività di popolazioni di neuroni venga influenzata dall'aspettativa. Il mio obiettivo è quindi trasferire nel ratto il modo di vedere i problemi della psicofisica umana. E a questo aggiungere lo studio delle reti dei neuroni, non realizzabile negli uomini».
Il suo è un approccio olistico alla fisiologia sensoriale?
«In laboratorio facciamo elettrofisiologia in vivo: registriamo da decine di elettrodi in animali svegli e controlliamo il loro comportamento, analizzando alcune variabili psicologiche. Non vogliamo farci spaventare dal fatto che il gusto sia così “psicologico” in modo da capire come la fisiologia sensoriale incroci la fisiologia del “reward”, quella delle emozioni. Ci troviamo quindi a metà tra i due campi: registro dati che spaziano dalle aree sensoriali, come la corteccia gustativa, fino alle aree delle emozioni, come l'amigdala. E a riprova del fatto che il gusto è un senso emotivo, la sua area sensoriale primaria codifica non solo i classici sapori (dolce, salato, amaro, acido e umami), ma parametri psicologici come la bontà di un cibo, l'aspettativa, la sazietà, l'appetito e la sete».
Dal punto di vista tecnico come organizza un test?
«Con l'aiuto di cannule impiantate chirurgicamente i miei ratti possono ricevere liquidi zuccherati, salati, acidi o amari e si registra la loro attività neuronale. Quindi, per ogni neurone stilo un profilo delle sue risposte per ciascuno dei gusti, mentre l’animale viene addestrato a premere una leva per autosomministrarsi ciascuno dei gusti. Nella stessa sessione posso registrare una risposta a gusti che sono una completa sorpresa o a gusti somministrati dal ratto stesso. Quello che abbiamo notato è che, quando un animale associa un tono sonoro alla disponibilità di un gusto, la sua corteccia gustativa risponde a quel tono. Mi piace dire che la corteccia gustativa comincia a gustare i toni».
Quali sono le analogie con i test sull’uomo?
«Il nostro lavoro è analogo a una serie di lavori fatti sull'uomo con l’fMRI: di fronte alle foto di diversi cibi, infatti, ad attivarsi è la corteccia gustativa. Una volta che l'animale impara ad associare uno stimolo alla disponibilità di un gusto, la sua aspettativa comincia a categorizzare questo “input” come rilevante per il gusto. E, se gli si vuole dare una definizione psicologica, gusto è non solo ciò che si ha sulla lingua, ma ciò che è importante per l’esperienza gustativa: contesto, odori, visione».
Lei è in contatto con chef di fama: cerca ispirazione?
«Interagisco con loro, perchè sono aperti alla scienza e non a caso sono stato alla presentazione di quello che viene considerato il libro dell'anno sulla scienza in cucina: “Modernist Cuisine” di Nathan Myhrvold. Tra gli chef italiani, mi piace Davide Scabin del Combal Zero di Torino. Sembra svolgere molti dei test che noi facciamo in laboratorio. Al centro c’è il gioco sul senso della sorpresa e dell'aspettativa. Uno dei piatti - il «cyber egg» - è composto da caviale, uovo e vodka inglobati in una pellicola che non qualifica nessun gusto. Con un bisturi si incide la pellicola e si comincia l'assaggio: il boccone è una sorpresa, in cui si scorporano gli altri sensi, lasciando così che il nudo gusto faccia il suo lavoro. Si avverte una sorta di smarrimento, perché mancano le altre indicazioni. Proprio come quello che vedo nei test: alla somministrazione di un gusto inaspettato il sistema gustativo del ratto viene colto di sorpresa e i neuroni sono più lenti nella codifica».
Quali possono essere le ricadute della sua ricerca?
«Obama ha enfatizzato i doveri sociali di uno scienziato: tenere la conoscenza chiusa in laboratorio non serve. Ecco perché sono interessato a dare un contributo alla comprensione di malattie come bulimia e anoressia, che possono essere considerate come disturbi del processo del “reward”. Il gusto si interseca anche con i processi motivazionali: alterando il senso di quanto ci piace qualcosa e di quanto lo desideriamo, si può contribuire a ristabilire equilibri alterati».
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