Stati vegetativi, segnali di vita dalla coscienza - Risultati sorprendenti da misurazioni dell’attività elettrica del cervello in pazienti sottoposti a stimolazioni acustiche. Grazie all’équipe milanese di Marcello Massimini - di Enrico Negrotti, Avvenire, 2 giugno 2011
Cosa sia la coscienza e perché si perda sono misteri cui la scienza è ben lungi dall’avere dato risposte sicure. Ma da anni gli studi stanno indagando le condizioni più estreme della consapevolezza di sé, come lo stato vegetativo (Sv) e lo stato di minima coscienza (Smc), per cercare di fornire un aiuto nella cura di persone che, soprattutto dopo una grave cerebrolesione, non sono in grado di rispondere agli stimoli esterni.
Nelle scorse settimane un ulteriore tassello è stato posto da uno studio, pubblicata su Science (vol. 332, pagg. 858-862), che individua nella relazione incessante tra le aree cerebrali una condizione necessaria per avere la presenza della coscienza. Il lavoro è frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca di Steven Laureys e Melanie Boly a Liegi, l’Istituto di neurologia dell’University College di Londra diretto da Karl Friston e il dipartimento di Scienze cliniche dell’Università di Milano, dove lavora Marcello Massimini, che ce ne illustra significato e prospettive.
Come si è svolto lo studio e cosa avete scoperto?
Sui pazienti ricoverati a Liegi il nostro gruppo ha svolto le misurazioni con l’elettroencefalogramma ad alta intensità, registrando l’attività elettrica cerebrale (con 250 elettrodi sulla testa del paziente) durante la somministrazione di un protocollo di stimolazione acustica: una serie di toni alla stessa frequenza intervallati ogni tanto da un tono più alto.
I risultati sono stati analizzati da Melanie Boly sulla base del metodo di analisi del «dialogo» tra aree cerebrali messo a punto da Karl Friston. Si è visto che quando il cervello avverte il suono raro (più alto) ha una risposta di sorpresa, circa 200-300 millisecondi dopo il tono. Questa risposta è presente nei soggetti normali e in stato di minima coscienza; è invece assente nelle persone in stato vegetativo.
Come si interpreta questo risultato?
La risposta a un tono acustico raro, in un paziente in stato di minima coscienza (che cioè non è in grado di comunicare, ma che sporadicamente manifesta segnali di presenza o risposte saltuarie a un comando), si manifesta non solo nel flusso di informazioni dalla periferia sensoriale (aree uditive del cervello) verso aree più frontali, associative (e gerarchicamente più elevate), con un movimento definito dal basso verso l’alto (bottom-up). Successivamente le aree frontali “restituiscono” le informazioni alle aree periferiche (con un movimento gerarchicamente dall’alto verso il basso definito top-down). Si conferma così che un criterio perché vi sia la coscienza è un dialogo bidirezionale, in linea con una posizione teorica affermata in materia. Cosa che non appare succedere nei pazienti in stato vegetativo.
Che significato potrebbe avere il vostro studio?
Questo per ora è un risultato scientifico, non clinico, con applicazione al letto del paziente. Non è – tanto per capirci – la "firma" della presenza della coscienza. Però si conferma che per avere coscienza è importante questo dialogo bidirezionale delle informazioni. Adesso bisogna trovare strumenti più sofisticati e sensibili per misurare questi «dialoghi», non basta questo esperimento sui suoni: anche perché se in conseguenza di un grave trauma il paziente resta sordo, evidentemente il test non funziona. Noi stiamo già sperimentando altre vie di misurazione del «dialogo» tra le aree cerebrali attraverso la stimolazione magnetica transcranica della corteccia cerebrale, misurando poi ancora con elettroencefalogramma la capacità delle aree di relazionare tra loro.
E in futuro, a quali risultati potrebbero portare queste ricerche?
Innanzi tutto abbiamo bisogno di confermare questo risultato in altre circostanze in cui la coscienza risulta assente: in anestesia generale, o durante le prime ore del sonno o in pazienti epilettici. Più in generale va osservato che lo scopo ultimo di questi studi è affinare la sensibilità diagnostica, perché attualmente si tende a sottostimare il livello di coscienza. E quindi di fronte a un risultato negativo, conviene essere conservativi. Inoltre l’individuazione di «marker» affidabili potrebbe aiutare a capire per quali meccanismi la coscienza venga perduta. E capire i meccanismi, in medicina, è il primo passo per trovare una soluzione al problema. Pur senza dimenticare che alcune lesioni cerebrali sono irreversibili perché muoiono tantissimi neuroni.
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