lunedì 17 gennaio 2011

L’EDUCAZIONE SESSUALE FAVORISCE O LIMITA ABORTI E MALATTIE? di Renzo Puccetti, specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno (ZENIT.org).

ROMA, domenica, 16 gennaio 2011 (ZENIT.org).- “Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”.

Questo il passaggio del discorso del Santo Padre rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - pronunciato nella sala regia lunedì 10 gennaio 2011 - che ha suscitato le critiche di una parte della società e del mondo massmediatico.

Ancora una volta il Pontefice Benedetto XVI ha sfidato la cultura dominante e il circuito propagandistico che intende ridurre l’amore a sessualità e la sessualità a genitalità.

Come il suo venerato predecessore, quando tocca questi temi Papa Benedetto XVI si trova di fronte a reazioni scomposte e quasi isteriche.

In questo contesto, alcuni mass media hanno accusato il Pontefice di opporsi all’educazione sessuale nelle scuole, sostenendo che le istituzioni civili italiane sono troppo remissive al potere religioso.

Si sostiene infatti che l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole è un progresso e si porta l’esempio di cosa è avvenuto in Francia, Olanda, Svezia, indicando quelle esperienze come veri modelli di civiltà, di pluralismo e scientificità.

Ma è proprio così?

Quali dovrebbero essere gli obiettivi di questo supposto progresso educativo? Dal momento che si chiede l’opinione di esponenti del mondo della medicina, l’educazione sessuale insegnata ai bambini e ai ragazzi nelle scuole dovrebbe servire a ridurre le malattie sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate e gli aborti tra i giovani. Per cos’altro lo Stato dovrebbe chiedere a cittadini già asfissiati dalle tasse ulteriori sacrifici economici? O si preferirebbe una semplice ripartizione che stornasse parte dei fondi per l’edilizia scolastica a favore della “buona educazione” sessuale?

In Inghilterra, qualche tempo fa, non sapendo più che pesci prendere per il dilagare delle gravidanze e degli aborti tra le minorenni, si stampò un opuscolo il cui titolo era un programma: “Un orgasmo al giorno leva il medico di torno”.

Il prestigioso British Medical Journal, tuttavia, aveva pubblicato nel 2009 uno studio i cui risultati non erano stati proprio quelli auspicati: analizzando un gruppo di 446 giovani a rischio, i ricercatori hanno verificato che le ragazze a cui era stato fornito un programma contenente informazioni sulla contraccezione mostravano un tasso di gravidanze tre volte e mezzo superiore rispetto alle coetanee che non avevano frequentato quelle lezioni. Con un tasso di abortività tra le giovani fino a 19 anni pari a 23, in Inghilterra l’ente preposto ha dato il via libera per la pubblicità televisiva delle cliniche per aborti.

In Francia, Paese in cui il numero di pillole del giorno dopo vendute nell’ultimo anno è stato di un milione e centomila confezioni, la Nazione in cui il 95% delle donne sessualmente attive che non desidera una gravidanza usa la contraccezione, in massima parte fatta di pillola e spirale, il Paese in cui sono obbligatorie 40 ore all’anno di educazione sessuale, sono stati praticati 213.382 aborti nel 2007, con un tasso di abortività tra le ragazze di 15-19 anni pari a 15,6.

In Svezia, Paese in cui l’associazione per l’educazione sessuale è stata fondata nel 1933 dalla femminista Elise Ottesen-Jensen, dove nel 1945 apparve il primo manuale per l’educazione sessuale rivolto agli insegnanti, dove nel 1955 l’educazione sessuale nelle scuole divenne obbligatoria, nel Paese dei vichinghi dove sin dalla più tenera età si insegna a impratichirsi con il lattice vulcanizzato nei “condom’s days”, qual è il tasso di abortività tra le giovani?

Solo, si fa per dire, 22,5, tre volte più alto rispetto a quello registrato tra le pari età italiche, per le quali nell’ultima relazione è attestato a 7,2, nonostante i “poveri” giovani italiani siano costretti ad informarsi dagli amici, da Internet e, pensate un po’ che obbrobrio, persino dai genitori. I dati dell’Olanda, dove a scuola esiste il programma Long Live Love per i ragazzi di almeno 13 anni, non si scosterebbero di molto.

E sul versante delle malattie sessualmente trasmesse?

Qui i dati sono più farraginosi e più difficilmente comparabili, ma può essere indicativo quanto riportava l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo l’infezione da clamidia, un germe assai insidioso, causa talora di sterilità per infezioni trascurate, riferendo la prevalenza negli anni ’90: Italia 2,7%, Francia 3,9%, Olanda 4,9%, Regno Unito 6,2%.

E allora? Se questi sono i risultati dell’educazione sessuale a scuola, voglio essere ottimista e sperare che in Italia non si dia più neppure un centesimo per queste iniziative, lasciando che ciascuno, secondo il proprio grado di maturazione, inizi il proprio percorso di avvicinamento alla scoperta di una dimensione dell’umano grandiosa e potente.

Al giornalista Peter Seewald, Joseph Ratzinger in poche righe ha indicato un errore che l’uomo post-moderno fatica a comprendere: “Vogliamo impadronirci anche dell’esistenza umana per mezzo della tecnica e abbiamo disimparato che ci sono problemi umani originari che non possono essere risolti attraverso di essa, ma che richiedono uno stile e delle decisioni di vita”.

Prima che di fede, è questione di realtà, di responsabilità e in ambito pubblico di appropriatezza degli investimenti.

Nessun commento:

Posta un commento