lunedì 17 gennaio 2011

Storia della malattia e della cura 8 - Sguardo riduttivo sul corpo-macchina - Autore: Riva, Michele; Laguri, Innocenza  Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it, sabato 15 gennaio 2011

Aspetti dell’approccio alla cura nella contemporaneità

Circa i metodi della cura va detto che oggi l’organismo umano è diviso e studiato in tutte le sue componenti. Questo ha portato sia grandi benefici, con un maggior grado di specializzazione, sia, però, ha aperto la strada al grande pericolo del riduzionismo biologico, cioè quello di non valutare l’uomo nella sua interezza ma considerarlo solo dal punto di vista di un organo malato.
La nostra epoca è caratterizzata dalla invasione della mentalità tecnologica, che suggerisce di trasformare ogni situazione, quindi anche la malattia, in un problema da risolvere. Anche la medicina, in varia misura nei suoi settori, può essere considerata appartenente al mondo tecnologico, della cui mentalità e cultura subisce inevitabilmente l'influsso.
Chi osserva questo fenomeno ha proposto una distinzione tra dolore e sofferenza. Il dolore è la riduzione alla sola dimensione fisiologica o psichica, è la riduzione della esperienza della sofferenza che ha un valore più ampio del dolore. Quest’ultimo è un bisogno, cioè questione risolvibile con la tecnica medica, farmaco o intervento chirurgico. Il primato della mentalità tecnico-scientifica, che invade anche la medicina, comporta l'idea che tra bisogno e sapere tecnico-scientifico ci sia una totale corrispondenza. Ma nel problema della malattia è coinvolta tutta la persona umana,cioè la malattia è anche sofferenza: significa che ha un senso più ampio del solo dolore, dove per dolore si intende ciò che è dominabile con una tecnica medica. Specularmente lo stesso si deve dire della salute. Salute e malattia non possono essere viste in modo riduzionistico, ma questo non è facilmente colto né dalle persone né dalla medicina. Spesso da un lato si enfatizza la salute fisica (fino al mito del corpo giovane e bello), dall’altro la medicina favorisce questo riduzionismo insistendo sulla specializzazione delle singole parti del corpo macchina. La richiesta della pura salute fisica, per quanto imposta dalla mentalità comune, è in realtà parziale. Infatti, quando facciamo l’esperienza di essere privati del bene-salute scopriamo che noi sentiamo non solo il dolore, la consapevolezza del bene perduto, il bisogno di recuperare il bene della salute fisica ma anche passiamo dal bisogno del bene-salute al bisogno di aiuto da parte degli altri e al desiderio di scoprire il senso della malattia. Impariamo, se stiamo attenti all’esperienza della malattia, che non siamo autosufficienti e che c’è sproporzione tra il nostro desiderio di perfezione e la reale mancanza che viviamo. In fondo ci avviciniamo al concetto di salus medioevale che è stato dimenticato, perché appunto intendiamo la salute solo come lo stare bene e in forma fisicamente, come il funzionamento statisticamente tipico di un organismo.
Sul piano sociologico, che guarda al comportamento sociale, poiché sul concetto di salute come corpo integro si delineano standards di comportamento e poiché il comportamento del malato non rientra in questi standards di comportamento, si finisce per considerare la malattia come una devianza. Una concezione così riduttiva della salute e della malattia ha importantissime implicazioni anche a livello politico, sociale, economico. Se infatti la società contemporanea proclama, riprendendolo dal '700, il diritto alla salute (con le ambiguità di cui si diceva), la realizzazione pratica di questi diritti comporta che lo Stato se ne fa carico e anche questo accentua la tendenza a ridurre salute e malattia a problema da risolvere con la tecnica. Il risultato è la cosiddetta “medicalizzazione della società”, per la quale si enfatizza il benessere fisico e l’azione della medicina come unica forma di felicità.

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