21-12-2012
Leggendo l’articolo di Giacomo Samek Lodovici sulla legge 40, la quale ha legittimato le pratiche di fecondazione artificiale nel nostro Paese, vengono da articolare alcune riflessioni. Talune in sintonia con il suo scritto, altre meno.
Accettiamo di mettere da parte un giudizio storico e relative responsabilità morali di alcuni soggetti che si fecero promotori della legge 40, soggetti provenienti anche dall’ambiente “cattolico”. Lo facciamo anche se pesano non poco queste responsabilità.
Partiamo dal punto indicato dallo stesso Samek, cioè un fatto, bello o brutto che sia, ma un fatto inoppugnabile: esiste una legge che permette la fecondazione artificiale. “Che fare?” domanda Samek e domandiamo noi. Due sono le direttrici lungo le quali muoversi: quella culturale e quella politico-giuridica.
Da un punto di vista culturale occorre giudicarla alla luce del diritto naturale: è una legge intrinsecamente iniqua. Sia perché dissocia l’atto unitivo da quello procreativo reificando così il nascituro, sia perché, con dolo eventuale, sacrifica moltissimi embrioni al fine di avere pochi bambini in braccio. Quindi il giudizio è assolutamente negativo e i media, soprattutto quelli di area cattolica, non dovrebbero stancarsi di ripeterlo, così come ha fatto più volte lo stesso Samek (altra musica è accennare tra una parentesi e l’altra che non è una legge cattolica). In merito all’intrinseca iniquità della legge 40 Samek obietta che alcune sue parti – prese a se stanti - sono buone: il divieto di eterologa, la sperimentazioni sugli embrioni, ecc.
Alcune considerazioni su queste parti “buone”. In primis come ha accennato lo stesso Samek molti di questi divieti – non tutti – sono puramente formali, ma non sostanziali (come ben spiega il magistrato Giacomo Rocchi nel suo Il legislatore distratto, ESD). Sia perché sono facilmente aggirabili, sia perché spesso a fronte di un divieto manca una sanzione. E un divieto senza pena non è un divieto. Samek aggiunge a questo proposito che perlomeno sopravvive un effetto pedagogico di carattere deterrente di questi divieti nonostante siano solo formali. A questo proposito viene da rispondere – e Samek ne conviene - che simile effetto pedagogico, ben più marcato, è allora riscontrabile in tutta la legge 40 che sicuramente ha incoraggiato molte coppie a ricorrere alla provetta, coppie che senza questa legge non avrebbero mai pensato di avere un figlio nato in laboratorio.
Accettiamo di mettere da parte un giudizio storico e relative responsabilità morali di alcuni soggetti che si fecero promotori della legge 40, soggetti provenienti anche dall’ambiente “cattolico”. Lo facciamo anche se pesano non poco queste responsabilità.
Partiamo dal punto indicato dallo stesso Samek, cioè un fatto, bello o brutto che sia, ma un fatto inoppugnabile: esiste una legge che permette la fecondazione artificiale. “Che fare?” domanda Samek e domandiamo noi. Due sono le direttrici lungo le quali muoversi: quella culturale e quella politico-giuridica.
Da un punto di vista culturale occorre giudicarla alla luce del diritto naturale: è una legge intrinsecamente iniqua. Sia perché dissocia l’atto unitivo da quello procreativo reificando così il nascituro, sia perché, con dolo eventuale, sacrifica moltissimi embrioni al fine di avere pochi bambini in braccio. Quindi il giudizio è assolutamente negativo e i media, soprattutto quelli di area cattolica, non dovrebbero stancarsi di ripeterlo, così come ha fatto più volte lo stesso Samek (altra musica è accennare tra una parentesi e l’altra che non è una legge cattolica). In merito all’intrinseca iniquità della legge 40 Samek obietta che alcune sue parti – prese a se stanti - sono buone: il divieto di eterologa, la sperimentazioni sugli embrioni, ecc.
Alcune considerazioni su queste parti “buone”. In primis come ha accennato lo stesso Samek molti di questi divieti – non tutti – sono puramente formali, ma non sostanziali (come ben spiega il magistrato Giacomo Rocchi nel suo Il legislatore distratto, ESD). Sia perché sono facilmente aggirabili, sia perché spesso a fronte di un divieto manca una sanzione. E un divieto senza pena non è un divieto. Samek aggiunge a questo proposito che perlomeno sopravvive un effetto pedagogico di carattere deterrente di questi divieti nonostante siano solo formali. A questo proposito viene da rispondere – e Samek ne conviene - che simile effetto pedagogico, ben più marcato, è allora riscontrabile in tutta la legge 40 che sicuramente ha incoraggiato molte coppie a ricorrere alla provetta, coppie che senza questa legge non avrebbero mai pensato di avere un figlio nato in laboratorio.
Però – e qui c’è un snodo non sufficientemente messo in evidenza da Samek - tale spinta alla fecondazione artificiale di tipo omologo – consentita dalla legge – prima o poi travolgerà il divieto formale alla fecondazione eterologa, nonchè gli altri divieti, e di conseguenza i relativi effetti pedagogici. Gli attuali ricorsi giurisprudenziali depongono a favore di questa previsione.
In realtà nulla di nuovo sotto il sole. Il codice civile ad esempio impone un obbligo di fedeltà del coniuge verso l’altro coniuge. Anche in questo caso l’obbligo è meramente formale perché il reato di adulterio e connesse sanzioni sono ormai decadute. Può avere un effetto pedagogico tale comando ad essere fedeli al proprio coniuge? Sì, ma di lievissima entità, non solo perché manca una sanzione che possa essere di deterrente a condotte fedifraghe (e non ci riferiamo al carcere bensì a sanzioni alternative), ma soprattutto perché c’è una legge sul divorzio che formalizza e legittima l’infedeltà (la rottura del legame matrimoniale è di per se stessa atto di infedeltà al patto coniugale, anche se non c’è nessun terzo incomodo nel letto).
Così anche per la legge 194: legittimato l’aborto chirurgico eseguito in ospedale va da sé che il divieto delle pratiche abortive extra-ospedaliere – e relativi effetti pedagogici – hanno le ore contate. Ed infatti la RU486 è sì somministrata in ospedale (forse), ma poi la paziente che per legge dovrebbe rimanere nella struttura ospedaliera grazie alle dimissioni volontarie può far ritorno casa. E il divieto di pratiche abortive extra-ospedaliere e connessi effetti educativi che fine fanno? Rimangono sulla carta.
Stessa dinamica sta coinvolgendo la legge 40 in relazione alla legge 194: i giudici europei hanno infatti fatto notare che è illogico vietare la distruzione dell’embrione prima dell’impianto (legge 40) se poi è permesso (legge 194).
In soldoni: l’effetto pedagogico di divieti o comandi scritti nero su bianco nelle legge o nei codici è pressoché vanificato se non ci sono pene per chi sgarra e se ci sono altre leggi o norme delle stesse leggi che le contraddicono de iure e de facto. Si chiama mancanza di effettività del divieto. Ciò a dire che il presunto effetto di orientare le condotte in modo virtuoso si avvicina all’astrazione e non apporta reali effetti positivi nella vita concreta. Ma il giurisperito, ahinoi, si occupa della vita reale non delle astrazioni filosofiche. Occorre quindi stare attenti a non peccare di irrealismo.
Dunque di fatto e di diritto le parti buone vengono travolte non dalle parti cattive, ma dal DNA delle leggi intrinsecamente inique. Dire che una legge è intrinsecamente malvagia significa che la sua struttura portante, la sua essenza, la sua natura intima è marcia. E quando la pianta è marcia anche i suoi frutti, persino quelli potenzialmente buoni, marciranno prima o poi. La legge 40 sconta un peccato originale che intacca tutte le sue parti, così come una breccia in una diga prima o poi interesserà tutta la diga. E i diversi ricorsi giurisprudenziali che la stanno smantellando sono la naturale e inevitabile conseguenza di questo peccato originale. Di converso se la matrice di una legge è buona anche se non perfetta – vedasi il caso della legge tedesca citato da Samek che proibiva l’aborto seppur con ampia clemenza – c’è da sperare che qualche frutto buono lo porti.
Crediamo poi che sia da privilegiare una lettura della legge nella sua completezza più che nelle sue singole parti. Anzi: il giudizio su una legge per essere corretto dovrebbe derivare da un’analisi della legge all’interno dell’intero ordinamento giuridico: vedasi l’esempio di prima sulla relazione l. 40 e l. 194. Questo perché la legge è come un organismo umano. Che dire di una persona che ha un tumore ad un polmone? Quale medico affermerebbe che la persona è sana e che solo un polmone è malato? Inoltre se il male non viene debellato in quell’organo quanto prima, come sopra accennato, anche le altre parti sane si ammaleranno.
Oppure, per esemplificare ancora, sarebbe un poco temerario asserire che nella vita di Toto Riina è opportuno fare un distinguo tra condotte malvagie – le stragi, gli omicidi – e condotte buone, es. l’aver coltivato la terra. Sicuramente anche nell’esistenza di questo mafioso qualcosa di buono c’è stato, ma il giudizio sulla persona alla fin fine – cioè in toto - non può che essere negativo.
Dunque in buona sostanza e su un piano meramente critico la legge 40 è una legge iniqua perché permette pratiche inique e le sue parti buone assomigliano tanto alle maniere cortesi con le quali Don Rodrigo accolse Fra Cristoforo nel suo palazzotto.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale: che fare con questa legge? Nella prospettiva giuridica occorre distinguere il piano di azione nelle aule dei tribunali da quello in ambito parlamentare. In merito al primo aspetto, laddove c’è un ricorso contro la legge 40 c’è poco da fare: occorre aggrapparsi a tutto. E se l’unico appiglio sono quei divieti fragili, fragilissimi contenuti nella legge 40 non si potrà che difenderli in tutti i modi per evitare che una legge ingiusta diventi ancora più ingiusta, sperando che non si sgretolino nelle nostre mani.
Sul piano invece politico-parlamentare la meta ultima è doverosamente - per il credente e non solo - l’abrogazione. Naturalmente non basterebbe abrogare il testo ma occorrerebbe sostituirlo con uno di segno opposto che vieti qualsiasi pratica di fecondazione artificiale. Ovviamente poi questo risultato abrogativo non è raggiungibile realisticamente domani. Ma se non ci si muove mai verso quella direzione, mai ci arriveremo. In genere l’obiezione usuale e sicuramente ragionevole è la seguente: proporre un disegno di legge o un referendum per la sua abrogazione e per l’inserimento di conserva di una normativa che vieti la fecondazione artificiale sarebbe controproducente per due motivi. Non solo perderemmo politicamente dato che il Paese non è pronto a simili cambiamenti, ma perderemmo per sempre anche la facoltà di opporci seppur in modo minimale contro la legge 40. Vero, ed infatti è un’opzione da valutare con attenzione per evitare effetti boomerang.
Ma su un fronte opposto come non ricordare le lezioni di strategia che ci vengono dal nemico? Come non ricordare la batosta che nel 2005 hanno ricevuto i radicali nel referendum da loro perso sulla legge 40? Eppure il giorno dopo sono ripartiti all’attacco e i frutti amari di quel loro impegno tutti noi oggi li gustiamo. Come non ricordare il referendum massimalista da loro perso nell’81 sull’aborto? Ma nonostante ciò nell’immaginario collettivo i radicali rimangono i difensori dell’aborto libero. Come non rammentare le sei volte che Beppino Englaro andò da un giudice per chiedere che venisse staccata la spina a sua figlia e le relative volte che un giudice gli negò questa facoltà? Eppure alla fine riuscì nel suo intento. Ed infine come non ricordare il disegno di legge dell’on. Grillini che nel 2002 voleva l’equiparazione del “matrimonio” omosessuale con quello etero? È finito in un cassetto, ma non è finito in un cassetto il tam tam culturale che spinge in quella direzione.
Perché dunque è importante provarci? In primo luogo perché è irrealistico illudersi che al primo tiro in porta si possa far gol, occorre tentare più volte. In secondo luogo perchè – muovendoci nella prospettiva pedagogica indicata da Samek – anche se si perde in Parlamento si sposta il baricentro della lotta culturale dalla propria parte, come testimoniano gli esempi citati. Cioè si istruisce la massa a favore delle proprie posizioni dato che solo proporre un referendum o una legge fa parlare di sé, muove opinioni, crea discussione, facendo avvicinare sempre più la meta ultima.
Sempre sul piano politico poi è strategicamente perdente difendere la legge 40, o sue parti buone. Perché giocare sempre in difesa magari fa pareggiare una partita, ma di certo fa perdere il campionato (oltre che far nascere nei tifosi il sospetto di qualche strana combine con gli avversari). Occorre invece giocare d’attacco, così come mi pare che lo stesso Samek proponga. Cioè nei modi e tempi opportuni – se la prudenza politica sconsiglia un’azione di abrogazione totale della legge - è necessario farsi promotori di azioni politiche volte allo smantellamento graduale della legge 40 nelle sue parti inique con l’inserimento in parallelo di effettivi divieti. In aggiunta oppure in alternativa restringere l’ambito di applicazione di alcune sue norme. Questo è il vero ambito di applicazione del n. 73 dell’Evangelium Vitae citato da Samek, che non incensa le parti buone di leggi cattive, ma che sprona a rendere meno cattive queste leggi.
Se si gioca in attacco è vero che ci si espone al contropiede, ma forse si corre anche il rischio di mettere a segno qualche rete. In tal modo poi rovesceremo la situazione odierna che vede più di un cattolico difendere la legge 40 perché teme che venga peggiorata, ingenerando poi tra i fedeli non poca confusione. Infatti proprio nella prospettiva pedagogica che sta così a cuore a Samek, il credente comune si trova non poco disorientato a leggere su alcuni giornali cattolici che la legge 40 deve essere difesa e non è infrequente che arrivi a considerare la legge 40 una buona legge e quindi ad approvare le tecniche di fecondazione extra-corporea. Se si gioca protesi in avanti invece saranno i pro-choice che si vedranno costretti a difendere la propria porta, cioè la legge 40, e non più i “cattolici”. Questo è l’unico modo non solo per tentare di rendere meno peggiore una legge ingiusta – obiettivo più alto – ma anche, puntando al minimo sindacale, per sperare che non venga smantellata dai giudici. Il resto è cronaca di una morte annunciata.
In realtà nulla di nuovo sotto il sole. Il codice civile ad esempio impone un obbligo di fedeltà del coniuge verso l’altro coniuge. Anche in questo caso l’obbligo è meramente formale perché il reato di adulterio e connesse sanzioni sono ormai decadute. Può avere un effetto pedagogico tale comando ad essere fedeli al proprio coniuge? Sì, ma di lievissima entità, non solo perché manca una sanzione che possa essere di deterrente a condotte fedifraghe (e non ci riferiamo al carcere bensì a sanzioni alternative), ma soprattutto perché c’è una legge sul divorzio che formalizza e legittima l’infedeltà (la rottura del legame matrimoniale è di per se stessa atto di infedeltà al patto coniugale, anche se non c’è nessun terzo incomodo nel letto).
Così anche per la legge 194: legittimato l’aborto chirurgico eseguito in ospedale va da sé che il divieto delle pratiche abortive extra-ospedaliere – e relativi effetti pedagogici – hanno le ore contate. Ed infatti la RU486 è sì somministrata in ospedale (forse), ma poi la paziente che per legge dovrebbe rimanere nella struttura ospedaliera grazie alle dimissioni volontarie può far ritorno casa. E il divieto di pratiche abortive extra-ospedaliere e connessi effetti educativi che fine fanno? Rimangono sulla carta.
Stessa dinamica sta coinvolgendo la legge 40 in relazione alla legge 194: i giudici europei hanno infatti fatto notare che è illogico vietare la distruzione dell’embrione prima dell’impianto (legge 40) se poi è permesso (legge 194).
In soldoni: l’effetto pedagogico di divieti o comandi scritti nero su bianco nelle legge o nei codici è pressoché vanificato se non ci sono pene per chi sgarra e se ci sono altre leggi o norme delle stesse leggi che le contraddicono de iure e de facto. Si chiama mancanza di effettività del divieto. Ciò a dire che il presunto effetto di orientare le condotte in modo virtuoso si avvicina all’astrazione e non apporta reali effetti positivi nella vita concreta. Ma il giurisperito, ahinoi, si occupa della vita reale non delle astrazioni filosofiche. Occorre quindi stare attenti a non peccare di irrealismo.
Dunque di fatto e di diritto le parti buone vengono travolte non dalle parti cattive, ma dal DNA delle leggi intrinsecamente inique. Dire che una legge è intrinsecamente malvagia significa che la sua struttura portante, la sua essenza, la sua natura intima è marcia. E quando la pianta è marcia anche i suoi frutti, persino quelli potenzialmente buoni, marciranno prima o poi. La legge 40 sconta un peccato originale che intacca tutte le sue parti, così come una breccia in una diga prima o poi interesserà tutta la diga. E i diversi ricorsi giurisprudenziali che la stanno smantellando sono la naturale e inevitabile conseguenza di questo peccato originale. Di converso se la matrice di una legge è buona anche se non perfetta – vedasi il caso della legge tedesca citato da Samek che proibiva l’aborto seppur con ampia clemenza – c’è da sperare che qualche frutto buono lo porti.
Crediamo poi che sia da privilegiare una lettura della legge nella sua completezza più che nelle sue singole parti. Anzi: il giudizio su una legge per essere corretto dovrebbe derivare da un’analisi della legge all’interno dell’intero ordinamento giuridico: vedasi l’esempio di prima sulla relazione l. 40 e l. 194. Questo perché la legge è come un organismo umano. Che dire di una persona che ha un tumore ad un polmone? Quale medico affermerebbe che la persona è sana e che solo un polmone è malato? Inoltre se il male non viene debellato in quell’organo quanto prima, come sopra accennato, anche le altre parti sane si ammaleranno.
Oppure, per esemplificare ancora, sarebbe un poco temerario asserire che nella vita di Toto Riina è opportuno fare un distinguo tra condotte malvagie – le stragi, gli omicidi – e condotte buone, es. l’aver coltivato la terra. Sicuramente anche nell’esistenza di questo mafioso qualcosa di buono c’è stato, ma il giudizio sulla persona alla fin fine – cioè in toto - non può che essere negativo.
Dunque in buona sostanza e su un piano meramente critico la legge 40 è una legge iniqua perché permette pratiche inique e le sue parti buone assomigliano tanto alle maniere cortesi con le quali Don Rodrigo accolse Fra Cristoforo nel suo palazzotto.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale: che fare con questa legge? Nella prospettiva giuridica occorre distinguere il piano di azione nelle aule dei tribunali da quello in ambito parlamentare. In merito al primo aspetto, laddove c’è un ricorso contro la legge 40 c’è poco da fare: occorre aggrapparsi a tutto. E se l’unico appiglio sono quei divieti fragili, fragilissimi contenuti nella legge 40 non si potrà che difenderli in tutti i modi per evitare che una legge ingiusta diventi ancora più ingiusta, sperando che non si sgretolino nelle nostre mani.
Sul piano invece politico-parlamentare la meta ultima è doverosamente - per il credente e non solo - l’abrogazione. Naturalmente non basterebbe abrogare il testo ma occorrerebbe sostituirlo con uno di segno opposto che vieti qualsiasi pratica di fecondazione artificiale. Ovviamente poi questo risultato abrogativo non è raggiungibile realisticamente domani. Ma se non ci si muove mai verso quella direzione, mai ci arriveremo. In genere l’obiezione usuale e sicuramente ragionevole è la seguente: proporre un disegno di legge o un referendum per la sua abrogazione e per l’inserimento di conserva di una normativa che vieti la fecondazione artificiale sarebbe controproducente per due motivi. Non solo perderemmo politicamente dato che il Paese non è pronto a simili cambiamenti, ma perderemmo per sempre anche la facoltà di opporci seppur in modo minimale contro la legge 40. Vero, ed infatti è un’opzione da valutare con attenzione per evitare effetti boomerang.
Ma su un fronte opposto come non ricordare le lezioni di strategia che ci vengono dal nemico? Come non ricordare la batosta che nel 2005 hanno ricevuto i radicali nel referendum da loro perso sulla legge 40? Eppure il giorno dopo sono ripartiti all’attacco e i frutti amari di quel loro impegno tutti noi oggi li gustiamo. Come non ricordare il referendum massimalista da loro perso nell’81 sull’aborto? Ma nonostante ciò nell’immaginario collettivo i radicali rimangono i difensori dell’aborto libero. Come non rammentare le sei volte che Beppino Englaro andò da un giudice per chiedere che venisse staccata la spina a sua figlia e le relative volte che un giudice gli negò questa facoltà? Eppure alla fine riuscì nel suo intento. Ed infine come non ricordare il disegno di legge dell’on. Grillini che nel 2002 voleva l’equiparazione del “matrimonio” omosessuale con quello etero? È finito in un cassetto, ma non è finito in un cassetto il tam tam culturale che spinge in quella direzione.
Perché dunque è importante provarci? In primo luogo perché è irrealistico illudersi che al primo tiro in porta si possa far gol, occorre tentare più volte. In secondo luogo perchè – muovendoci nella prospettiva pedagogica indicata da Samek – anche se si perde in Parlamento si sposta il baricentro della lotta culturale dalla propria parte, come testimoniano gli esempi citati. Cioè si istruisce la massa a favore delle proprie posizioni dato che solo proporre un referendum o una legge fa parlare di sé, muove opinioni, crea discussione, facendo avvicinare sempre più la meta ultima.
Sempre sul piano politico poi è strategicamente perdente difendere la legge 40, o sue parti buone. Perché giocare sempre in difesa magari fa pareggiare una partita, ma di certo fa perdere il campionato (oltre che far nascere nei tifosi il sospetto di qualche strana combine con gli avversari). Occorre invece giocare d’attacco, così come mi pare che lo stesso Samek proponga. Cioè nei modi e tempi opportuni – se la prudenza politica sconsiglia un’azione di abrogazione totale della legge - è necessario farsi promotori di azioni politiche volte allo smantellamento graduale della legge 40 nelle sue parti inique con l’inserimento in parallelo di effettivi divieti. In aggiunta oppure in alternativa restringere l’ambito di applicazione di alcune sue norme. Questo è il vero ambito di applicazione del n. 73 dell’Evangelium Vitae citato da Samek, che non incensa le parti buone di leggi cattive, ma che sprona a rendere meno cattive queste leggi.
Se si gioca in attacco è vero che ci si espone al contropiede, ma forse si corre anche il rischio di mettere a segno qualche rete. In tal modo poi rovesceremo la situazione odierna che vede più di un cattolico difendere la legge 40 perché teme che venga peggiorata, ingenerando poi tra i fedeli non poca confusione. Infatti proprio nella prospettiva pedagogica che sta così a cuore a Samek, il credente comune si trova non poco disorientato a leggere su alcuni giornali cattolici che la legge 40 deve essere difesa e non è infrequente che arrivi a considerare la legge 40 una buona legge e quindi ad approvare le tecniche di fecondazione extra-corporea. Se si gioca protesi in avanti invece saranno i pro-choice che si vedranno costretti a difendere la propria porta, cioè la legge 40, e non più i “cattolici”. Questo è l’unico modo non solo per tentare di rendere meno peggiore una legge ingiusta – obiettivo più alto – ma anche, puntando al minimo sindacale, per sperare che non venga smantellata dai giudici. Il resto è cronaca di una morte annunciata.
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