Un esame del sangue e il Parkinson si svela - 18 dicembre 2012- http://www.lastampa.it
Il Parkinson tende a manifestarsi quando la malattia si trova già in uno stato avanzato, rendendo più difficili le terapie
Ricerca italiana: individuati nei globuli bianchi i marcatori “Così si riconosce l’esordio precoce della malattia”
Basterà un esame del sangue per riuscire a individuare precocemente i pazienti affetti dal morbo di Parkinson, distinguendoli da quelli che soffrono di altre malattie di tipo neurodegenerativo.
Una ricerca tutta italiana ha individuato per la prima volta nei globuli bianchi i marcatori che permetteranno con un semplice prelievo di riconoscere i segnali tipici di un esordio precoce della malattia.
L’annuncio arriva dalla rivista scientifica internazionale «Scientific Reports». Il gruppo che ha fatto la scoperta è quello dell’Università di Torino diretto dal professor Leonardo Lopiano, direttore delle Neurologia universitaria dell’ospedale Molinette, in collaborazione con il professor Mauro Fasano e con la dottoressa Tiziana Alberio, dell’Università dell’Insubria a Busto Arsizio, e con altri collaboratori dell’Università del Piemonte Orientale e dell’Università di Verona. Attraverso la proteomica che studia la modificazione delle proteine nei tessuti, i ricercatori hanno trovato alcuni marcatori delle cellule - in particolare nei linfociti T - che in determinate combinazioni consentono di dare addirittura un punteggio di compatibilità con la malattia.
«Il carattere innovativo dello studio - spiega il professor Lopiano - sta nel cercare i marker nei linfociti, cioè nelle cellule del sistema immunitario del sangue: tali cellule condividono alcune caratteristiche peculiari con i neuroni soggetti alla degenerazione prodotta dal Parkinson».
Dopo l’Alzheimer, il morbo di Parkinson è la malattia neurodegerativa più diffusa non solo nel nostro Paese. Studi epidemiologici europei e americani calcolano un’incidenza della malattia da 1,5 a 2 volte maggiore negli uomini rispetto alle donne. In totale, in Italia, la malattia colpisce il 2% della popolazione sopra i 65 anni, con oltre 220 mila diagnosi fatte. In Piemonte si calcolano 14 mila malati e nella sola provincia di Torino seimila casi, «ma in realtà non si conosce né un numero né una localizzazione precisa, pur sapendo con certezza che i parkinsoniani tendono ad aumentare con il progressivo invecchiamento della popolazione».
«Al momento - proseguono i ricercatori dell’Università di Torino - la malattia si manifesta in tutta la sua gravità quando la degenerazione neuronale annulla l’efficacia delle terapie che possono rallentare il decorso del morbo». L’unica speranza è quella di contrastare i sintomi». Per questa ragione, potendo arrivare prima alla diagnosi, si potrebbero utilizzare farmaci ritenuti già oggi in grado non solo di proteggere i neuroni, ma anche di modificare il decorso cronico della malattia. Farmaci purtroppo inefficaci se il livello della malattia è troppo avanzato.
La scoperta ha in questo senso un doppio valore, perché permetterà di avviare studi clinici di nuovi farmaci che oggi non possono essere realizzati. Ancora il professor Lopiano: «Per portare i risultati delle nostre ricerche dal laboratorio alla clinica stiamo lavorando alla realizzazione di una rete di centri Parkinson in grado di reclutare un gran numero di soggetti, necessari a verificare che il test sia effettivamente efficace come appare dai nostri studi.
Ma questo ha costi abbastanza alti e ci stiamo dando da fare per trovare adeguati finanziamenti».
«Da qui all’esame del sangue la strada è lunga - precisa il biochimico Mauro Fasano -, ma la scoperta apre una strada completamente nuova alla lotta al Parkinson. Se questi dati verranno confermati in una casistica più ampia, il neurologo disporrà di uno strumento in più per decidere se fare analisi complesse e costose, solitamente riservate a persone che hanno già manifestato i sintomi della malattia».
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