Legge 40: che fare?
18-12-2012 - http://www.lanuovabq.it/
Dopo l'editoriale di Mario Palmaro che definiva ormai inutile la difesa a oltranza della Legge 40 sulla fecondazione artificiale dopo che le sentenze di vari tribunali l'hanno stravolta, pubblichiamo le osservazioni con cui Giacomo Samek Lodovici propone un giudizio più articolato sulla Legge 40.
Quando si parla della legge 40 nel mondo pro life gli animi si surriscaldano. Spero però che mi sia consentito esporre qualche considerazione, senza intenti polemici, bensì perché mi sta a cuore la salvezza di vite umane, cioè per una premura che è condivisa sia dagli estimatori della legge 40, sia da quei suoi detrattori che ci sono tra ipro life.
Ora, sia chiaro: non voglio entrare in questa sede nel merito morale e politico della promulgazione, a suo tempo, della legge (avrei diverse cose da dire, ma non posso qui trattare tale questione, perché richiederebbe molto spazio). Non voglio nemmeno esprimermi sulla sua solidità dal punto di vista tecnico-giuridico: non ne ho la competenza.
Chiedo solo una cosa: la legge 40 c’è, dunque chi si spende per la difesa di vite umane innocenti come deve rapportarsi ad essa? Deve lasciare che venga fatta a pezzi e smantellata?
Ora, se qualcuno vuole migliorare la legge 40 io sono totalmente d’accordo con lui. Temo che sia difficilissimo, soprattutto vista l’impostazione culturale dei parlamentari che siederanno molto probabilmente nel prossimo Parlamento. Ma è giusto mantenere l’obiettivo e cercare di realizzarlo con risolutezza: se uno chiede tenacemente 100 magari riesce ad ottenere almeno 20, come ci ha insegnato la determinazione dei radicali nelle loro battaglie.
Inoltre, io sono decisamente persuaso che ogni forma di fecondazione artificiale (anche quella omologa) sia gravemente immorale: è una cosa che va detta e ripetuta (l’ho argomentato in modo laico varie volte, in diversi scritti, anche su «Avvenire», che viene a torto accusato di non aver mai speso una sola parola di critica della legge 40 e della fecondazione artificiale: è falso).
Ma sono decisamente in disaccordo con quella parte del mondo pro life che vuole semplicemente abrogare la legge 40 o lasciare che venga smantellata.
Infatti, se l’abrogazione della legge 40 portasse ad una legge più restrittiva, anche io mi batterei in questo senso; ma, oggi come oggi, la sua abrogazione non porterebbe ad una legge che vieti ogni fecondazione artificiale. Purtroppo è utopico pensarlo. Porterebbe piuttosto ad una situazione in cui tutto è permesso: fecondazione artificiale omologa, fecondazione artificiale eterologa, produzione di un numero illimitato di embrioni, congelamento degli stessi e sperimentazione uccisiva su di loro, tentativi di clonare l’uomo, tentativi di realizzazione di ibridi uomo-topo, uomo-toro, ecc.
Inoltre, nonostante le sentenze di certi magistrati che hanno progressivamente picconato la legge 40, ci sono alcuni suoi divieti che (se non erro) restano in piedi, almeno per ora, e che è importante difendere: per esempio il divieto di fare sperimentazione sugli embrioni (su cui si pronuncerà la Consulta), il divieto di maternità surrogata (il cosiddetto utero in affitto), il divieto di tentare la clonazione, quello di realizzare ibridi, quello di realizzare la fecondazione eterologa (che oltre ad essere in sé gravemente malvagia, per vari motivi laici che non posso qui esporre, comporta la morte di circa 80-85 embrioni su 100 prodotti, aggiungendo questo pauroso fardello di morti umane a quello che deriva dalla fecondazione omologa).
Domando: è meglio che questi divieti (e non li ho menzionati tutti) ci siano e dunque che la legge 40 resti in vigore, oppure è meglio che non ci siano, cosicché bisogna lasciare la legge 40 al suo destino? Ovviamente è meglio che ci siano.
Si obbietta che il divieto dell’eterologa espresso dalla legge 40 in realtà è formulato male, che è facile aggirarlo, ecc. Non so dirlo. Forse non è proprio un divieto così debole, visto che tanti italiani vanno all’estero per realizzare l’eterologa, forse esso la rende almeno più difficoltosamente realizzabile in Italia.
Qualora sia comunque vero che il divieto dell’eterologa in realtà è facilmente aggirabile, rispondo che è almeno un bene che ci siano i divieti effettivi, formulati dalla legge 40, di sperimentazione sugli embrioni, di maternità surrogata, di clonazione, di realizzazione di ibridi.
E qualora anche questi divieti fossero facilmente aggirabili, rispondo che è almeno un bene che questi divieti siano enunciati, ancorché non siano effettivi, perché la legge umana ha una valenza pedagogica molto importante.
Infatti, per molte persone, se una pratica è illegale allora è immorale. Qui non ci interessa spiegare che l’equivalenza illegale = immorale a volte è errata, ma sottolineare che essa è un dato di fatto importante. Pertanto l’enunciazione di questi divieti contenuti nella legge 40 contribuisce alla percezione del disvalore morale di queste pratiche.
Sul valore pedagogico delle leggi è emblematico il caso Germania Ovest/Est: in Germania Est l’aborto era permesso e finanziato dallo Stato, mentre in Germania Ovest era sì in vigore una legge che lo vietava (salvo alcuni casi), ma l’effetto incriminante della norma era minimo, pertanto non c’era quasi nessun procedimento penale e nessuna condanna. Però l’influenza culturale di questa norma era enorme: infatti, la percentuale del numero degli aborti (rispetto alle gravidanze) in Germania Est era tre volte maggiore rispetto alla percentuale degli aborti in Germania Ovest. Ciò per vari motivi, ma certamente anche perché i cittadini erano generalmente convinti che un’azione sia moralmente negativa se un legislatore l’ha dichiarata punibile (il caso è analizzato in M. Karle, Influsso della legislazione sulla coscienza dei cittadini, in AA. VV., I cattolici e la società pluralista, ESD 1996, pp. 91-92).
In generale, leggi e cultura si influenzano reciprocamente e sono entrambe molto incisive nella determinazione dei comportamenti di massa (l’ho argomentato in www.lanuovabq.it/it/archivioStoricoArticolo-bioetica-legge-e-culturadevono-andare-a-braccetto-1503.htm).
Certo, per ragioni analoghe, la permissione di una certa pratica, per esempio la permissione della fecondazione omologa da parte della legge 40, contribuisce alla credenza che essa sia una pratica moralmente buona. È pertanto necessario, come dicevo sopra, ribadire spesso che anche l’omologa è una pratica in sé malvagia, che comporta un numero elevatissimo di morti umane, ecc.
Da ultimo: mi sembra che i detrattori (di cui ammiro l’abnegazione) pro life della legge 40 tendano, non di rado, a valutare la legge 40 solo in toto, invece che valutarla per i suoi singoli articoli. A me invece pare che sia opportuno valutarla non solo in toto, ma anche articolo per articolo e dire che alcuni suoi articoli sono moralmente inaccettabili, altri invece sono positivi.
E mi pare di essere in buona compagnia quando ragiono in questo modo. È infatti questo il metodo di analisi delle questioni morali di un gigante come Tommaso d’Aquino e mi pare che sia anche il metodo di analisi di Giovanni Paolo II, nel famoso paragrafo 73 della Evangelium vitae, là dove scrive: «quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale e assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui».
Lo ribadisco: non mi interessa qui ragionare sulla promulgazione, a suo tempo, della legge 40. Qui voglio solo dire che mi pare proprio che anche Giovanni Paolo II affermi che è possibile valutare una legge (nel suo esempio una legge abortista) valorizzandone un articolo anche quando la legge nel complesso permetta pratiche gravemente immorali (come fa una legge abortista). Questo a patto di dichiarare fermamente il proprio biasimo verso queste pratiche immorali ed a patto che allo stato attuale non sia possibile ottenere una legge migliore.
Ciò non significa scegliere il male minore: il male non si può mai scegliere, bensì solo tollerare, come conseguenza collaterale di una ‘azione a duplice effetto’, a patto di rispettare una serie di condizioni, che qui non posso esporre (ho esaminato queste tematiche in G. Samek Lodovici, L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero 2004).
Ora, sia chiaro: non voglio entrare in questa sede nel merito morale e politico della promulgazione, a suo tempo, della legge (avrei diverse cose da dire, ma non posso qui trattare tale questione, perché richiederebbe molto spazio). Non voglio nemmeno esprimermi sulla sua solidità dal punto di vista tecnico-giuridico: non ne ho la competenza.
Chiedo solo una cosa: la legge 40 c’è, dunque chi si spende per la difesa di vite umane innocenti come deve rapportarsi ad essa? Deve lasciare che venga fatta a pezzi e smantellata?
Ora, se qualcuno vuole migliorare la legge 40 io sono totalmente d’accordo con lui. Temo che sia difficilissimo, soprattutto vista l’impostazione culturale dei parlamentari che siederanno molto probabilmente nel prossimo Parlamento. Ma è giusto mantenere l’obiettivo e cercare di realizzarlo con risolutezza: se uno chiede tenacemente 100 magari riesce ad ottenere almeno 20, come ci ha insegnato la determinazione dei radicali nelle loro battaglie.
Inoltre, io sono decisamente persuaso che ogni forma di fecondazione artificiale (anche quella omologa) sia gravemente immorale: è una cosa che va detta e ripetuta (l’ho argomentato in modo laico varie volte, in diversi scritti, anche su «Avvenire», che viene a torto accusato di non aver mai speso una sola parola di critica della legge 40 e della fecondazione artificiale: è falso).
Ma sono decisamente in disaccordo con quella parte del mondo pro life che vuole semplicemente abrogare la legge 40 o lasciare che venga smantellata.
Infatti, se l’abrogazione della legge 40 portasse ad una legge più restrittiva, anche io mi batterei in questo senso; ma, oggi come oggi, la sua abrogazione non porterebbe ad una legge che vieti ogni fecondazione artificiale. Purtroppo è utopico pensarlo. Porterebbe piuttosto ad una situazione in cui tutto è permesso: fecondazione artificiale omologa, fecondazione artificiale eterologa, produzione di un numero illimitato di embrioni, congelamento degli stessi e sperimentazione uccisiva su di loro, tentativi di clonare l’uomo, tentativi di realizzazione di ibridi uomo-topo, uomo-toro, ecc.
Inoltre, nonostante le sentenze di certi magistrati che hanno progressivamente picconato la legge 40, ci sono alcuni suoi divieti che (se non erro) restano in piedi, almeno per ora, e che è importante difendere: per esempio il divieto di fare sperimentazione sugli embrioni (su cui si pronuncerà la Consulta), il divieto di maternità surrogata (il cosiddetto utero in affitto), il divieto di tentare la clonazione, quello di realizzare ibridi, quello di realizzare la fecondazione eterologa (che oltre ad essere in sé gravemente malvagia, per vari motivi laici che non posso qui esporre, comporta la morte di circa 80-85 embrioni su 100 prodotti, aggiungendo questo pauroso fardello di morti umane a quello che deriva dalla fecondazione omologa).
Domando: è meglio che questi divieti (e non li ho menzionati tutti) ci siano e dunque che la legge 40 resti in vigore, oppure è meglio che non ci siano, cosicché bisogna lasciare la legge 40 al suo destino? Ovviamente è meglio che ci siano.
Si obbietta che il divieto dell’eterologa espresso dalla legge 40 in realtà è formulato male, che è facile aggirarlo, ecc. Non so dirlo. Forse non è proprio un divieto così debole, visto che tanti italiani vanno all’estero per realizzare l’eterologa, forse esso la rende almeno più difficoltosamente realizzabile in Italia.
Qualora sia comunque vero che il divieto dell’eterologa in realtà è facilmente aggirabile, rispondo che è almeno un bene che ci siano i divieti effettivi, formulati dalla legge 40, di sperimentazione sugli embrioni, di maternità surrogata, di clonazione, di realizzazione di ibridi.
E qualora anche questi divieti fossero facilmente aggirabili, rispondo che è almeno un bene che questi divieti siano enunciati, ancorché non siano effettivi, perché la legge umana ha una valenza pedagogica molto importante.
Infatti, per molte persone, se una pratica è illegale allora è immorale. Qui non ci interessa spiegare che l’equivalenza illegale = immorale a volte è errata, ma sottolineare che essa è un dato di fatto importante. Pertanto l’enunciazione di questi divieti contenuti nella legge 40 contribuisce alla percezione del disvalore morale di queste pratiche.
Sul valore pedagogico delle leggi è emblematico il caso Germania Ovest/Est: in Germania Est l’aborto era permesso e finanziato dallo Stato, mentre in Germania Ovest era sì in vigore una legge che lo vietava (salvo alcuni casi), ma l’effetto incriminante della norma era minimo, pertanto non c’era quasi nessun procedimento penale e nessuna condanna. Però l’influenza culturale di questa norma era enorme: infatti, la percentuale del numero degli aborti (rispetto alle gravidanze) in Germania Est era tre volte maggiore rispetto alla percentuale degli aborti in Germania Ovest. Ciò per vari motivi, ma certamente anche perché i cittadini erano generalmente convinti che un’azione sia moralmente negativa se un legislatore l’ha dichiarata punibile (il caso è analizzato in M. Karle, Influsso della legislazione sulla coscienza dei cittadini, in AA. VV., I cattolici e la società pluralista, ESD 1996, pp. 91-92).
In generale, leggi e cultura si influenzano reciprocamente e sono entrambe molto incisive nella determinazione dei comportamenti di massa (l’ho argomentato in www.lanuovabq.it/it/archivioStoricoArticolo-bioetica-legge-e-culturadevono-andare-a-braccetto-1503.htm).
Certo, per ragioni analoghe, la permissione di una certa pratica, per esempio la permissione della fecondazione omologa da parte della legge 40, contribuisce alla credenza che essa sia una pratica moralmente buona. È pertanto necessario, come dicevo sopra, ribadire spesso che anche l’omologa è una pratica in sé malvagia, che comporta un numero elevatissimo di morti umane, ecc.
Da ultimo: mi sembra che i detrattori (di cui ammiro l’abnegazione) pro life della legge 40 tendano, non di rado, a valutare la legge 40 solo in toto, invece che valutarla per i suoi singoli articoli. A me invece pare che sia opportuno valutarla non solo in toto, ma anche articolo per articolo e dire che alcuni suoi articoli sono moralmente inaccettabili, altri invece sono positivi.
E mi pare di essere in buona compagnia quando ragiono in questo modo. È infatti questo il metodo di analisi delle questioni morali di un gigante come Tommaso d’Aquino e mi pare che sia anche il metodo di analisi di Giovanni Paolo II, nel famoso paragrafo 73 della Evangelium vitae, là dove scrive: «quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale e assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui».
Lo ribadisco: non mi interessa qui ragionare sulla promulgazione, a suo tempo, della legge 40. Qui voglio solo dire che mi pare proprio che anche Giovanni Paolo II affermi che è possibile valutare una legge (nel suo esempio una legge abortista) valorizzandone un articolo anche quando la legge nel complesso permetta pratiche gravemente immorali (come fa una legge abortista). Questo a patto di dichiarare fermamente il proprio biasimo verso queste pratiche immorali ed a patto che allo stato attuale non sia possibile ottenere una legge migliore.
Ciò non significa scegliere il male minore: il male non si può mai scegliere, bensì solo tollerare, come conseguenza collaterale di una ‘azione a duplice effetto’, a patto di rispettare una serie di condizioni, che qui non posso esporre (ho esaminato queste tematiche in G. Samek Lodovici, L’utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero 2004).
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