giovedì 14 luglio 2011

Legge 40, un bollettino di guerra di Tommaso Scandroglio, 14-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Settimana scorsa il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella ha snocciolato i dati sullo stato di attuazione per l’anno 2009 della legge 40, legge che disciplina l’accesso alle pratiche di fecondazione artificiale.

Veniamo ai numeri nudi e crudi. Innanzitutto c’è un incremento di coppie che passano dalla provetta per tentare di avere un bambino: superiamo le 63mila coppie, con un +4,666 rispetto al 2008. Il numero di nati tramite Fivet è 10.819: tale numero, confrontato con quello prima indicato, fa subito comprendere che sono ben poche le coppie che, entrate in clinica, ne escono con il loro tanto desiderato bebè in braccio poiché non tutti i cicli si concludono felicemente.

I figli della provetta sono l’1,9% del totale dei nati nel nostro Paese, nel 2005 erano l’0,9%. Quindi sempre più spesso sono le fredde e trasparenti pareti di vetro di una provetta a fare da prima mamma per i nascituri.

Ma le note dolenti non finiscono qui. Ci  sono "color che stan sospesi" nell’azoto liquido: nel 2009 gli embrioni crioconservati sono stati 7337, nel 2008 il numero era di 763. Decuplicati nel giro di un solo anno. Come mai? La risposta è semplice: questo aumento vertiginoso è da addebitarsi alla sentenza della Corte Costituzionale della primavera 2009 che escluse un limite massimo alla "produzione" di embrioni per ogni ciclo. E dunque se per ipotesi io clinico decido di produrre in un solo ciclo sette embrioni e ne impianto tre, i quattro avanzati – cinicamente definiti "soprannumerari" - vanno nel freezer. E lì attendono. Se l’impianto non avrà avuto successo allora anche loro quattro avranno una chance di sopravvivenza, se invece la madre avrà ottenuto il bambino che voleva, allora i tre embrioni rimarranno nell’azoto liquido sine die. Un fatto impressionante è che tale impennata di "bebè on the rocks" si è avuta nell’arco di pochissimi mesi. La cosa fa assai preoccupare per il futuro e smentisce quanti all’epoca della sentenza della Consulta si agitavano nel sostenere che l’impianto della legge non era stato affatto snaturato dopo questo intervento giurisprudenziale e che andava tutto bene.

Altra nota dolente: l’età media delle donne che ricorrono alla Fivet si sta alzando sempre più. Nel 2009 era di 36 anni, contro la media europea che è invece intorno ai 34 anni. Altro motivo per dire che i viaggi all’estero, intrapresi perché la legge 40 ha troppi paletti, sono immotivati dato che qui in Italia si può accedere alla Fivet anche quasi in età pensionabile. Lo strepitio sulle emigrazioni a sfondo riproduttivo è dunque un fenomeno anabolizzato ad arte. Non solo l’età media cresce ma aumentano anche il numero di over 40 che vogliono un figlio confezionato in laboratorio. Il 28% dei cicli hanno riguradato pazienti con più di 40 anni. E come sono andati questi tentativi? Maluccio: il successo è del 6,9% tra i 40 e i 42 anni e scende al 1,7% oltre i 43 anni. Gli altri nascituri non ce l’hanno fatta tra decessi intrauterini, gravidanze ectopiche, aborti spontanei e volontari. E sì perché, comunque, se il bebè in provetta non è perfetto c’è sempre la legge 194 a risolvere ogni problema, eliminando l’imperfezione insieme all’imperfetto.

Infine mettiamo l’accento sull’aspetto più grave di tutta la questione Fivet che fa sembrare la relazione della Roccella più un bollettino di guerra che un report ministeriale. Sono stati "prodotti" – e il verbo è purtroppo appropriato vista la modalità attraverso cui vengono ad esistenza questi bambini – 99.258 embrioni e di questi sono nati solo poco più di 10.800 bambini. E gli altri che fine hanno fatto? Sono morti. Le tecniche di fecondazione artificiale hanno dunque causato 88.439 decessi. Insomma un successo che si aggira intorno al solo 10%.

Tre considerazioni flash a riguardo. Vi sottoporreste a un intervento che ha il 10% di esito positivo? Eccetto nel caso di pericolo di vita, crediamo di no. Eppure le 63mila coppie hanno deciso di far correre questo rischio ai loro figli e il prezzo per provare la felicità di essere madri e padri sono quasi 90mila vite umane spezzate. Nessun farmaco o tecnica ospedaliera potrebbe trovare applicazione con simili soglie risibili di successo. Ma tanto a pagare il conto sono altri che mai potranno protestare.

Seconda considerazione che nasce da un’obiezione abbastanza frequente la quale più o meno suona così: “Vi sono altissime percentuali anche di aborti spontanei. Pure madre natura falcidia un numero incalcolabile di piccole vite prima che possano vedere la luce. Quindi perché scandalizzarsi tanto?”. Risposta in forma di domanda: allora dato che ci sono i terremoti che fanno crollare le case e uccidono moltissime persone anche noi possiamo far crollare i palazzi provocando centinaia se non migliaia di vittime?

Ultima riflessione. Persino dal punto di vista giuridico tali tecniche sono assai censurabili stante la loro inadeguatezza a raggiungere gli scopi prefissati. La morte degli embrioni cioè non accidentale, come un paziente che muore sotto i ferri chirurgici nonostante la bravura del medico e dell’equipe che hanno fatto di tutto per farlo sopravvivere. La morte di questi piccoli esseri umani è invece connaturata alle tecniche, inevitabile nel 90% dei casi. E’ quello che in diritto si chiama dolo eventuale. Se io in un centro abitato viaggio a 180 km/h e, pur non volendo, ammazzo qualcuno, non finisco dietro le sbarre per omicidio colposo bensì, e le pene saranno assai più pesanti, per dolo eventuale. Tale fattispecie si realizza quando non cerco direttamente l’evento delittuoso (non voglio uccidere nessuno), però l’accetto come conseguenza eventuale della mia condotta (a 180 km/h in centro abitato far del male a qualcuno è cosa certa). In buona sostanza i medici e, se consapevoli di tutto ciò, anche le coppie accettano che le tecniche siano pressoché inefficaci, ma nonostante questo decidono ugualmente di tentare di avere un figlio. La morte degli embrioni non è cercata direttamente come nell’aborto volontario però è messa nel conto, prezzo necessario per arrivare alla meta.

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