Quali valori sono «non negoziabili» - 7 dicembre 2012 - http://www.avvenire.it
La categoria della "non
negoziabilità" è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa
nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il
comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002
dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal
cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di Prefetto della Congregazione e
venne approvata da Papa Giovanni Paolo II. Nel paragrafo 3 della Nota si
ribadisce che «non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno
ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero
e responsabile giudizio di ciascuno». Se però, aggiunge la Nota, il cristiano è
tenuto ad «ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni
temporali», egli è ugualmente chiamato «a dissentire da una concezione del
pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita
democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di
principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della
vita sociale non sono negoziabili». Nel prosieguo della Nota, e in particolare
nel paragrafo 4, si procede a una esemplificazione di questi principi, dopo
aver ribadito che «la partecipazione diretta dei cittadini alle scelte
politiche si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una
retta concezione della persona». Le esigenze etiche fondamentali e
irrinunciabili, nelle quali è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che
riguarda il bene integrale della persona, sono quelle che emergono nelle leggi
civili in materia di aborto e di eutanasia, quelle che concernono la tutela e
la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di
sesso diverso, protetta nella sua unità e stabilità e alla quale non possono
essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza;
quelle che garantiscono la libertà di educazione ai genitori per i propri
figli.
L’esemplificazione ovviamente non
è esaustiva. La Nota infatti continua richiamando la tutela sociale dei minori
e la liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (come la droga
e lo sfruttamento della prostituzione), includendo in questo elenco il diritto
alla libertà religiosa e lo sviluppo per un’economia che sia al servizio della
persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio
di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà. E infine si richiama come
essenziale in questa esemplificazione il grande tema della pace. Non deve
destare meraviglia il fatto che l’espressione principi non negoziabili,
elaborata da Joseph Ratzinger Cardinale, sia stata da allora ripresa molte
volte da Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI e, naturalmente, in altri
documenti del Magistero, fino al punto che tale espressione è ormai divenuta
frequente ogni qual volta si discuta sulle posizioni in merito alle quali la
Chiesa e i cattolici non possono e non devono transigere. È chiaro, in base ai
testi che abbiamo citato, che l’ammonimento del Papa a difendere fino i fondo
questi principi è rivolto in primo luogo ai cattolici che partecipano alla vita
politica. Ma è lecito interrogarsi se i giuristi non debbano sentirsi anche
loro destinatari di un invito così autorevole. La risposta, ovviamente, è
positiva. I giuristi non solo possono, ma devono assumere i principi indicati
da Benedetto XVI (la promozione del bene comune, l’impegno per la pace, la
difesa della vita e della famiglia, il pieno riconoscimento della libertà di
educazione) come giuridicamente non negoziabili e assimilarli a quei principi
che, nel loro lessico tradizionale, costituiscono l’ossatura del diritto
naturale.
Ai giuristi è infatti sufficiente
rilevare che, se non si assumono questi principi come non negoziabili, la costruzione
di un qualsivoglia sistema giuridico diviene impossibile. Facciamo alcuni
esempi. Un potere rescisso dal bene comune può pure imporsi sulla faccia della
terra (e storicamente si è imposto innumerevoli volte), ma non come ordinante e
pacificante (secondo quella che è la vocazione del diritto), bensì nella sua
dimensione di forza bruta e cieca. Se la vita non è tutelata giuridicamente dal
suo inizio fino alla sua fine naturale, l’esistenza dell’individuo cade
inevitabilmente nelle mani di poteri biopolitici, governati dalla logica
glaciale della funzionalità riproduttiva. Se la famiglia non viene riconosciuta
come l’ordine antropologico primario, antecedente a qualsivoglia ordine
politico, perché, a differenza di questo, è dotato di una naturalità non
convenzionale, l’identità personale di ogni essere umano diviene evanescente e
cade nella disponibilità delle forze occasionalmente prevalenti. Se si nega ai
genitori la libertà di educare ai propri valori i figli per affidarla
unicamente allo Stato, la formazione delle nuove generazioni verrà
inevitabilmente modellata sui paradigmi impersonali della politica e non su
quelli personali dell’unico luogo, cioè il contesto familiare, nel quale
l’individuo può farsi riconoscere e riconoscere l’altro in una logica di
comunicazione totale. Negoziare su tali principi implica mettere in discussione
non opzioni individuali per il bene (cosa che è sempre, in linea di principio,
lecita), ma l’esistenza stessa di un bene umano universale, al quale tutte le
persone hanno il diritto di attingere. Se è diverso l’orientamento al bene
umano proprio dei politici, rispetto a quello proprio dei giuristi, non può
essere diverso l’impegno di testimonianza che nei confronti del bene devono
assumere gli uni e gli altri. La coerenza eucaristica, che il Papa cita come
ammonimento ai credenti, va tradotta e professata dai giuristi cattolici come
una vera e propria coerenza antropologica o, se si vuole, di servizio limpido e
infaticabile al bene dell’uomo.
Francesco D'Agostino
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