Avvenire.it, 7 ottobre 2010 - Il parco-giochi negato a un Down - Nessuno spenga le speranze di quei bimbi di Davide Rondoni
In mezzo alla crisi mondiale, ai problemi gravi, agli sconquassi, cosa volete che sia una discesa negata su un marchingegno di un parco-giochi? Quanto pesa nel mondo la delusione di un ragazzino? Eppure nulla è più odioso, sperduto, inaccettabile quanto il sorriso di un ragazzino deluso. Tantopiù se si tratta di un ragazzino già colpito da una forma di difficoltà che chiamano «sindrome di Down». Nulla è abissalmente triste come lo spegnersi della aspettativa di uno di questi ragazzini.
Pare che in un famoso parco-giochi del Nord Italia – e anche altrove – siano oggetto di fatto di una strana discriminazione. Poiché certi giochi sono sconsigliati a chi non raggiunge un certo quoziente intellettuale e poiché la valutazione di tale quoziente avviene per così dire a occhio, ecco che la dolce fisionomia del loro viso pare l’unico indizio di tale presunta insufficienza. E scatta il divieto, odioso.
In queste ore è stata presentata in Parlamento un’importante mozione e, proprio oggi, si tiene nella stessa sede per "trasversale" volere di alcuni onorevoli e associazioni e genitori, una meritoria iniziativa volta a denunciare episodi di esclusione dal parco. Tutto questo può servire per ridare attenzione – in un momento in cui l’Italia sembra distratta da faccende clamorose eppure minori – al cuore di una vicenda di accoglienza che riguarda migliaia di famiglie. Il caso del bel Parco giochi veneto, che speriamo sappia chiarire che si tratta di un equivoco, di un errore, di un eccesso di zelo applicato a giuste preoccupazioni di sicurezza, è il segno di una reale difficoltà che la nostra società vive. Tanto eccitata e per così dire corale nel rivendicare diritti per tutti e per ognuno, condiscendendo a ogni genere di tendenza, di gusto, di desiderio (è diventato un diritto far comunque figli, un diritto esser comunque sano, un diritto far il lavoro che si vuole, chiamare matrimonio quel che si vuole…) incontra difficoltà gravi a garantire invece cose minime, a mostrare attenzioni minime verso chi ha invece reali bisogni.
Una società euforica perché può far nascere figli in provetta e magari selezionare i migliori, dimenticandosi le migliaia di embrioni – di figli, chiamiamoli con lo stesso nome dei sopravissuti, non togliamo loro anche la dignità del nome – che vengono buttati via, ecco, questa società euforica poi continua a fare selezioni odiose anche in contesti semplici, addirittura dove va in scena il gioco. Una società in cui si predica a ogni finestra tv disponibile che è bello e giusto essere sani (se no è meglio farla finita) non riesce a garantire un’ora di divertimento a ragazzi con forme di disabilità o di difficoltà.
Diciamolo: è come se alcuni tra noi fossero diventati un ingombro. Qualcosa che non è previsto. Uomini incidente. Uomini sbaglio. La grande, luminosa, dura accettazione di tanti padri e madri, anzi di più, il loro sperduto, dolcissimo e insurrezionale amore a figli che mai sono sbagli, mai sono ingombro, trova in questa giornata occasione per esprimersi. Per parlare proprio là, nel Parlamento, nel luogo dove si dovrebbe parlare e decidere del bene comune e invece troppo si blatera ormai rapiti in un teatro surreale.
Questo loro amore sfolgora, e trova anche momenti come questo di insofferenza, di rivolta. Perché ogni amore che protegge un bene infinito sa scattare in avanti quando lo sente minacciato. Ogni cura è anche attacco all’indifferenza. Oggi in un Parlamento che abbiamo visto in questi mesi teatro di giochi, per i più incomprensibili, va in scena invece il più comprensibile e perciò stesso insurrezionale gesto umano: l’amore ai propri figli come doni senza fine, da amare e rispettare senza ombre e senza differenze.
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