Avvenire.it, 22 ottobre 2010 - La direttiva sul congedo di paternità - A sorpresa l'Europa scopre mamma e persino papà di Francesco Riccardi
Alla fine non passerà. Non così almeno. Lo pensiamo per realismo, vista l’opposizione di Paesi come la Gran Bretagna, la Francia e perfino la Germania, che lamentano il rischio di caricare di un costo eccessivo il sistema produttivo. O forse lo diciamo solo per un pizzico di scaramanzia. Ma la direttiva europea che prevede l’introduzione di un congedo di paternità obbligatorio anche per i padri di almeno – dicasi almeno – due settimane al cento per cento di stipendio, alla fine probabilmente non passerà.
Il provvedimento, votato mercoledì a maggioranza dal Parlamento di Strasburgo, resterà incagliato al momento dell’esame del Consiglio europeo. I governi alzeranno le barricate e allora occorrerà trovare un nuovo, più modesto, punto di equilibrio tra le esigenze di tutela della maternità/paternità già individuate dalla Commissione, la loro ulteriore esaltazione da parte dell’assemblea parlamentare e le limitazioni imposte dallo stato comatoso dei bilanci pubblici in tutta l’Unione.
Realismo e scaramanzia a parte, però, va colto il segnale culturale che il Parlamento europeo ha lanciato. E che attiene ad almeno tre aspetti. Il primo è quello di un riconoscimento sempre più deciso del valore della maternità, che richiede un tempo dedicato, esclusivo, tutelato in maniera forte e prioritaria rispetto ad altre esigenze, ad altri interessi economici pure legittimi e importanti, tanto da prevedere un impegno gravoso di spesa a carico dell’intera società. In un Continente intirizzito nel peggiore inverno demografico, si tratta di una scelta che scalda come il primo raggio di sole.
Il secondo aspetto, almeno altrettanto importante, riguarda il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo del padre. Senza nulla togliere allo specifico materno, a quello speciale rapporto di carne e di cuore che lega madre e neonato, i bambini – tutti i bambini almeno fino a che la tecnica non prenderà il sopravvento sul dato di natura – sono figli di una donna e di un uomo. Anzi, meglio: sono figli di una coppia, sono l’inimmaginabile realizzarsi di un progetto di vita pensato in due. Ed è fondamentale, perciò, che nei primi giorni di vita il neonato ritrovi la chimica, la cura e l’amore di questa coppia. Non di un solo genitore. La paternità, infatti, si esprime nel corso della vita in modi diversi e specifici rispetto alla maternità, ma non è secondaria. Necessita anch’essa – ecco il segnale di riconoscimento – di un tempo dedicato e protetto da tutte le altre preoccupazioni per esprimersi a pieno fin dal primo momento.
Il terzo aspetto, quello più pratico, attiene invece a un migliore bilanciamento dei compiti di cura tra uomo e donna, assieme al tentativo di rimuovere quelle discriminazioni che ancora colpiscono le lavoratrici, proprio a causa delle possibili assenze per maternità. Prevedere che anche gli uomini siano – almeno potenzialmente – obbligati a periodi di congedo dalla professione può contribuire a ridurre, se non eliminare, le odiose differenze di trattamento tra maschi e femmine.
Non passerà. Non così almeno. Ma per realismo diciamolo: questa bozza di direttiva finalmente testimonia che un figlio che nasce è un bene per tutta la società. Per il quale vale la pena anche impegnare risorse economiche e rivedere organizzazioni produttive complesse. Perché un bambino è un investimento di fiducia nel futuro. E questo non è scaramanzia.
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