Avvenire.it, 3 DICEMBRE 2010 - I «rimedi» farmacologici e la responsabilità dei genitori - L’illusione della chimica per guarire l’anima dei bambini di Luigi Ballerini
Secondo un recente studio condotto dalla National Academy of Sciences, negli Stati Uniti un bambino su cinque soffrirebbe di qualche forma di disturbo emotivo o comportamentale. Fobie, disturbi dell’attenzione e comportamenti oppositivi la farebbero da padrone. Inoltre, tra gli adulti con patologia documentata, il 50% è stato diagnosticato prima dei quattordici anni e il 74% prima dei ventiquattro. Ogni anno negli Usa vengono spesi 250 miliardi di dollari per trattare queste patologie giovanili.
Significa che in una classe elementare di venticinque bambini, almeno cinque sono da considerarsi disturbati. Il dato appare clamoroso, non solo per la componente numerica in sé ma anche per i provvedimenti che è in grado di scatenare da parte di genitori e insegnanti.
Intervenire subito e direttamente sul bambino è infatti una tentazione irresistibile per molti. Sia che si tratti di psico/neuro/logoterapia, sia che entrino in gioco veri e propri psicofarmaci, esiste una sorta di inquietante spregiudicatezza nel trattare i bambini considerati "difficili". L’utilizzo della chimica, in particolare, mira alla pura eliminazione dei sintomi senza la preoccupazione di individuarne e trattare, in primis, le cause.
Esiste anche un ramo dell’antropologia evoluzionista, molto potente e influente oltreoceano, che inneggia alle tecnologie biomolecolari e ai nuovi farmaci che modulano le funzioni nervose come la grande frontiera capace di potenziare le menti dei più piccoli affrancandole dai vincoli genetici e ambientali, verso un inesorabile progresso e benessere.
L’errore di queste teorie consiste nel ridurre il bambino a un nucleo di neurotrasmettitori da rimodulare o di sinapsi da attivare, ma soprattutto nel misconoscere che egli è innanzitutto rapporto, anzi è rapporto con un rapporto, quello dei e fra i genitori. E da questo rapporto è determinato.
Ogni approccio alle difficoltà del bambino non può pertanto prescindere dalla situazione ambientale e familiare in cui si trova e non può non passare dal tentativo di intervenire prima sull’adulto che tratta il minore, perché riesca a creare per lui un clima migliore e più favorevole.
Ciò che a prima vista può sembrare una patologia del bambino, spesso non è altro che il suo modo di reagire a una situazione sconveniente. Certo, una soluzione antieconomica, perché lo fa lavorare in perdita e contro il proprio vantaggio, ma pur sempre una soluzione, pensata ed elaborata con una sua finezza.
Occorre recuperare la certezza che i bambini sono i primi a voler star bene e che se ne viene offerta loro la possibilità vi aderiscono senza troppe riserve, almeno finché non si è fatto troppo tardi. Spesso, se non sempre, un bambino cattivo è stato incattivito e uno capriccioso sta solamente chiedendo male qualcosa di legittimo.
C’è quindi bisogno di genitori disposti a mettersi in discussione e capaci di guardare ai bambini con un credito di stima riguardo al loro pensiero. I piccoli infatti pensano e cercano in ogni istante delle strade percorribili verso una meta il più possibile soddisfacente. Sta a noi rimuovere gli ostacoli che mettiamo sulla loro strada e che li fanno inciampare. Non si sbucciano solo le ginocchia, possono sbucciarsi anche l’anima.
Se come adulti saremo in grado di correggerci, loro non saranno avari con noi: ci daranno volentieri la soddisfazione di rifiorire davanti ai nostri occhi, perché è proprio ciò che desiderano.
Giù le mani dai bambini, quindi. Meglio sarebbe una macina al collo.
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