“Il miglior modo per difendere la vita nascente è raccontarla”- Vita e Famiglia - Mercoledì 01 Dicembre 2010 – Secondo il neonatologo Carlo Bellieni ogni bambino, sano o malato, è una risorsa per l’umanità ed è degno di venire al mondo di Sabrina Pietrangeli Paluzzi dal sito http://www.lottimista.com
C’è chi va a dire in giro che un bambino non ancora nato è solo un grumo di cellule. Ci si può spingere a definirlo feto, ma questo non significa riconoscergli un’identità, una personalità, una dignità. O, al limite, si può chiamarlo essere vivente, alla stregua di una pianta o di un animale.
Ma c’è anche chi, quel feto, lo studia per comprenderlo meglio, e soprattutto per aiutarlo a stare bene nel caldo bozzolo che è il grembo della sua mamma. E a furia di studiare scopre che quell’ammasso di cellule è una persona con un suo carattere, che vive una vita molto intensa, sente rumori, gusta sapori che gli piacciono o meno, vive emozioni, sorride, sbadiglia, si succhia il dito, gioca con il suo cordone ombelicale, si gira, scalcia, reagisce agli stimoli, sente il dolore, avverte la paura.
Lo studioso della sensorialità fetale per eccellenza, in Italia, è Carlo Bellieni, docente presso l’Università di Siena, dirigente in neonatologia nell’annessa struttura universitaria del Policlinico “Le Scotte”.
Al suo attivo, il professor Bellieni ha diverse pubblicazioni, libri, dossier che svelano la vera natura di quel piccolo grande sconosciuto che è il bambino in utero. Un mondo a parte, misterioso, ma non per lui. Si pensi, ad esempio, ai “sogni del feto”: grazie a metodi d’avanguardia si è potuto scoprire che il bambino, durante i nove mesi della gravidanza, ha un’attività onirica molto spiccata, con la quale interagisce mostrandola attraverso segnali precisi.
Abbiamo chiesto a Bellieni da dove nasce questo suo amore per i piccoli uomini. Possibile che fare il neonatologo era il sogno che portava con sé da bambino? “Sinceramente no – risponde – ma aver avuto l’opportunità di curare e vedere quel livello della vita umana che di solito nessuno vede perché sta chiuso e nascosto nel caldo pancione della mamma, è un privilegio e un tipo di scoperta che in qualche modo presentivo negli anni in cui iniziai a occuparmi dei diritti del ‘bambino-non-nato’”.
Professor Bellieni, cosa l’ha spinta e ancora la spinge a non accontentarsi di quanto la medicina ha già scoperto sulla sensorialità fetale, al punto da volerne conoscere di più?
Il fatto che se ne sa davvero poco e che le scoperte lasciano a bocca aperta: non c’è miglior difesa della vita che raccontarla, che farla vedere. La vita prenatale è come il fondo del mare: infinito, bellissimo, ma nascosto. Bisogna aver coraggio e fantasia per avventurarvisi.
Come vive un neonatologo così amante della vita, l’impotenza di veder morire alcuni piccoli che non ce la fanno a sopravvivere a causa dell’eccessiva prematurità o di qualche patologia?
Con tristezza. Ma anche con la certezza che la vita non è una nostra proprietà e che non bisogna illudere le famiglie dando false speranze. Il punto triste è che oggi non si concepisce che la morte bussi alla porta, e si crede che la medicina possa tutto, perché c’è stata nel tempo una vera e propria azione di “rimozione della sofferenza”: per la società post-moderna la sofferenza “non deve esistere” e così, quando arriva, trova spesso le persone non preparate.
Cos’è che manca, e cosa quindi si potrebbe fare di più, per migliorare l’assistenza alle famiglie che hanno bambini prematuri ricoverati nelle terapie intensive?
Manca una prospettiva di accompagnamento, perché le capacità tecniche ci sono. Manca talvolta la possibilità di offrire aiuti economici e sociali adeguati e pronti a tutti coloro che dovranno affrontare la vita con un figlio malato. Ma questo implica un impegno a richiederlo con più forza, non a rimuovere il problema.
Lei ha scritto numerosi libri e pubblicazioni. Alcuni sono davvero nuovi dal punto di vista dei contenuti. È il caso de La risorsa down. In una società come la nostra, dove si tende a buttar via tutto quanto non ritenuto utile e perfetto, compresi i bambini malati, cosa può dirci su quanto rappresenti per la nostra società l’accoglienza di un figlio down?
La società occidentale spende miliardi per la ricerca a tappeto sui malati di sindrome Down prima che nascano; ma non c’è assolutamente altrettanto slancio per cercare una terapia a quella malattia. Non è un paradosso? Eppure il bambino malato è una risorsa per tutti, proprio come il bambino sano, perché o siamo tutti una risorsa o tutti, prima o poi, siamo da buttare! Accogliere un bimbo Down è accettare una sfida, e uno Stato civile deve mettere questa sfida al primo posto nelle sue preoccupazioni e nelle sue politiche.
È rimasto così colpito dalla vita del dr. Gregory House dell’omonimo serial tv, tanto da scriverne un libro. Cosa la affascina di quel personaggio, al di là del suo apparente cinismo?
Il senso religioso. E non è una contraddizione, perché si può essere religiosi e allo stesso tempo dei peccatori. Il senso religioso è cercare la verità, nella certezza o nella speranza che questa esista e la si possa incontrare; e quanto è controcorrente House, in un mondo che invece insegna che la verità non esiste, schiavo della dittatura del relativismo!
Immagini di essere per un giorno il Ministro della Sanità. Qual è la prima cosa che farebbe?
In un solo giorno si può scegliere di fare una sola cosa. Penso che farei affiggere in tutti gli ospedali un grande cartello con su scritto: “La malasanità non è l’errore umano, comunque da evitare; la malasanità è rendere fredda e burocratica la medicina. Svegliamoci!”.
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