giovedì 16 dicembre 2010

Storia della malattia e della cura 4 - L'estrema importanza del corpo nel Cristianesimo - Autore: Riva, Michele; Laguri, Innocenza  Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - mercoledì 15 dicembre 2010

E’ proprio nelle città che rifiorisce lo studio della Medicina, cioè nelle Università. Va detto che non tutti questi medici andavano negli ospedali, alcuni restavano a studiare all’Università o andavano nelle case più abbienti. Un problema che sorge in quest’epoca è la questione della paga al medico; il problema consiste in questo: per un cristiano il soccorrere gli ammalati era carità, dunque questo sembra all’inizio contrastare con la paga ai medici, la paga sembra essere in contrasto con il gesto gratuito, cioè con il gesto della carità (nel suo senso etimologico) si pone il problema del rapporto tra paga e carità. Tanto più che il personale che assisteva e che apparteneva alle Confraternite, svolgeva gratuitamente il compito di assistenza, altri che non appartenevano ad esse e che erano volontari però venivano pagati.
La questione della contrapposizione paga-atto gratuito ci introduce al fatto che il Cristianesimo porta molte importanti novità nel campo della cura, novità che possono sfuggire se si guarda alla situazione di quest’epoca con l’unica preoccupazione, tipicamente attuale, di vedere quanto fosse avanzata o meno la “professionalità medica”. Questa categoria, squisitamente contemporanea, non può essere l’ unica ed esclusiva prospettiva con cui si guarda il passato della medicina. Nel caso in questione, un aspetto nuovo e interessante riguarda la grande speranza con cui si guarda alla morte, dopo la morte c’è infatti un’altra vita, ma non senza il corpo, bensì con lo stesso corpo. Esso si ammala e muore, ma è destinato a risorgere. Contrariamente a tante gravi imprecisioni molto diffuse, il Cristianesimo è fondato su un Dio che si incarna in un corpo umano, dunque su un Dio che dà un’estrema importanza ad esso, tanto che risorge col corpo e promette la resurrezione di tutti i corpi umani. La medicina di allora, che pure sa di essere assai impotente nei confronti della morte, non la sente però nemica, ecco allora che chi assiste i malati non fugge davanti all’epidemia, cura ed accetta il rischio di ammalarsi. Ma c’è di più: proprio soccorrendo il malato si segue Cristo, cioè la via verso l’altra vita. Infatti nel Vangelo il povero e il malato sono presentati da Cristo come sua immagine (si pensi alla parabola del Buon Samaritano). Soccorrere il malato vuol dunque dire soccorrere Cristo. Ecco una motivazione che costituisce una svolta importante circa lo scopo per cui ci si può prendere cura del malato. Un altro punto importante di svolta, un terzo punto, è legato al fatto che nel vangelo Cristo guarisce il corpo degli ammalati per guarire anche la loro anima, cioè Cristo ha un concetto più profondo di salute, non limitata alla salute corporea. Il termine “salus”, nel latino medioevale, assume quindi in sè il duplice significato di salute fisica e di guarigione spirituale/morale/psicologica. Alla “valetudo” di epoca classica, riferita alla sola salute fisica, si sostituisce il concetto di salus, cioè salvezza. Sul fronte del malato il concetto di salus significa la possibilità di vivere la sofferenza della malattia come occasione di maturazione umana, di rinforzamento della propria fede. Sul fronte di chi cura il malato il concetto di salus comporta l’idea per la quale gli uomini che prestano soccorso, sani, imparano molto dai malati: sono chiamati ad aiutarli e sono coinvolti nella supplica a Dio per la loro guarigione
Il concetto di salus è strettamente connesso anche alla questione della causa della malattia: nella concezione dell’Alto Medioevo e, in generale di tutto il Medioevo, si può dire che da un lato si riconoscono le origini naturali delle malattie, per un altro si collega l’entità malattia alla grande questione del limite umano, della sofferenza, del peccato originale; infine, come detto sopra, si vede la malattia come segno della correzione di Dio, strumento della sua misericordia. La malattia cioè appare come una terapia spirituale, in quanto evento che rende migliori e più vicini a Dio (si pensi all’episodio biblico di Giobbe). Questo spiega anche perché il povero, pauper, e il malato, infirmus nell’Alto Medioevo vengono collocati nella stessa categoria, cioè quella dell’umanità debole che ha bisogno del soccorso di Dio e degli uomini.
Per noi uomini di oggi, appartenenti ad una mentalità che, come ha detto Botturi nella intervista sulla sofferenza, riduce la portata della malattia e della sofferenza a problema tecnico da risolvere, questo approccio globale alla grande questione della salute risulta difficile da capire, ma è estremamente significativo. (4)

NOTE
4. Citiamo ancora le parole di F. Botturi per inquadrare la concezione che, lentamente, il Medioevo elabora in merito alla sofferenza, di cui la malattia è segno: ”La visione ebraico-cristiana, diversamente da quella greca, conosce eventualmente l'angoscia e la ribellione, ma non la tragedia, perchè in ogni caso l'uomo è posto nella speranza di Dio che è più forte della necessità, del caso e della morte. Come dice il libro dell'Esodo, il nome di Dio è :'Io sono colui che è presente e che sarà con te.' L'uomo dunque e comunque è in rapporto di fiducia (posto da Dio stesso, a cui egli si può appoggiare).
La sofferenza non ha tanto una spiegazione dottrinale, quanto un 'Tu', una relazione significativa più grande che la rende vivibile. Per questo, dal punto di vista biblico, nella sofferenza si dà insieme abbattimento e confidenza, derelizione e accoglienza. D'altra parte la sofferenza ha la sua radice nella lontananza colpevole dell'uomo da Dio, nel peccato, e perciò ha solo nel rapporto fiduciale in Dio il suo senso e il suo riscatto. A tal punto che con il cristianesimo Dio si fa presente non più solo accanto al dolore umano, ma al suo interno,assumendoselo e togliendogli così ogni residuo di maledizione in vista del suo radicale toglimento.
A questo punto la sofferenza è essa stessa via di riconciliazione, più precisamente occasione di fiducia radicale in Dio e di condivisione illimitata della condizione del prossimo. Per questo il cristianesimo inaugura nella Storia un atteggiamento assolutamente inedito nei confronti della sofferenza, come accettazione del dolore inevitabile e come operosa iniziativa per togliere quello evitabile, in ogni caso come sua consolazione.”

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