sabato 18 dicembre 2010

Avvenire.it, 18 dicembre 2010 - MORALITA', NON MORALISMO - La riscoperta dell'etica di Francesco D'Agostino

Ora che finalmente ci si sente meno condi­zionati dall’attualità, dato che si è (almeno parzialmente) conclusa la vicenda del voto di fiducia al governo Berlusconi, è possibile tornare ad aprire una seria riflessione sull’' etica pubblica' e sulla sua attuale, profonda crisi. Colpisce quali e quante riflessioni siano state dedicate a questo tema nelle ultime settimane e a tanti diversi livelli (dagli editoriali alle interviste sui giornali, da opere saggistiche a conferenze nelle scuole, dalle omelie a lezioni e seminari universitari). Colpisce indubbiamente il tono nostalgico con cui alcuni parte­cipanti ad appassionati dibattiti hanno ricordato epoche della vita politica italiana, gene­ralmente etichettate come quelle della Prima Repubblica, ritenendole politicamente ben più nobili dell’attuale (epoche che, a chi le ha dav­vero vissute, appaiono invece molto meno lim­pide di quanto non si voglia far credere). E colpisce soprattutto il moltiplicarsi delle 'invet­tive': e, si sa, l’invettiva è l’anticamera del moralismo, cioè della peggior deformazione che si possa immaginare dell’autentica moralità. È per questo che chi, come noi, crede profondamente nell’esistenza e soprattutto nella ne­cessità dell’etica pubblica ha il dovere di dissociarsi da tutti coloro che parlano di questa dimensione dell’etica, senza averne però un’a­deguata consapevolezza teoretica.

L’etica pubblica, infatti, è esigente. È esigen­te almeno sotto tre profili. In primo luogo, chi crede nell’etica pubblica non può non crede­re alla sua assolutezza: non è possibile, infat­ti, elogiare l’etica pubblica e nello stesso tem­po cedere a tentazioni relativistiche. Se l’eti­ca è relativa non può non esserlo in tutte le sue dimensioni e quindi anche a livello pubblico. Se nella vita privata si pensa che le scelte eti­che siano plurime e insindacabili, non si ve­de perché non debbano essere parimenti plurime e insindacabili le scelte etiche pubbli­che. Per criticare come immorali le scelte pubbliche dei politici, dobbiamo avere la serena coscienza che è legittimo criticare anche le scelte immorali dei privati. Il relativismo eti­co corrode la vita sociale, esattamente come corrode (anche se molti non vogliono ammetterlo) la vita individuale. Secondo profilo, peraltro strettamente con­nesso al precedente.

Non è possibile tematizzare l’etica pubblica se si separa radicalmente, come oggi va di moda fare, il diritto dalla morale o se si riduce il diritto a mera procedura formale, moralmente neutrale. Con questo non s’intende dire che ci sia sempre un’assoluta coincidenza tra diritto e morale, dato che è evidente che molti comportamenti privati, pur moralmente condannabili (ricordiamo l’esempio classico della golosità) non avendo rilevanza sociale sono da ritenere giuridicamente irrilevanti. Se però tra diritto e morale si pone un rigido steccato, secondo gli insegnamenti delle principali correnti del positivismo giuridico, arriviamo rapidamente all’atrofizzazione etica della vita sociale, in tut­te le sue dimensioni. Esempio eclatante è quello del deficit di etica che sta contrassegnando l’economia in questi ultimi anni in contesti giuridico-formali pensati come puramente funzionali; un deficit che ha prodot­to non solo la crisi finanziaria che tutti cono­sciamo, ma una vera e propria crisi morale del capitalismo, da cui non si sa esattamente co­me si potrà venir fuori. Il terzo profilo è probabilmente quello decisi­vo, per chi abbia davvero a cuore l’etica pub­blica. Si tratta di riconfigurare la stessa perce­zione di ciò che chiamiamo 'pubblico'.

La modernità ha appreso da Machiavelli che la scien­za politica non ha per suo oggetto il bene co­mune, ma 'il potere', per come lo si può con­quistare, per come lo si deve gestire, per come si può evitare di perderlo. Fino a quando que­sto paradigma, in tutte le sue innumerevoli va­rianti, resterà quello dominante, ogni perora­zione per l’etica pubblica suonerà inevitabil­mente come falsa e ipocrita. Fino a quando non si cesserà di pensare al potere come auto­referenziale e non si ricondurrà la dimensione di ciò che è 'pubblico' a incentrarsi sul bene umano oggettivo, sul bene di tutti e non sem­plicemente di una classe politica, di un’etnia o di una confessione religiosa, la stessa espres­sione 'etica pubblica' resterà vuota di senso, per quanto possa apparire a molti irrinuncia­bile e affascinante. Non è l’etica pubblica ad avere un valore in sé, bensì gli esseri umani: e questo loro 'valore' è davvero un assoluto non negoziabile.

Nessun commento:

Posta un commento