FIGLI CONTESI - Quando giudici e tribunali si sostituiscono ai genitori -
Fonte: MASSIMO RECALCATI, la Repubblica | 18 Ottobre 2012 - http://www.dirittiglobali.it
Il compito dei genitori, dichiarava Freud, è un compito impossibile. Come governare (e psicoanalizzare), aggiungeva. Cosa significa? Significa che il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Significa che ciascun genitore è chiamato ad educare i suoi figli a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. Per questa ragione i genitori migliori non sono quelli che si offrono ai loro figli come esemplari, ma quelli consapevoli del carattere impossibile del loro mestiere. Ecco una buona notizia che dovrebbe alleggerire l’angoscia di chi si trova ad occupare questa posizione.
Il compito impossibile dei genitori si carica oggi di nuove angosce, come dimostra il caso di Cittadella. Scopriamo l’acqua calda se diciamo che il nostro tempo è il tempo della crisi simbolica della funzione dell’autorità. Questo vuol dire che la Legge ha smarrito il suo fondamento simbolico. Se il nostro è il tempo dell’evaporazione del padre è anche il tempo dell’evaporazione della Legge come ciò che custodisce la possibilità degli umani di vivere insieme. I sintomi di questa crisi sono sotto gli occhi di tutti e non investono solo lo studio dello psicoanalista (genitori angosciati, figli smarriti) ma attraversano l’intero corpo sociale: difficoltà a garantire il rispetto delle istituzioni, frana della moralità pubblica, eclissi del discorso educativo, caduta di un senso condiviso, incapacità di costruire legami sociali creativi... In primo piano è un indebolimento culturale non tanto delle leggi scritte sul codice e sui libri di Diritto ma del senso stesso della Legge che, come la psicoanalisi insegna, ha come suo tratto fondamentale quello di sostenere la vita umana come marcata da una mancanza, da un senso del limite, da una impossibilità di autosufficienza.
Questo indebolimento culturale non genera solo smarrimento, ma anche l’invocazione compulsiva della Legge nella forma dell’appello ai giudici, ai tribunali, alle norme stabilite dal Codice. È un tratto del nostro tempo: la Legge viene continuamente invocata a partire da un difetto di trasmissione del senso simbolico della Legge. È quello che accade anche nelle famiglie. Ci sono i tribunali che accolgono le istanze dei bambini malmente trattati dagli adulti e quelli che soccorrono gli adulti nelle loro diatribe coniugali. L’istituto della mediazione familiare sembra essere divenuto indispensabile per temperare conflitti a rischio di degenerazione. Situazione tanto più paradossale se si considera che sono spesso i figli che impongono la legge in famiglia. Sono loro che dettano le regole. È una grande mutazione antropologica messa in rilevo da diversi studiosi: non è più il figlio che deve adattarsi alle norme simboliche che regolano la vita di una famiglia, ma sono le famiglie che si adattano alla legge stabilita dai loro figli. L’invocazione dell’intervento del giudice segnala questa alterazione profonda dei ruoli simbolici. I genitori, che sono sempre più in difficoltà nel trasmettere ai loro figli il senso sella Legge, si appellano alla Legge del giudice affinché gli restituisca la proprietà dei figli!
La violenza, il sopruso, il disordine caratterizzano da sempre le relazioni umane, comprese quelle familiari. I conflitti fanno parte della vita. Perché allora si è reso sempre più necessario l’intervento di una istanza Terza capace di regolare il disordine delle relazioni affettive più intime? Sempre più frequentemente i problemi della famiglia finiscono di fronte a un giudice o esigono una mediazione compiuta da un Terzo. Nell’epoca in cui il Terzo sembra non esistere più, nell’epoca dove tutto è uguale a tutto, si chiama in causa il Terzo ogni qualvolta si incontra un ostacolo al perseguimento dei proprio interessi o di quello dei propri figli. I genitori rompono senza problemi il patto generazionale con gli insegnanti se si tratta di non far perdere un anno al proprio figlio ingiustamente giudicato. La Legge agisce orizzontalmente permeando la nostra vita ordinaria.
Perché non si separano se non fanno altro che litigare? Si chiedeva un mio giovanissimo paziente. Quando osò porre questa domanda ai suoi genitori questi risposero all’unisono: «E tu cosa faresti?». Risposta. «Dunque se io morissi vi lascereste, finalmente?». La logica ferrea di questo piccolo non lascia scampo ai suoi genitori sull’assunzione delle loro responsabilità. La genitorialità non può mai essere confusa con il destino, talvolta burrascoso, della coppia. Sappiamo come i figli possano venire trascinati nel gorgo tremendo delle reciproche rivendicazioni dei coniugi. È allora che si esige l’intervento di un Terzo. Ma il giudice interviene sui figli o sugli adulti? La sua chiamata in causa sempre più inflazionata non testimonia forse una minorizzazione generalizzata degli adulti, nel senso che è venuta loro meno la forza di assumersi la responsabilità della decisione. In gioco è piuttosto una delega della responsabilità. Perché il Terzo deve essere necessariamente un giudice? Non dovrebbe apparire nella forma del riconoscimento del senso simbolico della Legge, quello che, per esempio, impone ai genitori la cura dei propri figli al di là dei loro interessi personali? Il senso simbolico della Legge oggi è screditato o del tutto confuso (querulomaniacalmente) con l’esistenza dei Codici. Restituire valore al carattere simbolico della Legge implicherebbe per i genitori saper rinunciare alle aspettative personali sui loro figli. Essere padri, come ci ricorda lo scandaloso racconto biblico del sacrificio di Isacco, implica la dimensione della rinuncia radicale al possesso dei propri figli, implica saperli affidare al deserto.
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