martedì 30 ottobre 2012


29 ottobre, 2012
Il governo federale canadese si è recentemente pronunciato sul suicidio assistito affermando che la sua legalizzazione sminuisce il valore della vita e potrebbe portare le persone più vulnerabili a prendere provvedimenti drastici nei “momenti di debolezza”. Nel giugno 2012, invece, il Canadian Medical Association Journal ha pubblicato un editoriale chiedendo un ampio dialogo nazionale per discutere di ciò che ha descritto come “omicidio terapeutico” (interessante l’inquientate richiamo alla morte come terapia), sostenendo che il destino della legge sul suicidio assistito dovrebbe essere decisa attraverso il processo democratico, e non attraverso i giudici.
Quella del governo canadese è una presa di posizione che condividiamo, non soltanto per le motivazioni espresse ma anche per le conseguenze negative sui familiari e amici del suicida. Un’esperienza traumatica che può lasciare profondi segni nella psiche, come ha affermato uno studio dell’Università di Zurigo pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica European Psychiatry.
Stando alla ricerca un familiare su quattro dopo una simile esperienza è caduto in depressione o ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress, per cui si è resa necessaria una terapia medica. Questi disturbi, ha spiegato la psicologa Birgit Wagner responsabile dello studio, appaiono con maggior frequenza in relazione ai suicidi assistiti rispetto ai casi di morte naturale, nei quali soltanto il 5% dei familiari sviluppano un disturbo posttraumatico e soltanto lo 0,7% una depressione.
Secondo un altro studio, pubblicato qualche anno fa sul Journal of the Royal Society of Medicine, la depressione gioca un ampio ruolo anche nella decisione ad intraprendere la strada del suicidio assistito, confermando così le preoccupazioni del governo canadese. Il desiderio di morte precoce, è stato attestato, si correla infatti con disturbi depressivi. Riconoscere e trattare la depressione, si conclude nello studio, potrebbe migliorare la vita delle persone affette dalla malattia terminale e così ridurre il desiderio di morte precoce, per via naturale o per suicidio.
Infine, una serie di filosofi si sono espressi su “Avvenire” nel settembre scorso sul suicido assistito. Particolare l’intervento di Silvano Petrosino, docente di semiotica all’Università Cattolica, il quale ha ricordato il pensiero dell’agnostico sociologo e antropologo Emile Durkheim, per il quale la società è lesa dall’atto del suicidio, e poiché «la persona umana è e deve essere considerata come cosa sacra, qualsiasi attentato contro di essa deve essere proscritto».

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