PROCESSO ALLA PREVISIONE – di Stefano Rodotà, LA REPUBBLICA - 23
OTTOBRE 2012 - http://www.dirittiglobali.it
È BUONA norma, di fronte a
sentenze di particolare rilevanza, ricordare che un giudizio adeguato esige la
lettura delle motivazioni. Tacere, quindi, fino a quando queste saranno
conosciute? Ma la pesante condanna dei componenti della Commissione Grandi
Rischi solleva troppi interrogativi.
Diventa quindi legittimo cercare
di individuare almeno i punti critici intorno ai quali già si è avviata una
discussione che richiama i dubbi e le emozioni che accompagnarono subito il
terribile terremoto che colpì quella città.
La condanna è stata pronunciata
per omicidio colposo, disastro colposo e lesioni personali, con riferimento al
fatto che la Commissione avrebbe dato informazioni inesatte, incomplete e
contraddittorie sulla pericolosità della situazione dopo le scosse che si erano
registrate nei mesi precedenti al terremoto del 6 aprile 2009. Il punto chiave,
allora, diventa quello delle modalità delle informazioni fornite e del modo in
cui queste erano state elaborate. Un processo alla scienza, la porta aperta a
qualsiasi ciarlatano che lancia allarmi senza un adeguato fondamento? La
risposta è affidata alle motivazioni della sentenza, anche se gli elementi
disponibi-li, messi in evidenza dalla requisitoria del pubblico ministero,
orienterebbero le valutazioni piuttosto verso la frettolosità del lavoro della
Commissione, le modalità del comunicato diramato alla fine della veloce
riunione, la dichiarata volontà dell’allora responsabile della Protezione
civile di utilizzare la Commissione per rassicurare la popolazione di fronte a
un allarme ritenuto ingiustificato. Così delimitata la materia del giudizio,
non sarebbe la scienza ad essere sotto accusa, ma i comportamenti specifici
delle persone riunite d’urgenza in quella mattinata, di chi ha scritto il
comunicato, di chi guidava la Protezione civile. Questa precisazione, tuttavia,
non sarebbe sufficiente se si concludesse in modo sbrigativo che il rischio
terremoto sfugge alla possibilità scientifica della previsione, sì che
ricercare responsabilità individuali sarebbe una forzatura. Allo stesso tempo,
però, il riferimento all’uragano Katrina, fatto dal pubblico ministero, appare
improprio, perché in quel caso la negligenza era evidentissima di fronte ad un
rischio ormai evidente.
Allontanandoci da posizioni tanto
divaricate, è possibile provare a fare qualche riflessione intorno agli effetti
che la sentenza è destinata comunque a produrre. È indubbio, infatti, che diverrà
particolarmente difficile acquisire le competenze necessarie per svolgere
funzioni così delicate. Quali studiosi accetteranno domani di far parte della
Commissione Grandi Rischi? E, comunque, non si manifesterà una attitudine
simile a quella che ha dato origine alla cosiddetta “medicina difensiva”?
Proprio di fronte al rischio di dover risarcire possibili danni, si sono
radicati comportamenti volti non a garantire la salute del paziente, ma a
mettere il medico al riparo da quella eventualità. Ecco, allora, la
prescrizione infinita di accertamenti preventivi, di analisi forse inutili,
fino alla rinuncia ad effettuare interventi ritenuti troppo rischiosi non per
il malato, ma per il chirurgo.
Forse, di questa attitudine
difensiva abbiamo già avuto una prova in occasione dell’allarme recente su un
nubifragio a Roma, rivelatosi in buona parte infondato, ma che evidentemente
rifletteva la volontà di non trovarsi di nuovo di fronte ad una emergenza
incontrollabile, com’era avvenuto in occasione della memorabile nevicata
dell’inverno scorso. Meglio questo, si dirà, che far correre rischi alle
persone. Ma un regime di allarme permanente e generalizzato, non filtrato da
alcuna valutazione scientifica, può alterare le dinamiche sociali, produrre
costi ingiustificati.
Nella sentenza di ieri si
riflette un bisogno diffuso di individuare comunque responsabilità singole
anche in situazioni complesse. Questo non vuol dire che, per evitare simili
distorsioni, debbano svanire le responsabilità individuali. Dobbiamo piuttosto
interrogarci su quali siano i modi più corretti per affrontare questioni
difficili in una società sempre più spesso definita appunto come quella del
rischio e dell’incertezza. Ma questa definizione non assolve dall’obbligo di
apprestare strumenti, anche giuridici, adeguati al modo in cui si manifestano e
si sommano problemi vecchi e nuovi. Basta ricordare il rilievo assunto da
principi come quelli di prevenzione e di precauzione, che hanno determinato
anche un modo diverso di costruire i criteri della valutazione scientifica. La
scienza non è mai stata un mezzo per sottrarsi alle responsabilità.
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