Il premio
all'esploratore dei misteri dell'adrenalina di Marco Magrini, 11 ottobre 2012, http://www.ilsole24ore.com
È notte, state camminando per strada. Da un vicolo buio
spunta un energumeno con un coltello in mano. In una frazione di secondo, i
livelli di adrenalina nel vostro sangue aumentano, per far sì che il cuore
batta più velocemente, la respirazione acceleri, i muscoli si contraggano, le
pupille si dilatino e il fegato aggiunga zuccheri alla circolazione sanguigna.
Ovvero, tutto quello di cui c'è bisogno per combattere o – all'opposto – per
scappare.
L'adrenalina è al tempo stesso un ormone e un neurotrasmettitore,
con una chiara ragione evolutiva: tanto la capacità di combattere che quella di
scappare, hanno avuto un ruolo cruciale nella storia di tutti gli animali
vissuti su questo pianeta. Ma come funziona l'adrenalina? E soprattutto: come
fanno quei miliardi di cellule che compongono il nostro corpo a reagire agli
stimoli ambientali?
Alla risposta, hanno contribuito in maniera decisiva i due
scienziati americani baciati ieri dal Premio Nobel per la Chimica: Robert
Lefkowitz (Duke University) e Brian Kobilka (Stanford). La motivazione
ufficiale: «Le loro scoperte hanno rivelato gli intimi meccanismi dei recettori
accoppiati alla proteina G», meglio noti come Gprc.
Ovviamente, non c'è solo l'adrenalina: i Gprc sono una
famiglia di recettori decisamente vasta. Alcuni di questi si trovano sulla
superficie delle cellule del naso, della lingua e degli occhi, e servono
giustappunto a percepire odori, sapori e perfino la luce. Ma all'interno del
corpo, sono gli stessi Gprc a registrare i segnali chimici che arrivano
dall'adrenalina, ma anche dalla dopamina o dalla serotonina, due
neurotrasmettitori che hanno molto a che fare con il benessere mentale.
In compenso, è proprio dall'adrenalina che Robert Lefkowitz
ha cominciato le sue indagini, a partire dal 1968. Dopo lunghi insuccessi,
usando dello iodio radioattivo, lo scienziato riesce a seguire i movimenti
dell'ormone e a esplorare così l'esistenza e il funzionamento di quei recettori
che, fino ad allora, restavano un mistero.
Il contributo di Brian Kobilka arriva più tardi. Negli anni
80, il biochimico si mette a lavorare sui geni che codificano quegli stessi
recettori, inizialmente sotto la direzione dello stesso Lefkowitz. Peccato che
a quei tempi il genoma umano non fosse stato ancora "letto". Con una
soluzione ingegnosa, Kobilka riesce a isolarlo e scopre forti analogie con il
recettore della luce nella retina. È così che viene fuori che i Gprc sono una
vera e propria famiglia di recettori. Fra l'altro, rimarca l'Accademia Svedese
delle Scienze, «nel 2011 Kobilka ha ottenuto un grande risultato: un'immagine
del recettore nell'esatto momento in cui viene attivato dall'ormone e invia un
segnale all'interno della cella. Un'immagine che è un capolavoro molecolare».
Il Nobel per la Chimica assegnato ieri, poteva essere
tranquillamente un Nobel per la Medicina. Visto il ruolo determinante che hanno
in molte funzioni biologiche, i recettori accoppiati alla proteina G hanno
inevitabilmente a che fare con molte patologie.
«Questo lavoro a cavallo fra genetica e biochimica – ha
detto ieri Mark Downs, direttore della Society of Biology britannica – oltre a
spiegare come facciano diverse cellule di un organismo a reagire agli stimoli
esterni, ha gettato le basi per la nostra comprensione della farmacologia
moderna». Tanto per essere chiari, circa due terzi delle medicine già sul
mercato sono basate sull'interazione con i recettori Gprc.
Robert Lefkowitz, oggi 69enne, è considerato il padre
indiscusso di questo campo di studi. Eppure, giura che non si sarebbe mai
aspettato di ricevere il Nobel. «Quando dormo – ha raccontato ieri, in mezzo
all'euforia – sono solito mettermi i tappi nelle orecchie. C'è voluta una
gomitata di mia moglie, per svegliarmi mentre il telefono squillava. La notizia
dalla Svezia è stata uno shock e una sorpresa». In quel momento, i suoi
recettori Gprc devono aver registrato una scarica di dopamina. Non certo
adrenalina.
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