21/11/2012-ANTROPOLOGIA - http://www.lastampa.it/
“È con l’immaginazione che siamo diventati invincibili”
Da Lascaux ad Altamira le pitture parietali segnano l’ingresso dei Sapiens nel mondo dell’arte
La storia non scritta dei Sapiens, quando
il mondo era popolato
da molti “parenti”
da molti “parenti”
GABRIELE BECCARIA
Siamo
tipi chiacchieroni. Parliamo di tutto e le banalità non ci fanno paura. Se
fosse questo il motivo del successo della nostra specie?
Ian
Tattersall è uno dei maggiori antropologi e il suo ultimo libro - «Masters of
the Planet» - prova a spiegare il nostro trionfo di Homo Sapiens che equivale
anche alla nostra solitudine. Abbiamo convissuto con altre quattro specie di
ominidi, ma un po’ alla volta sono sparite. Gli ultimi sono stati i
Neanderthal, spazzati via all’incirca 25 mila anni fa. Da allora la Terra è
soltanto per noi e ne abbiamo approfittato anche troppo.
Chiacchieroni
e soprattutto fantasiosi, dotati di un’immaginazione contagiosa, nel bene e nel
male. Alla chiusura del Festival della Scienza di Genova, lo scorso 4 novembre,
Tattersall ha raccontato le luci e le ombre di un patchwork di attitudini che
hanno permesso la vittoria totale.
Professore,
siamo stati più intelligenti o anche più cattivi? La violenza della nostra
specie, in fondo, ci caratterizza almeno quanto le nostre capacità
intellettuali.
«E’
una domanda che sorge naturale. Sappiamo che agli albori della nostra storia di
Sapiens c’erano ominidi diversi da noi in giro per il mondo. Poi, d’improvviso,
quando acquisiamo le capacità simboliche moderne, le altre specie scompaiono.
Credo che sia dovuto al fatto che possedere la capacità di costruire nella
propria testa nozioni alternative del mondo, invece di limitarsi alla reazione
alle situazioni, e immaginando così realtà differenti, permetta di pianificare
molti tipi di comportamenti. Nessun altro ominide era stato capace di fare una
cosa simile prima di noi. E’ questa abilità - tanto che si sia espressa con conflitti
aperti quanto con forme di competizione economica - che ci ha permesso di
conquistare rapidamente il mondo. Se poi si osserva il modo in cui ci
comportiamo oggi, è molto improbabile che la conquista non abbia richiesto
anche una certa dose di violenza, ma prove evidenti non ne abbiamo».
La
nostra specie è vecchia di «sappena» 200 mila anni e tuttavia questa
metamorfosi intellettuale si è verificata molto più tardi: perché?
«E’
successo in un periodo tra 100 e 60 mila anni fa. E’ significativo che la
struttura fisica e la capacità della mente di manipolare l’informazione così
come la conosciamo oggi sono apparse in coincidenza con la riorganizzazione
dell’intero organismo che si verificò all’origine della nostra specie di
Sapiens. Ma questo vasto potenziale era tutto da scoprire prima della sua
effettiva utilizzazione. È un processo per alcuni aspetti analogo a quello
degli antenati degli uccelli, che svilupparono le piume milioni di anni prima
che si manifestasse l’attitudine al volo».
Che
rapporto c’è tra questo impressionante salto evolutivo e le migrazioni dei
Sapiens fuori dall’Africa verso il Medio Oriente e l’Europa?
«Devono
aver lasciato l’Africa piuttosto presto, intorno a 100 mila anni fa. E le
testimonianze archeologiche nel Levante dimostrano che erano ancora
“pre-cognitivi”, vale a dire simili ai Neanderthal che vivevano in quell’area.
L’esodo vero e proprio, invece, avvenne intorno a 60 mila anni fa, quando ormai
erano diventati esseri “cognitivamente simbolici”. E fu allora che iniziarono a
conquistare il mondo».
Eravamo
pronti al viaggio da un continente all’altro perché il cervello era
profondamente cambiato?
«E’
così. Certo, non fu un viaggio intenzionale, semmai un’avventura
opportunistica, probabilmente dettata da motivi demografici. Nel corso di
questo processo - come dicevo - il pianeta era già popolato da altri tipi
umani, altri “parenti”, ed è probabile che siano stati soppiantati in seguito
al modo in cui i Sapiens avevano imparato a pensare e immaginare».
Ci
si è molto interrogati sulle cause della nostra «rivoluzione neuronale»: lei è
tra chi pensa che sia stato il linguaggio. Può spiegare?
«Penso
che sia stato questo lo stimolo più probabile. Ce ne voleva uno di tipo
culturale, capace di far capire ai Sapiens le proprie potenzialità ancora
inespresse».
Il
linguaggio, anche tra i cosiddetti «primitivi», è sofisticato. Come esplose
questo «stimolo»? Si manifestò un pacchetto pronto o fu un’evoluzione sofferta?
«E’
una bella domanda e non ho una risposta certa! Ma sappiamo che il linguaggio
può essere spontaneamente inventato: si è visto negli Anni 70 e 80, quando
molti bambini sordi nicaraguensi furono riuniti per la prima volta in alcune
scuole. Qui svilupparono una lingua dei segni, strutturata in modo simile a
quella parlata. Credo, perciò, che il linguaggio sia un prodotto di una
proprietà emergente del cervello, disegnato per generarlo: dev’essere
rapidamente diventato un oggetto sofisticato e altrettanto velocemente si
diversificò».
Ci
fu un’unica lingua, frammentata poi in una confusione babelica?
«E’
difficile spingersi oltre la barriera di 5 mila anni fa. Ma, studiando i fonemi
anziché le parole, si è scoperto che più ci si allontana dall’Africa e minore è
il loro numero. È proprio ciò che ci si aspetta, se, com’è probabile, il primo
linguaggio è nato là, nel continente delle nostre origini».
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