CONTRADDIZIONI DEL PRESENTE - Ambiguità dell’handicap - Un libro della
tedesca Monika Hey sottolinea, da una prospettiva laica, come l’attuale società
si ponga in modo positivo verso i disabili, ma cerchi in tutti i modi di
evitare la disabilità - di Francesca Rigotti – Il Manifesto, 28 novembre 2012
L’attuale società si pone in
maniera positiva nei confronti delle persone disabili, e allo stesso tempo
cerca di evitare la disabilità stessa. Sono i due fenomeni interdipendenti? C’è
un legame tra l’accettazione delle persone con handicap da una parte, e
dall’altra le tecniche di diagnosi prenatale che in molti casi individuano con
forte anticipo malattie e deformazioni del feto, indirizzando all’aborto
terapeutico? È uscito quest’anno in Germania lo studio di una ex regista, ora
consulente familiare, Monika Hey, dal titoloMein gläserner Bauch («Il mio
ventre di vetro», Dva 2012). Nota l’autrice che la maggior parte delle
gravidanze nelle quali i medici individuano un handicap del feto si concludono
con interruzione artificiale. Nel caso della diagnosi di Trisomia 21, la sindrome
Down, il 90 % delle donne incinte decidono di abortire; una delle conseguenze è
che i bambini Down sono, nei paesi dove viene praticata una diagnosi prenatale
accurata, in via di estinzione. Nel libro Hey parla di sé, del suo lavoro,
della sua intenzione iniziale di avere figli ma non subito; racconta di quando
scoprì, allorché mai più se lo sarebbe aspettato, di essere incinta e poi di come,
dopo la diagnosi di Trisomia 21 del feto, si sottopose a un parto provocato
allo scopo di eliminarlo. Dopo anni di elaborazione di questo lutto l’autrice
si rende conto di essersi sottoposta con eccessiva leggerezza alla costrizione
sociale di mettere al mondo un figlio sano e decide di scrivere la sua storia
(è una storia tutta laica ed esaminata dalla prospettiva dell’etica laica, come
laiche sono del resto queste mie considerazioni). Troppo debole e confusa e
disperata e senza comprendere fino in fondo le conseguenze del gesto (rimanere
senza figli, senza un figlio Down) l’autrice, dopo il risultato degli esami, si
lascia docilmente condurre dal personale medico verso la scelta quasi obbligata
di un parto/ aborto che le lascia per sempre una terribile sensazione di vuoto
e le apre una serie di interrogativi: non c’è posto per persone che non si
adeguano alle norme di una società orientata verso rendimento e prestazioni? Il
valore degli uomini è giudicato soltanto in base alle loro capacità? Devono
venire al mondo solo esseri umani dai quali ci si può attendere che nel corso
della vita si rivolgano all’orientamento al successo che caratterizza le nostre
società? Già oggi il vedere un bambino Down in carrozzina suscita perplessità,
leggibile chiaramente sui nostri volti: non si poteva evitare? Perché quel
bambino è stato fatto nascere? Sono domande che si pone anche, a Zurigo, il
pedagogista Ricco Bonfranchi, autore di una ricerca sulle conseguenze etiche
della diagnostica prenatale. Aggiungo alle parole di Hey e di Bonfranchi un
ulteriore argomento di riflessione: vedo in Svizzera, in questo autunno 2012, i
cartelloni stradali della campagna per far conoscere un’associazione che si
occupa di assistenza ai tetraplegici. Ogni cartellone mostra, vista di spalla, una
persona di cui si legge essere divenuta tale in seguito a un evento traumatico:
caduta da un albero, tuffo di testa azzardato, incidente stradale... Ogni
cartellone mi fa pensare al fatto che ogni bambino come ogni adulto, nato sano,
può diventare disabile in seguito a un incidente, ma che non per questo non
merita cure e assistenza. E allora perché eliminare tout court il futuro
disabile quando l’handicap sia diagnosticato in fase prenatale? È questa
l’ambiguità, è questo il paradosso (dei nostri tempi?) cui accennavo in
apertura: evitare il più possibile la nascita di bambini disabili tramite
aborto terapeutico da una parte, e dall’altra accogliere e accettare la
disabilità, soprattutto fisica. Che l’accettazione dell’handicap sia cresciuta
è sotto gli occhi di tutti: in Germania un ministro delle finanze siede su una
sedia a rotelle, come pure su una sedia a rotelle sta una rappresentante
dell’Spd, ministro del lavoro della Renania-Palatinato, che soffre di sclerosi
multipla; il ministro svizzero dell’istruzione del Ticino è non vedente.
Milioni di persone hanno visto al cinema Quasi amici, il film in cui il
tetraplegico Philippe si fa assistere non da un infermiere professionista ma da
un improvvisato badante, il rustico Driss, proprio perché questi non manifesta
la compassione che Philippe detesta. Insieme compiono imprese divertenti: correre
in Maserati attraverso la città, fare sesso con belle ragazze, buttarsi col
parapendio. Milioni di persone in Europa hanno pianto un pochetto ma
soprattutto hanno molto riso di Driss e del suo capo paralizzato, in questo
leggero e sereno racconto dal mondo della disabilità. Nella scorsa estate le
paralimpiadi di Londra hanno rappresentato una grande festa dello sport per
disabili ma anche dello sport in generale. E non è detto che a qualche
allenatore senza scrupoli delle palestre-lager per piccoli atleti (non solo)
cinesi non sia venuto in mente di amputare le gambe dei bambini internati per
sostituirle con protesi stile Pistorius... Da molte parti, infine, viene
esaltato il valore della resilienza, un concetto mutuato dall’ingegneria,
dall’ecologia e dalla biologia, che è passato a indicare la capacità dell’uomo di
trasformare positivamente le avversità della vita. Concetto con cui si trasmettono,
precipuamente in Italia, falsi messaggi alla melassa, che sostengono che i
bambini precocemente orfani di madri suicide o di padri vittime del terrorismo
diventano vicedirettori e direttori di giornali; e che i bambini di vetro
saranno grandi musicisti. Soprattutto nell’ultimo caso assistiamo a
glorificazioni della disabilità che suonano false persino alle orecchie di
Peter Radtke, scrittore e attore nonché presidente dell’Associazione Tedesca
Disabilità e Media, sofferente della sindrome delle ossa di vetro, che nota come
la disabilità sia esaltata da una parte solo per essere eliminata appena
possibile dall’altra. Che sia questo l’effetto collaterale di una società
mercantile orientata al denaro e al guadagno? Che sia il risultato dell’applicazione
del principio del calcolo delle probabilità elaborato da Pascal nel 1600 e
subito adottato dalle compagnie assicurative: facciamo il possibile affinché il
vostro carico arrivi sano e savo alla meta per essere colà rivenduto, ma se si
altera durante il viaggio lo buttiamo a mare, mentre se si rovina dopo ce ne
occupiamo a spese della collettività?
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