INTERVISTA - Lacroix: «All'amore serve la differenza» - 20 novembre
2012 - http://www.avvenire.it/
La questione antropologica divide
la Francia a partire dalla bozza di legge socialista sulle nozze e adozioni
omosessuali. A sinistra, c’è chi difende il “valore sociale” della riforma. Ma
il dibattito intellettuale, promosso con vigore anche dalla Chiesa francese, ha
rivelato rischi di portata inedita. A sottolinearli è pure il filosofo e
teologo Xavier Lacroix, membro del Comitato consultivo francese d’etica e
studioso di fama internazionale. Fra i suoi scritti tradotti in Italia, spicca
In principio la differenza (Vita e Pensiero). È già in cantiere pure una
traduzione di Il corpo ritrovato, il suo ultimo saggio.
Professore, come giudica il clima
attorno alla bozza di legge sempre più contestata?
«Le Chiese non sono sole nel
prendere posizione. Autori atei o di altre religioni si esprimono nello stesso
senso. Gli argomenti delle Chiese non sono confessionali o teologici, ma
antropologici e rivolti alla ragione. La Chiesa vuole partecipare al dibattito
perché pensa che riguarda il bene umano».
Ci sono aspetti finora
sottovalutati?
«Il dibattito è possibile anche
in virtù di una grande confusione e di grandi incertezze attorno alla parola
“matrimonio”. Per molti, oggi, il matrimonio è una celebrazione sociale
dell’amore, come sosteneva un deputato francese. Si confonde “amore” e
“matrimonio”. Ma il matrimonio non è solo questo, essendo pure un’istituzione,
cioè una forma di vita definita dalla società. D’altra parte, di fatto, esso è
in tutte le culture il fondamento di una famiglia. Dunque, si sta parlando
della concezione della famiglia».
C’è chi sottolinea il rischio di
uno stravolgimento antropologico più che morale. Che ne pensa?
«La misura riguarda
apparentemente un numero molto ristretto di persone. Una minoranza di persone
omosessuali chiedono questa riforma e dunque essa riguarda una minoranza nella
minoranza. Nei Paesi che hanno istituzionalizzato le nozze omosessuali, l’1,5%
dei matrimoni riguardano persone dello stesso sesso. Ma gli argomenti avanzati
toccano tutti, poiché si sente dire sempre più spesso che la famiglia non
poggia più sulla “biologia”, cioè sulla nascita, ma che poggerebbe invece sulla
volontà e su un quadro giuridico. Penso che se la famiglia non poggiasse più
sulla nascita, quest’ultima non avrebbe più accesso alla dimensione simbolica,
mancando la relazione fra nascita e legame filiale. È questa relazione fra
nascita e legame filiale che mi sembra la principale posta in gioco
antropologica».
La volontà prima che la nascita:
siamo davanti a rivendicazioni di un tipo nuovo?
«Gli argomenti avanzati e la
filosofia che riflettono mi preoccupano ancor più delle decisioni politiche.
Culturalmente, assistiamo alla convergenza di correnti di pensiero che
attribuiscono una sorta di onnipotenza alla volontà, ai desideri o alla
società. Personalmente, penso che la società e il desiderio non sono tutto, che
riceviamo la vita e che essa è fondamentalmente un dono, in particolare
attraverso il corpo. Per me, il corpo è importante, così come la nascita».
Questi nuovi orizzonti filosofici
preludono a una possibile uscita dalla tradizione umanistica?
«Un certo pensiero dominante
oppone natura e cultura. Così, vengono contrapposti corpo e cultura. Sono fra
coloro che affermano che un pensiero equilibrato e completo coniuga natura e
cultura, dunque il corpo e il linguaggio. Dobbiamo pensare la congiunzione fra
il corpo e il linguaggio, e la famiglia si trova in questa congiunzione».
Alcuni oppositori evocano la
Convenzione internazionale sui diritti del bambino. A ragione?
«Penso anch’io che dovremmo far
riferimento molto di più a questa Convenzione del 1989 e soprattutto al suo
articolo 7, che stipula che “il bambino ha il diritto, nella misura del
possibile, di conoscere i suoi genitori e di essere educato da loro”. Tenendo
in maggior considerazione i diritti del bambino interpretati in questo senso,
si ragionerebbe in modo diverso. Ma il problema è che oggi il bambino è
soprattutto percepito come un oggetto di diritto e dunque le coppie omosessuali
affermano che hanno diritto al bambino come si potrebbe aver bisogno di un bene
di consumo. In una trasmissione, un avvocato evocava persino un “mercato dei
bambini”. Trovo ciò molto preoccupante".
Siamo di fronte a tentativi di
ridefinire i diritti dell’uomo?
«Credo che esista una
contraddizione fra la valorizzazione della persona, del soggetto, dei diritti
dell’uomo, dell’individuo e la proposta di simili modelli familiari, poiché se
si mettesse davvero la persona al centro, si penserebbe che è meglio offrire al
bambino una situazione triangolare, cioè avere almeno un padre e una madre,
poiché egli nasce dai corpi di un uomo e di una donna. Esiste un rapporto fra
la persona e il corpo. Allora, per così dire, il padre è un uomo maschile e la
madre è una donna femminile».
Alcuni cristiani esprimono il proprio
timore di essere bollati come “omofobi”. Come coniugare le proprie convinzioni
e il dovere cristiano di accogliere l’altro?
«Da una parte, affermando
semplicemente che distinguiamo la questione dell’omosessualità da quella del
matrimonio. Non giudichiamo l’orientamento omosessuale quando affermiamo che il
matrimonio è un’istituzione che non dipende solo dalla volontà. In secondo
luogo, mettendo molto più in evidenza tutto ciò che si fa all’interno della
Chiesa per accogliere le persone omosessuali».
Daniela Zappalà
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