L'INCHIESTA - Farmaci tumorali, una corsa a ostacoli - 21 novembre 2012
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La Regione Veneto mette i paletti
a un farmaco per le donne anziane malate di cancro al seno e scoppia la
polemica. Nei giorni scorsi una delibera regionale "sconsigliava" l’utilizzo
di uno specifico medicinale, l’abraxane, per le pazienti, sopra i 65 anni, con
tumore alla mammella, curato già con i farmaci chemioterapici in "prima
linea". Il decreto del segretario alla sanità veneto, Domenico Mantoan,
stabiliva dunque che era meglio non utilizzarlo nella cosiddetta "seconda
linea" di cura.
La denuncia di un sospetto
"blocco" del farmaco da parte della Regione è partita da
Federanziani, seguita, però, dall’immediata replica dell’ente: «Nessun farmaco
antitumorale verrà negato a nessun nostro paziente per motivi economici, perché
in Veneto non un euro di risparmio è stato o sarà fatto sulle cure ai malati di
tumore, a prescindere dall’età. Qualsiasi terapia, prescritta a insindacabile
giudizio dei medici curanti, è e sarà resa disponibile», ha detto l’assessore
regionale alla Sanità, Luca Coletto. Venerdì prossimo verrà riconvocata la
Commissione tecnica per il prontuario terapeutico ospedaliero per «riaffrontare
la questione ed eventualmente rivedere la decisione», che, fanno sapere dalla
Regione, «non è mai stato un divieto» ma piuttosto una «indicazione» in un atto
che deve essere rivisto per renderlo inequivocabile e non dare adito a
fraintendimenti.
«Il vero problema sono i
prontuari regionali che non dovrebbero esistere – dichiara Annamaria Molino,
direttrice dell’oncologia dell’Azienda ospedaliera di Verona e referente
regionale dell’Aiom, l’associazione di oncologia medica –. Se un farmaco viene
approvato negli Stati Uniti, in Europa e in Italia, perché non dovrebbe esserlo
anche a livello regionale? Nulla in ogni modo mi vieta, come oncologa, di
utilizzarlo se lo richiedo in modo specifico, una volta approvato dall’Aifa,
l’Agenzia nazionale del farmaco». Nel caso specifico, «l’abraxane è approvato,
ma lo studio internazionale di registrazione di questo farmaco vedeva coinvolte
poche pazienti anziane. Bisogna aggiungere – afferma l’oncologa – che,
coincidenza, proprio in Italia si sta conducendo sull’abraxane uno studio che
coinvolge le malate di tumore di età sopra i 65 anni per vedere se ha effetti
positivi anche in questo caso».
L’episodio veneto ha comunque
aperto un varco in un dibattito che in queste settimane vede molti esperti
prendere posizione: si può risparmiare sulle cure da cancro? Solo pochi giorni
fa aveva fatto scalpore la notizia che all’Ircc Candiolo di Torino veniva negata
la terapia antitumorale domiciliare. In realtà i farmaci vengono consegnati a
tutti dalla farmacia ospedaliera al primo ciclo e successivamente solo a quelli
di Torino. Non ai fuori regione o ai fuori provincia «per esigenze di cassa»,
come ha riportato la stampa locale.
Attenzione, dunque, ribadisce
Filippo De Braud, primario di oncologia medica 1 all’Istituto nazionale dei
tumori di Milano «a non fare cassa sull’età dei pazienti». Per il medico
«curarsi bene non implica necessariamente spendere tanti soldi». Ma occorre
investire sulla previdenza. E fa il caso dei «tumori solidi» che, «se presi in
tempo, si curano anche con la chirurgia. Chiaramente se presi in ritardo si
curano male e si spendono più soldi». Francesco De Lorenzo, presidente di Favo,
la federazione dei volontari chiede di «fornire i farmaci oncologici approvati
dall’Aifa, monitorati dalla stessa agenzia per l’appropriatezza, a tutti i
malati, ovunque, siano essi innovativi o comunque indispensabili
indipendentemente dal fatto che siano nuovi o meno».
Francesca Lozito
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