Salute hi-tech, più vicina la terapia su misura di Francesca Cerati - 18
novembre 2012 - http://www.ilsole24ore.com
Ospedali-laboratorio a un passo
dai più avanzati centri di ricerca universitari e dalle imprese del pharma. È
così che nel quadrilatero di Harvard si trasferiscono i risultati delle
sperimentazioni in cure per i pazienti. Soprattutto per la terapia del cancro.
Un modello nuovo, efficiente e sinergico che velocizza i tempi e che
concretizza la cosiddetta medicina personalizzata.
È dunque davvero arrivato il
momento in cui "lettura del Dna, terapia bersaglio e biotecnologie"
da promesse si stanno trasformando in realtà? Sembra di sì, in concomitanza del
fatto che il sequenziamento scende via via di prezzo, la potenza dei computer
cresce così come le informazioni genetiche sulle malattie, ma anche l'industria
farmaceutica è pronta a produrre farmaci su misura, finora appannaggio delle
piccole biotech. Forse, perché l'ingranaggio giri a pieno regime, andrebbero
riveduti i tempi di approvazione dei farmaci, visto che la loro sintesi sta
cambiando e va veloce. «Non ci può essere alcun ritardo. I pazienti sono in
attesa.
Per questo servono trial più
omogenei e ben definiti per quanto riguarda il profilo genetico dei pazienti.
Solo così si può accelerare nella prima fase degli studi clinici il passaggio
di un nuovo farmaco» commenta Mark C. Fishman, presidente degli Istituti
Novartis per la ricerca biomedica.
Sì, perché la chiave del
"modello Harvard" - che ha l'obiettivo di individuare per ogni
paziente i driver genetici della malattia per offrire terapie su misura nel
minor tempo possibile - è proprio questa: selezionare i sottogruppi di pazienti
in cui è sicuro che la terapia funzioni. Il modello tradizionale di sviluppo di
un farmaco, nel caso di malattie genetiche, non vale più. E anche la molecola
che è attiva nel 10% dei casi assume tutto un altro valore. C'è da chiedersi
quante molecole ci sono nelle library dei laboratori e delle big pharma che non
hanno superato le fasi iniziali di studio, e che oggi invece grazie agli
screening genetici risulterebbero attive se testate su pazienti selezionati. Lo
screening di massa, insomma, diventa screening genetico e la terapia generale
diventa personale. L'ostacolo, ora, sta proprio nella selezione dei malati. «La
strada è giusta – dice Timothy Wright, global head of development di Novartis –
Il problema sta però nel fatto che il tumore, nella maggior parte dei casi, è
una malattia multigenetica e non conosciamo ancora tutte le singole mutazioni».
«Il futuro della ricerca -
aggiunge Alessandro Riva, vice presidente dell'area sviluppo oncologica – è
quello di sviluppare combinazioni di farmaci per attaccare le diverse mutazioni
genetiche. Ma anche individuare precocemente le resistenze alle nuove terapie».
Ma il modello Harvard funziona anche per come è strutturato e concepito: grandi
open space per favorire e facilitare le sinergie dentro e fuori dai laboratori e
dalle corsie ospedaliere. Per esempio, al Dana Farber cancer institute,
ospedale pioniere nelle terapie antitumorali dell'area di Cambridge dove sorge
il Mit, medici e scienziati s'incontrano nei corridoi e coinvolgono il
paziente, i parenti e anche gli amici prima di avviare una cura. In
un'atmosfera che tutto sembra tranne che un ospedale, si offre il miglior
trattamento disponibile e contemporaneamente si sviluppano le terapie del
futuro.
La stessa aria – definita
sociologia dell'innovazione – si respira poco distante, al 250 della
Massachusetts avenue, quartier generale del Novartis institute for biomedical
research (Nibr): una storica fabbrica di caramelle che il colosso svizzero ha
trasformato in un centro di ricerca di nuova concezione, uno spazio open e
dinamico in cui non esistono più confini fisici né scientifici, per facilitare
la collaborazione e lo scambio delle idee e delle conoscenze tra scienziati.
Anche attraverso le più innovative tecnologie, come le lavagne elettroniche
intelligenti per comunicare in tempo reale con i colleghi di tutto il mondo. O
acquari per studiare gli zebrafish, creati su misura per riprodurre le malattie
dell'uomo, grazie a nuovi kit di "attrezzi" molecolari che consentono
di manipolare in modo ultra preciso il Dna dei pesci. Questo nuovo approccio
viene applicato anche al Bidmc cancer center dell'Harvard Medical School, nel
laboratorio diretto da Pierpaolo Pandolfi, dove è stata creata una vera e
propria clinica del topo, con tanto di tac, pet e risonanza magnetica in miniatura.
«Nel topo, con cui convidiamo il
95% del patrimonio genetico, succede tutto più velocemente che nell'uomo. Ed è
positiva questa accelerazione se lo scopo è quello di essere predittivi –
spiega Andrea Lunardi, che lavora nell'équipe di Pandolfi da tre anni – Con una
biopsia e un sequenziatore siamo in grado non solo di avere una fotografia del
profilo genetico del tumore, ma anche di riprodurlo esattamente nel topo,
attraverso l'ingegnerizzazione. A questo punto si testano le molecole e si vede
nell'immediato se funziona o meno su quella specifica mutazione genetica». In
pratica, è come avere un tuo avatar. «Il che consentirebbe, modificando le
attuali regole, di avere la cura su misura nell'arco di un anno». Il Bidmc
Cancer Center nella figura di Pandolfi ha manifestato da tempo la disponibilità
di creare in Italia, in collaborazione con le istituzioni scientifiche e le
università (a cominciare da Roma Tor Vergata), un centro di competenza
internazionale per la prevenzione e la cura del cancro, sia attraverso il
trasferimento "in continuo" dei risultati delle ricerche in corso ad
Harvard e la loro applicazione immediata nella cura dei pazienti ammalati di
cancro, sia attraverso lo sviluppo di progetti comuni di ricerca che possano
costituire anche l'occasione per il rientro di giovani ricercatori italiani
oggi all'estero. Un progetto rilanciato e proposto al Cipe anche dal ministro
dell'Ambiente Corrado Clini.
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