29-11-2012 - http://www.lanuovabq.it
Nell’immaginario collettivo l’amante, all’arrivo inaspettato del marito in casa, si nasconde sempre nell’armadio. Ora a dare retta alla Corte di Cassazione nell’armadio è bene che ci finisca il marito per sfuggire a condanne penali pesanti. Pare incredibile ma negli anni la Cassazione ha inanellato una serie di sentenze che strizzano l’occhio agli adulteri e castigano il coniuge non libertino. Vediamone qualcuna.
È di quest’anno un pronunciamento dell’alta corte che infligge la custodia cautelare in carcere ad un coniuge tradito che le aveva date di santa ragione all’amante. Fin qui nulla di strano – anche se il carcere forse ci pare un po’ eccessivo per un paio di ceffoni. Ma la cosa che stupisce è il reato per cui il malcapitato è finito dietro le sbarre: non lesioni personali bensì “maltrattamenti in famiglia”. Gli ermellini hanno sostenuto che la caratteristica di stabilità di alcune relazioni extraconiugali le fa assomigliare a relazioni familiari. È come se i giudici sostenessero che le persone con i baffi sono un po’ gatti. Ergo se picchi l’adultero è un po’ come se tu alzassi le mani contro un tuo parente acquisito. In effetti come dare torto ai magistrati? L’amante almeno per certi aspetti fa le veci del marito. Si conia quindi un nuovo concetto di famiglia: quella adulterina – anzi adulterata – che deve essere tutelata a danno di quella naturale.
Se poi il tradito non vuole passare dalle parole ai fatti, ma decide prudentemente di fermarsi alle parole il poveretto non potrà comunque sottrarsi alla dura censura dei tribunali. Una signora tempo fa si arrischiò ad apostrofare l’amante del marito con l’epiteto “cesso”. La perifrasi testuale fu: “Sei un cesso! Ma ti sei vista? - e rivolta agli astanti - Sono la moglie di… e questo cesso è la sua amante”. La destinataria degli apprezzamenti non gradì la patente di “sanitario”. Decise dunque di andar per vie legali ed ottenne ragione. Infatti anche le sottili questioni di estetica interessano i giudici di Roma i quali comminarono alla donna dalla lingua puntuta una bella sanzione penale per ingiuria. Questo reato, insieme a quello di diffamazione, è degno di nota: infatti quello che importa per meritarsi il carcere o la multa non è tanto la verità dell’affermazione ingiuriosa, bensì il fatto che abbia leso “l’onore e il decoro di una persona”. Cioè per i giudici nulla esclude che l’amante fosse davvero “un cesso”, ma purtroppo anche gli amanti hanno un cuore e una sensibilità propria che lo Stato deve tutelare. A parti rovesciate viene da chiedersi se “l’onore e il decoro” del coniuge tradito non fossero stati infangati in modo assai più grave dai rapporti adulterini della rivale. Ma, ce ne rendiamo conto, questi sono sofismi.
Continuando in questo tunnel degli orrori/errori giuridici, ci imbattiamo nel caso di Angelo che, bontà sua, una volta ha avuto la malsana idea di impedire con la forza all’amante di entrare in casa propria per consumare l’atto adulterino con la moglie Stefania. In aula il marito si è giustificato così: ''Volevo solo impedire che mia moglie uscisse con l'amante e si intrattenesse con lui in casa nostra''. Ma il buon senso dell’ingenuo Angelo non è stato preso in considerazione e questi è stato condannato per violenza privata. Il reato consiste in questo: “Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Insomma la colpa del marito è stata quella di aver costretto l’amante ad omettere l’abituale tradimento e per questo si merita il carcere. E così il portatore di corna viene sbattuto fuori di casa e finisce in un altro tipo di casa, quella circondariale, ed invece l’artefice delle corna altrui ha libero accesso nella dimora di questi.
Da aggiungere che la parte lesa in questa vicenda non era solo il terzo incomodo ma la stessa moglie. La sentenza infatti specificava che Angelo doveva essere punito per ''esercizio arbitrario delle proprie ragioni ai danni della moglie Stefania''. La vittima diventa carnefice e i fedifraghi chiedono i danni.
Da notare infine che la condanna era stata inflitta grazie alla deposizione della moglie, la quale poteva benissimo essersi inventata tutto o perlomeno aver ceduto alla tentazione di calcare un po’ la mano nel racconto degli avvenimenti. Ma la fede della Corte nei fedifraghi è stata cieca e assoluta: ''la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia anche da sola essere assunta come fonte di prova, non richiedendo neppure riscontri esterni quando non sussistano situazioni che indicano a dubitare della sua attendibilità”. È proprio vero: come si fa dubitare di una donna che tradisce?
Il delirio giuridico poi arriva al suo apice nella vicenda del signor M. che si è visto obbligato a foraggiare economicamente la moglie che era fuggita con l’amante. Anzi, nel caso in cui la donna avesse deciso di divorziare, l’ex coniuge era vivamente pregato di pagarle gli alimenti. Perché, si sa, che le scappatelle sono dispendiose e d’altronde il marito non aveva promesso di esserle fedele nella buona ma anche nella cattiva sorte? E quale peggiore sorte si può immaginare che essere traditi? Così suo malgrado il signor M. è stato costretto a diventare benefattore dei festini a luci rosse imbastiti a suo danno. La solidarietà per i giudici di Roma non conosce i confini della pubblica decenza.
Il divino Dante ha messo nell’ultimo cerchio dell’Inferno chi ha tradito la fiducia altrui. Tra questi troviamo Giuda. I tempi son cambiati e i giudici oggi premiano i novelli Giuda che si danno ad attività amatorie extra-talamo nuziale e mandano al fresco il coniuge umiliato e offeso. Si premia l’adulterio e si umilia il vincolo matrimoniale. Decisioni togate che ci spingono a dire che oltre ai questi poveri coniugi anche la giustizia appare essere essa stessa tradita dai suoi stessi amministratori, adornata di un paio di indecenti corna che di certo non meritava.
Insomma queste sentenze validano in nome del Popolo Italiano il detto “cornuto e mazziato”. E tanto per rimanere in tema di detti popolari ci viene da suggerire ai giudici della Cassazione il vecchio e sempre valido adagio: “Tra moglie e marito non mettere il dito”.
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