lunedì 3 dicembre 2012


Disabilità e riconoscimento dei diritti

 Paradossi
di un mondo invisibile

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Nella giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità  il mondo fa i conti con un’evidenza: la società ancora rifiuta il disabile. Nonostante i grandi progressi clinici, i malati disabili sono quasi dei corpi estranei nella società della perfezione che non li sa “decifrare” e integrare. La disabilità non trova quasi mai spazio nei media dove troppo spesso è impastata a un inutile pietismo. Trova poco spazio nelle scuole, dove l’integrazione del portatore di handicap avviene solo in alcuni Paesi e in maniera ancora incompiuta. Anche negli ambienti sanitari la disabilità ottiene meno attenzione del dovuto, tanto che recentemente sulla rivista «Lancet» si denunciava come per il sistema sanitario inglese i disabili siano degli “invisibili”, con medici non allenati a riconoscere i sintomi delle persone che non sanno o non possono esprimersi.
Non si tratta solo di un progresso che non arriva, ma di fare i conti con veri paradossi.
Il primo paradosso è che nella società dove tutto fa notizia, i disabili non hanno voce. Sembra impossibile, eppure basta valutare quale percentuale di presenza abbia sulla stampa la disabilità rispetto a qualunque altro argomento. E questo è paradossale nell’anno che ha visto il boom di spettatori alle Paralimpiadi di Londra, che hanno inaspettatamente registrato il tutto esaurito in fatto di pubblico con 2,7 milioni di biglietti venduti in totale. Un segno che l’attenzione  della gente verso il mondo della disabilità c’è ed è palpabile, e che addirittura questo mondo può raggiungere l’eccellenza nello sport. Ma si tratta di una realtà che  — forse per un malaccorto pudore  — è troppo poco rispecchiata dai media.
Il secondo paradosso è che ancora si pensa che la vita perda valore se non ha certe caratteristiche, di solito imposte dai mercati e dalla pubblicità. Secondo una ricerca condotta nel 2000 dal  «Journal of the American Medical Association», per molti intervistati la morte sarebbe preferibile a vivere con un handicap fisico. Errore: quando le persone disabili si esprimono, mostrano di avere non solo voglia di vivere, ma alcuni raggiungono l’eccellenza nel campo artistico, sportivo e in diversi Paesi persone con disabilità sono anche leader nel campo della politica o della scienza.
 Certo, la buona valutazione data in alcuni casi dai disabili sulla propria qualità di vita — come emerge ad esempio dallo studio di Susanna Chow sulla rivista «Quality of Life Research» del marzo 2005 —  e il fatto che facciano fronte alla malattia con coraggio e forza non è un alibi per non migliorarne le condizioni, ma fa sentire stridente il dogma secondo cui la vita disabile non merita di essere vissuta.
Il terzo paradosso è che in tempo di crisi economica e morale tutti si aspettano un’inversione nella scala di valori, tutelando i deboli, mentre in realtà  la crisi sembra penalizzare soprattutto chi ha più bisogno. Quale grande segnale sarebbe un prioritario impegno sociale e medico per i bisognosi nei programmi finanziari, una via preferenziale per preservarli dai tagli.  Tutti sentono il bisogno di un segnale di novità e sentono che la salute non può essere una «“merce” sottoposta alle leggi del mercato» come ha spiegato Benedetto XVI, rivolgendosi, il 17 novembre, ai partecipanti alla conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari. In Inghilterra l’associazione di disabili  Mencap chiede proprio questo con la campagna significativamente intitolata «Non ci tagliate fuori», e simili richieste sorgono in tanti altri Paesi.
Come ha sottolineato il cardinale Tarcisio Bertone nel discorso del 3 novembre al centro Incontri della provincia di Cuneo: «La crisi nasce da una etica non amica dell’uomo, se così la si può chiamare, dall’etica nichilista e individualista» e dunque «anche l’economia di mercato post-moderna ha bisogno essenzialmente di uno spirito per potere vivere e crescere».
Non a caso l’etica utilitarista è anche quella che vede nel disabile un corpo estraneo alla società, che sposta l’attenzione sulla selezione prenatale rispetto all’aiuto alla vita nascente e alle famiglie in difficoltà economiche. E che — ultimo paradosso — con una mano sostiene formalmente le dichiarazioni di principio per l’integrazione dei malati, mentre con l’altra mano si prodiga a fornire gli strumenti per la loro selezione prenatale.
  Carlo Bellieni
4 dicembre 2012

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