lunedì 4 ottobre 2010

MONS. FISICHELLA: IL “BENE COMUNE” È SCOMPARSO DALL'ORIZZONTE POLITICO - In un incontro a Pisa sull’enciclica sociale “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI di Aldo Ciappi
PISA, lunedì, 4 ottobre 2010 (ZENIT.org).- La nozione di “bene comune” è scomparsa dall'orizzonte politico. E' quanto ha detto mons. Rino Fisichella, Presidente del neo costituito Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, intervenendo il 2 ottobre, presso l’aula magna del Polo Didattico “Carmignani” dell’Università degli Studi di Pisa, a un incontro sull’enciclica sociale “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI.
All'incontro, organizzato dall’Ufficio per la Pastorale del Lavoro dell’Arcidiocesi di Pisa, erano presenti in veste di relatori, oltre a mons. Fisichella, anche due deputati cattolici, Enrico Letta e Maurizio Lupi, impegnati in opposti schieramenti politici (PD il primo e PDL il secondo), i quali hanno parlato ad un centinaio di presenti, tra cui monsignor Giovanni Paolo Benotto, Arcivescovo di Pisa, e diverse autorità civili.
Mons. Fisichella ha sottolineato la drammaticità della crisi che riguarda l’intera società umana a cui il Papa, con questa enciclica, ha voluto indirizzare un alto messaggio con al centro l’affermazione della “verità” come presupposto imprescindibile di ogni autentica azione “caritatevole” (“solo nella verità la carità risplende”; par. 3): verità sull’uomo e sulla sua dignità; verità sul lavoro, sul mercato, sullo “sviluppo”, che deve essere “integrale”, richiamando concetti già presenti in precedenti encicliche (tra cui la Populorum Progressio di Paolo VI°) aggiornati però alla luce di recenti fenomeni come la globalizzazione delle relazioni economico-sociali e delle comunicazioni, la caduta delle ideologie con il loro tragico bilancio storico, l’enorme sviluppo delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche.
In questo contesto, ha proseguito mons. Fisichella, il Papa ha voluto richiamare l’attenzione sulla centralità delle istanze etiche che devono sempre guidare l’ azione umana in ogni campo: nella ricerca scientifica come nelle sue applicazioni; nelle relazioni economico-sociali come nel mercato e nella finanza. Il primato, dunque, alla tutela della vita e della dignità umana come metro di giudizio di un autentico sviluppo.
Un altro fondamentale messaggio del Papa nell’enciclica – sempre secondo Fisichella - è rappresentato da quel binomio inscindibile “libertà-responsabilità” che caratterizza l’agire umano: la prima, come presupposto ineliminabile della seconda; la seconda come naturale proiezione dell’estrinsecarsi della prima. Concetto che, invece, l’uomo moderno sembra aver smarrito, preso com’è dalla ricerca di una malintesa libertà, come sinonimo di “autonomia”, nel suo significato proprio di “legge a se stessa”, che pertanto non dovrebbe rendere conto a nessuno, non solo a Dio, ma neppure al prossimo e alla comunità.
Questa crisi, prima di tutto culturale e antropologica, si riflette in ogni campo e quindi anche in quello politico-legislativo, dal cui orizzonte è sparita la nozione di “bene comune” per far posto all’ affermazione di figure giuridiche nuove sulla spinta di tendenze e costumi diffusi senza che ci si ponga il problema delle loro negative ricadute sulla società, se è vero, come è vero, che le leggi producono mentalità (si pensi, per esempio all’introduzione dell’obbligo del casco).
Ciò – ha proseguito Fisichella - ricorda molto il Re Mida che voleva che tutto si piegasse alla sua volontà, trasformandosi in oro ciò che toccava, ma che alla fine, proprio per questo, perse tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere.
Ogni diritto individuale, dunque, per essere autentico non dovrebbe mai perdere di vista la rete delle relazioni sociali in cui esso va ad inserirsi e che reclama altrettanti doveri; all’esercizio di ogni diritto si accompagna di regola una qualche “responsabilità”. Senza di ciò e senza una scala di valori coerente non vi può essere alcuna progettualità nella politica.
Quindi - secondo il presule - è necessario promuovere una politica che si proponga di produrre “cultura”: far diventare “cultura” l’ azione legislativa. Nei prossimi 20 anni, che si voglia o no, ha detto Fisichella, l’azione legislativa dovrà occuparsi delle grandi questioni della bioetica che, come Presidente emerito della Pontifica Accademia della Vita, lo stesso ha avuto modo di conoscere da vicino.
La scoperta della genetica e le nuove applicazioni delle tecniche bio-mediche hanno consentito grandi progressi ma allo stesso tempo hanno posto nuove ed angoscianti questioni: come si affronterà il problema della compravendita degli organi? Come si potrà evitare la programmazione di esseri umani di cui già oggi, in vitro, potrebbe determinarsi il sesso? Quali leggi dovrà darsi uno Stato per evitare derive facilmente immaginabili? Si dovrà prendere a misura soltanto la volontà legislativa espressa dall’autorità dello Stato sovrano, quale che essa sia? Questa è la provocazione.
La politica deve tornare ad avere il primato sull’economia, sulla finanza, sulla tecnologia; deve recuperare la sua capacità di orientamento sulla società anche alla luce dell’apporto che la Chiesa offre attraverso la formulazione di un nuovo “umanesimo” nel quale il bene dell’uomo deve tornare al centro di ogni realtà che lo circonda, non circoscritto, però, alla sua dimensione biologica, bensì aperto al trascendente, ossia a quella dimensione che dà pieno significato alle domande sul senso della vita che ciascuno di noi si pone.
Di seguito hanno preso la parola i due politici, entrambi facenti parte dell’intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà, i quali hanno dato atto come, pur appartenendo a diversa area politica ma condividendo lo spirito e gli insegnamenti dell’enciclica e più in generale della dottrina sociale della Chiesa, sia possibile svolgere un lavoro comune e raggiungere importanti obiettivi (come, per esempio, il sostegno del 5 per mille alle associazioni non profit), di aiuto concreto alla società e alle sue articolazioni. Questo a condizione che si recuperi il significato alto della politica come servizio reso alla comunità e lontano dagli interessi individuali o di partito.
Ha concluso di nuovo mons. Fisichella richiamando due passaggi chiave nell’enciclica. Da un lato, la constatazione di come “oggi il mondo soffre per la mancanza di pensiero”. Riferito al mondo della politica, esso manca di “progettualità”, di “cultura”, e una nuova classe politica di cattolici è sollecitata dal Papa a dare uno specifico contributo in questo senso. Tuttavia, se può accettarsi una frammentazione della presenza cattolica nelle varie formazioni partitiche, ciò che non è accettabile e rappresenta una vera e propria tragedia è la “diaspora culturale” dei cattolici impegnati in politica.
La politica non deve ridursi a gossip né a personalismi. I problemi da affrontare sono molteplici e urgenti; si pensi, per esempio, al crollo delle nascite in questi ultimi decenni. Se non si interviene subito con politiche adeguate non esiste futuro per questo paese. Questo è uno dei frutti della “carenza di pensiero”.
Il secondo passaggio sottolineato da mons. Fisichella riguarda il richiamo ad una ricerca costante del bene comune che, per il cristiano, costituisce “la via istituzionale o possiamo dire politica della carità” (par. 7) ed il bene comune di una società non può prescindere dal bene della famiglia. E’ da condividere, secondo il presule, il giudizio di alcuni economisti e banchieri che hanno affermato che l’attuale crisi economica è frutto anche della grave crisi della famiglia che ha portato al collasso demografico.
Non vi potrà essere futuro per questo paese, dunque, se si non porrà al centro della politica la tutela della famiglia che è l’unica istituzione che può garantire, con l’insostituibile opera educativa dei genitori, alle generazioni future la trasmissione di quel patrimonio culturale che abbiamo ereditato. A questa importante missione sono chiamati i cattolici impegnati in politica.
Alla fine, il saluto ed il ringraziamento ai relatori e ai partecipanti di mons. Benotto, il quale ha ricordato come la stessa figura di S. Ranieri, uno dei primi santi laici della storia della Chiesa, di cui Pisa celebra quest’anno l’ 850° anniversario della morte, può a buon titolo essere presa quale fulgido esempio di operatore di concordia sociale in un tempo in cui la potente città marinara era lacerata anch’essa al suo interno da forti contrasti politici.



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