Dat o biotestamento, la confusione sta all'origine di Riccardo Cascioli, 18-05-2011, da http://www.labussolaquotidiana.it
Oggi dovrebbe riprendere alla Camera la discussione sul disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), che i partiti dell’attuale maggioranza sperano di approvare in fretta. Come è noto anche la Conferenza episcopale italiana spinge per una rapida approvazione di una legge che – nelle intenzioni – dovrebbe evitare il ripetersi di un altro caso Eluana Englaro. E’ altrettanto noto che nel mondo pro life molte sono le voci di disaccordo, che ritengono non necessaria o addirittura pericolosa questa iniziativa legislativa.
Abbiamo più volte affrontato i diversi punti critici di questo disegno di legge e presentato le diverse posizioni. Ma non ci si è soffermati abbastanza su un aspetto che va oltre la legge stessa. Infatti, anche se si vincesse dal punto di vista legislativo, sul piano culturale la battaglia sembra già persa. E lo si capisce anche dall’insistenza con cui in questi ultimi giorni i sostenitori della cosiddetta “legge sul fine vita” si affannano a spiegare sui giornali e agenzie dove gli è consentito, che tale legge appunto riguarda le Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) e non il “testamento biologico”.
La questione è molto più importante di quel che possa sembrare a prima vista, perché – parlando di leggi - il cambiamento culturale di una società è determinato più dalla percezione del contenuto che non dal contenuto stesso di una legge.
In questo caso, tra DAT e testamento biologico c’è una differenza abissale: per gli estensori del disegno di legge le DAT si riconducono al principio per cui la vita è indisponibile; al contrario il testamento biologico, per definizione, si fonda sulla disponibilità della propria vita, sulla possibilità estrema di autodeterminazione. Per le lobby che spingono per la legalizzazione dell’eutanasia il testamento biologico è storicamente il passo decisivo nel cammino da una legislazione pro-vita a una pro-morte. Per questo ovunque nel mondo chi vuole la legalizzazione dell’eutanasia comincia dalla richiesta del testamento biologico.
Tornando al caso italiano, pur se il testo parla di DAT, su tutti i media si parla di testamento biologico, e anche i politici parlano di testamento biologico. E’ quindi ovvio che l’opinione pubblica sia già convinta che di questo si tratti, anche se la legge dice qualcosa di diverso. Paradossale è poi il fatto che questo messaggio distorto sia ancora più convincente perché a volere la “legge sul testamento biologico” sono addirittura i vescovi e il Movimento per la Vita.
La scorsa settimana, nella risposta a un lettore, il direttore di Avvenire Marco Tarquinio accusava chi cerca di “confondere le acque” parlando di biotestamento invece che di DAT: “Succede su quasi tutti i giornali – diceva Tarquinio - per pigrizia, abitudine e conformismo... O per mero errore. Ma accade anche perché c’è chi scrive quel che vorrebbe che accadesse e non quel che sta accadendo”.
Se guardiamo al contenuto del disegno di legge forse è vero, ma il problema non sta anzitutto nei media: infatti basta andare sui siti del Senato e della Camera dei Deputati per rendersi conto che è lì che il disegno di legge viene definito – per brevità – “sul testamento biologico”. Sì, per brevità, perché il titolo vero del disegno di legge è: “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”. Una spataffiata incomprensibile che fa sorgere la curiosità su chi sia il brillante stratega che ha pensato un titolo del genere. Perfino Zapatero in Spagna, per varare nei giorni scorsi una legge più aperta all’eutanasia, l’ha chiamata “sul fine vita”. Ci voleva molto a dare lo stesso nome anche in Italia? E come è possibile che i parlamentari pro life che tanto generosamente si sono spesi per sostenere questa legge sulle DAT non si siano accorti o abbiano accettato che nei documenti ufficiali di Camera e Senato si parli di “testamento biologico”?
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