«Senza dolore e solitudine non c’è eutanasia» - La testimonianza del rianimatore e palliativista Ben Crul, antesignano in Olanda delle terapie contro la sofferenza fisica all’origine di molte richieste di anticipare artificialmente la propria morte: «Ormai la maggior parte dei medici olandesi non trova più necessaria l’eutanasia perché esistono farmaci di sedazione del dolore tanto efficaci da renderla inutile» di Maria Cristina Giongo, Avvenire, 19 maggio 2011
E’ un medico e uno studioso molto stimato nel suo Paese, ha dedicato la vita ai suoi pazienti.
Ben Crul, olandese, anestesista, rianimatore, ricercatore ha esercitato per 34 anni nella Clinica universitaria del prestigioso ospedale San Radboud di Nijmegen, ricevendo riconoscimenti per le sue ricerche nelle cure palliative in chiave antieutanasia. E questo proprio nel Paese che l’ha legalizzata il 12 aprile 2001. Ama l’Italia, parla la nostra lingua, e rilascia volentieri questa intervista ad Avvenire nella sua bella casa a Malden, dove abita con la moglie Heleen, nota giornalista e scrittrice.
Professor Crul, perché ha puntato sulle cure palliative?
Perché si occupano in maniera efficiente e totale dei malati colpiti da un’affezione che non risponde più ai trattamenti specifici e la cui conseguenza è la morte. Il loro scopo è il raggiungimento di una migliore qualità di vita dell’infermo, indifeso contro il male che lo ha colpito.
Le cure palliative si usano soprattutto in fase terminale a livello del controllo del dolore, che si può sedare con farmaci. Quando il dolore è intollerabile può anche essere lenito con un intervento sul midollo spinale, attuato in anestesia locale.
Ho sviluppato una statistica su 43 miei pazienti sofferenti di un dolore intrattabile, usando una scala da 0 a 10: prima di questo intervento il dolore raggiungeva livelli
di 7,19. Dopo l’intervento di 1,1. Alla fine della vita era di 2,9.
Lei è contrario all’eutanasia?
Sì. Ho molto rispetto per la vita, che va salvaguardata prima di tutto. Lo Stato garantisce la nostra incolumità, e questo lo deve fare anche il medico. In Olanda nel momento in cui è stata approvata la legge nessuno ha pensato al macigno posto sulle spalle dei medici. È stata fatta un’inchiesta da cui è risultato che i medici che hanno praticato l’eutanasia a un loro paziente non sono riusciti a dormire né prima né fino a due settimane dopo l’intervento.
Stiamo parlando di togliere la vita a un essere umano! Tanto per essere più espliciti: prima hai davanti a te un uomo, poi un cadavere. E sei stato tu a dargli la morte! La differenza fra eutanasia e cure palliative consiste proprio nel fatto che l’eutanasia è un atto irrevocabile.
Eppure tre quarti degli olandesi si dice a favore dell’eutanasia...
Questo dipende anzitutto dal fatto che in Olanda la fede non riveste un ruolo importante. Pertanto cadono tutti i principi legati al trascendente, alla spiritualità, al rispetto dell’uomo composto non solo di corpo ma anche di anima. In secondo luogo non è vero che nel nostro Paese la pratica dell’eutanasia viene usata spesso. Ci sono precise e severe norme che regolano questa legge, molte persone che la richiedono non l’ottengono, mentre altre muoiono naturalmente prima della data fissata per l’attuazione.
Io sono fermamente convinto che la morte naturale sia il modo migliore di lasciare questa vita. A volte la medicina odierna, con le sue cure avanzate, rende il trapasso più traumatico, aumenta la sofferenza ( per esempio a causa di interventi chirurgici inutili). La morte deve essere accettata: non la si può evitare, ma neanche accellerarla!
L’importante è garantire una fase terminale con trattamenti contro il dolore per ogni tipo di malattia, nel rispetto del paziente.
E cosa occorre fare per mettere un argine alla domanda di eutanasia?
Tempo fa Andrè Rouvout, capogruppo del partito olandese dell’Unione Cristiana (Cu), fece un’interpellanza parlamentare per la revisione della legge sull’eutanasia basandosi su uno studio sulle cure palliative da cui era emerso che la maggior parte dei medici olandesi non trovava più necessaria l’applicazione dell’eutanasia proprio in quanto esistono farmaci di sedazione del dolore tanto efficaci da renderla "inutile".
Nel 1995 in Olanda fu mostrato in televisione il filmato di un paziente (affetto da una malattia neurologica) nel momento in cui gli veniva praticata l’eutanasia. Un video sconvolgente! L’Inghilterra reagì con indignazione nei confronti del nostro Paese. E proprio dall’Inghilterra ci vennero più specifiche informazioni sulla possibilità di evitare queste morti violente con l’aiuto delle cure palliative. Grazie a Els Borst, all’epoca ministro della sanità, vennero subito stanziati 2 milioni di euro per la ricerca in questo campo e nacque il primo reparto specializzato. In seguito lo stanziamento fu portato a 20 milioni di euro. Adesso abbiamo 150 reparti e sei cliniche, con una rete di consulenze su tutto il territorio nazionale che comprende assistenza infermieristica, psicologica, specialistica, e una linea telefonica di supporto attiva 24 ore su 24. Anche la nostra regina, Beatrice, ci ha sempre sostenuti in questo intento.
Cicely Saunders, inglese, antesignana delle cure palliative, ha sviluppato un concetto molto importante, quello del "dolore totale".
Ce lo può spiegare?
La Saunders (che prima di diventare medico era stata infermiera) basava la sua straordinaria assistenza ai malati sulla convinzione che il dolore non è soltanto fisico ma anche emozionale e sociale. L’approccio dunque deve essere integrale: per aiutare il paziente a trovare la pace con se stesso, con la sua famiglia, con Dio, se è credente. Se un malato è "incattivito" a causa della malattia o nei confronti della vita, nessuna cura palliativa otterrà l’effetto desiderato. È quindi fondamentale assicurarsi che sia sostenuto anche nei suoi bisogni spirituali.
Si è mai sentito chiedere di praticare l’eutanasia?
Quando me l’hanno chiesto, mi sono sempre avvalso di terapie di sedazione del dolore talmente valide che alla fine il paziente non ha più pensato all’eutanasia. Altrimenti avrei sicuramente rifiutato. Sono tantissime le persone che hanno rinunciato.
Ai malati disperati che mi facevano questa richiesta domandavo a mia volta: "E se io invece bloccassi il suo dolore?". Tutti mi hanno sempre risposto: "Allora vorrei continuare a vivere"».
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