Tre modelli per dire «famiglia» di Pearl A. Dykstra, Il Sole 24 Ore 12 maggio 2011
L'invecchiamento è uno dei temi dominanti del dibattito sulla popolazione. L'aumento della longevità e la riduzione dei tassi di fecondità hanno portato infatti a un aumento della popolazione anziana, sia in termini assoluti sia relativi. Tuttavia credo che sia necessario un cambiamento di prospettiva: possiamo imparare molto esaminando i legami multipli nelle famiglie, senza separare giovani da anziani. Un aspetto importante dei rapporti tra generazioni è la coabitazione, molto alta in Paesi come Spagna, Portogallo, Grecia, Lettonia, Slovenia e Polonia.
Si tratta della risposta a interdipendenze generazionali ed economiche: un reddito insufficiente preclude sia l'indipendenza dei giovani adulti (aggravata dalla situazione del mercato abitativo) sia il mantenimento della propria casa per gli anziani (aggravato dall'assenza di strutture residenziali o aiuti in casa accessibili). Non è facile quindi capire la direzione dei trasferimenti intergenerazionali in famiglie in cui genitori e figli adulti coabitano. Chi supporta chi? La risposta di Multilinks (uno studio all'interno del 7° programma della Commissione europea) è che la direzione prevalente è verso i giovani (più del 61% dei flussi di assistenza): un risultato che non è quello che molti si aspetterebbero.
Le interdipendenze tra generazioni (e tra uomini e donne) nelle famiglie sono costruite e rafforzate dalle leggi e dalle politiche sociali di ciascun Paese. Per capire la divisione tra Stato e famiglia nella responsabilità di giovani e anziani, Multilinks ha identificato tre modelli: il familismo di default, che ritroviamo quando ci sono poche alternative pubbliche alla cura familiare e scarsi trasferimenti; il familismo con supporto, dove ci sono politiche sociali tipicamente sotto forma di trasferimenti monetari e la famiglia è aiutata a mantenere le sue responsabilità; la defamilizzazione, dove i bisogni sono, almeno in parte, risolti direttamente dai servizi pubblici. Questa classificazione va ben oltre la dicotomia tra pubblico e privato e ci permette d'indagare le interrelazioni tra, da un lato, le diverse norme legali e le politiche sociali e, dall'altro, i complessi legami tra generazioni e tra uomini e donne. Per esempio, politiche di congedi parentali generose favoriscono la cura dei figli da parte dei genitori; il congedo di paternità rende non asimmetrico nei generi il lavoro di cura, allo stesso tempo supportando la familizzazione dei padri.
Non credo che il familismo sia il modello più efficiente nel medio e lungo termine. Oltre ad essere in contrasto con l'obiettivo di aumentare l'occupazione femminile e allungare la vita lavorativa di uomini e donne, le possibilità di fornire cura all'interno della famiglia saranno sempre minori a fronte di fenomeni quali l'invecchiamento della popolazione, la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, l'instabilità dei matrimoni, la bassa fertilità. Anche il modello di familismo con supporto potrebbe non essere efficiente: gli individui con poche opportunità sul lavoro (spesso le donne) potrebbero decidere di abbandonare il lavoro e fornire direttamente la cura, utilizzando il trasferimento monetario per aumentare il budget familiare, anziché per acquistare servizi, con il conseguente aggravarsi delle loro condizioni lavorative future e del rischio di povertà in età anziana.
Le implicazioni del nuovo approccio che propongo sono notevoli. Tipicamente le "politiche familiari" si riferiscono alle famiglie giovani, mentre le "politiche per l'invecchiamento" o "long-term" si riferiscono agli anziani. Questa separazione è fuorviante, perché ignora le similarità tra giovani e anziani e le interdipendenze tra generazioni. Il nuovo approccio dunque rappresenta una sfida per i policymaker e per gli studiosi che sono chiamati a concepire politiche che, contrariamente a quanto spesso succede, non rafforzino le disguaglianze sociali, le differenze tra generazioni e le disparità di genere.
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