Laicità oggi, tra interessi e principi di Vittorio Possenti, Corriere della Sera 26.5.11
E’ bene dibattere di laicità in Italia, come del resto accade abbondantemente; ma è anche difficile per motivi che vanno oltre quelli addotti sul Corriere da Tullio Gregory e Massimo Teodori. Habermas ha iniziato a cogliere la portata del problema quando ha spronato verso un dialogo tra credenti e «laici» rivolto ad un reciproco apprendimento, che sarebbe indispensabile. In ogni caso la laicità dovrebbe essere intesa come esercizio della ragione. Le difficoltà della laicità provengono dal fatto che l’entità dei problemi è cresciuta a dismisura. Il quadro è mutato in quanto molte questioni che oggi vengono dibattute sotto il cappello della laicità oltrepassano l’antico e consunto schema dei rapporti tra Stato e Chiesa, intesi come istituzioni sovrane che si fronteggiano e patteggiano. Un’alta quota di problemi non rientrano in tale schema, poiché chiamano in causa l’essere umano e il cittadino coi suoi diritti e doveri. La questione che dovunque accende gli animi è quella antropologica: uomo chi sei? Non pochi la lasciano da parte preferendo rimanere sul terreno strabattuto dei confini tra Stato e Chiesa, invitando con Kelsen a risolvere il conflitto con un compromesso democratico che tenga conto degli interessi di entrambe le parti. Sarebbe questa secondo Teodori un’ottima definizione di laicità. Ciò è vero in misura modesta, e la risposta sta nel termine stesso impiegato da Kelsen: interessi. Questi infatti hanno un prezzo, si prestano alla trattativa ed alla mediazione in quanto per loro natura ammettono punti medi. Differentemente dagli interessi, i principi non hanno prezzo ma dignità (è Kant che parla) e non ammettono punto medio: non vi è alcun punto medio tra uccidere e non uccidere. È giusto invitare al compromesso sugli interessi, ma chiedere allo Stato di essere neutrale sui principi fondamentali è autodistruttivo. I difensori di un certo tipo di laicità, che in Francia si chiamerebbe de combat, raramente si avvedono della differenza tra i due casi e finiscono per attribuire le difficoltà alla cattiva volontà altrui: un equivoco che, insistendo su vecchie dicotomie, non si confronta con la durezza dei problemi morali e antropologici presenti. Se consideriamo il tema dell’embrione umano, sollevato un po’ frettolosamente da Gregory in quanto si limita a considerare solo le cellule staminali di provenienza embrionale e non quelle adulte riprogrammabili, non c’è altra strada che quella di fondarsi sulle migliori argomentazioni filosofiche e scientifiche (filosofiche e scientifiche, non religiose) per mostrare che l’embrione è un essere umano, meritevole di pieno rispetto. È dunque violare il principio di eguaglianza e di dignità sceglierne uno e rifiutarne un altro (eugenetica), così come è violazione del suo sacrosanto diritto naturale allo sviluppo congelarlo, impedendogli di crescere. È una strana laicità quella che vuole buttare la questione in religione. Ma non si tratta del diritto alla vita? Durante la preparazione della Dichiarazione universale del 1948 si pose su proposta di alcune delegazioni il problema di definire il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale (art. 3), anche se poi l’integrazione non passò. In merito, importante è la sentenza 35/1997 della nostra Corte costituzionale. Quanto alla legge sul fine-vita vi è spazio per un miglioramento, in specie sul problema dell’indisponibilità della propria vita. Il carattere anelastico dei principi indica che lo Stato può rimanere neutrale su varie cose, non sulle scelte di fondo e i valori base, codificati nella nostra Carta. Dobbiamo muovere verso una società postliberale, in cui i diritti di libertà non abbiano sempre e comunque il predominio (il diritto alla vita non è un diritto di libertà), e il bilanciamento tra diritti e doveri sia più rigoroso che nell’individualismo liberale. Sarebbe una bella laicità quella in cui mere pretese non vestissero i panni dei diritti, e forse avremmo meno querimonie sulle presunte prevaricazioni di una parte sull’altra.
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